Paolo Miceli è un sapiente alchimista shoegaze e vale oro il suo lavoro accanto a Christy Brewster (Violet’s Revenge). “One day you’ll laugh at the sad saga that was” è un “riassunto” rimasterizzato, relativo agli scorsi lavori e sperimentazioni del duo italo/scozzese, che ricordiamo per le collaborazioni passate con i Giardini di Mirò.
Mondi concentrici. Vecchi ricordi di pòllini shoegaze.
Alcune song appaiono grezze, in contrapposizione ad altre completamente mature, dove io sento una produzione che esige uno sforzo in più rispetto al resto, ma ciò è soltanto un dettaglio, perché chi conosce il genere di cui stiamo parlando, è ben consapevole del fatto che la storia è stata fatta a colpi di otto piste. Un microcosmo di onde soniche a volte gelide, come in Swoonow. Piccole composizioni, frammenti retti da una voce puramente ispirata e da larghi pattern di chitarra elettrica sapientemente miscelata nel vortice di delay e riverberi tipici dell’epoca seminale (Come on, sleep); Saint My-self ha il sapore dei ricordi che il lato più romantico della mia mente innesca su ascolti come i Silvania o i Lush, ma stiamo parlando di perle.
ALTHOUGH THANKS FOR WASTING MY TIME è puro Slowdive sound; Slow motion into sound (my head exploding) contiene l’impasto sonoro necessario per delineare il confine tra ambiente e spazio sonoro, là dove Brian Eno ha insegnato (e i pad chitarristi di Small consolations, ne sono la conferma).
I particolari sullo sfondo in Sleeping song rendono il giusto brivido conteso tra le parole e i suoni; mondi che s’incontrano a metà strada tra il talento e la destrezza di chi è in grado di sublimare perfettamente paesaggi che forse in Italia è raro osservare da vicino. Non mancano citazioni inconsce ai Blonde Redhead, come in “French feeling of a tragic song (vers. 2)” e proprio quest’ultima colpisce il mio cuore di musicista, così come in Là c’est la voix, song di tre minuti e venti circa, che considero manifesto di un suono acquisito. Il resto scorre in questa direzione, nel tragico e romantico mix di arrangiamenti che a volte tentano di rincorrere qualcosa che vada oltre (Untitled, uncomplete) la soglia dei suoni del passato; è un incontro morbido e tenue, tra i primordi degli anni 90 e la modernità e sarebbe interessante insistere su questo terreno.
Ho gradito molto la cura degli arrangiamenti in Plom, brano sicuramente vicino a territori differenti dal resto delle composizioni, a tal punto che viene da chiedersi se non sia frutto di una sperimentazione o di uno studio su una precisa direzione; il crescendo centrale riesce a creare la giusta tensione catartica e a modesto parere di chi scrive, la song potrebbe essere un potenziale e già maturo singolo: una produzione dal sapore moderno ne esalterebbe tale potere.
Visto il crescente fabbisogno di sfamare la musica, dove la musica stessa è in crisi, pubblicazioni del genere arricchiscono la linfa creativa delle ispirazioni, e al di là dei generi. È soltanto di questo che abbiamo ancora bisogno, tutti.
Gianluca Divirgilio per Mag-Music
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