Dalle oscure fucine della Rise Above prende forma questo nuovo lavoro dei canadesi Blood Ceremony. Il quintetto di Montreal ci riprova dopo un esordio non proprio brillante, dove luoghi comuni e stereotipi hard seventies si sprecavano in maniera abbastanza usuale.
Pur rimanendo legati con evidenza sfrontata ai Black Widow e ai Sabbath, emerge in questo “Living with the Ancients” in maniera piacevolmente invasiva l’ombra dei Jethro Tull che amplia e trascende l’alone dark complessivo.
“Living with the Ancients” per quanto incastrato da imponenti prefabbricati storici, scivola ben oleato dalla prima all’ultima traccia; più progressivo e certamente più fluido del precedente, l’album riesce a incalzare in più di un’occasione alternando parentesi doom a episodi decisamente più aperti e complessi.
Le visioni occulte e darkeggianti si sprecano e accompagnano passo passo l’intero lavoro amalgamando l’intruglio anche nei momenti meno evocativi e più diretti. Il disco è in più di un’occasione coinvolgente e robusto quel tanto che basta grazie a contorsioni ritmiche potenti e ruvide. I pochi e rari cali di stile passano sicuramente in secondo piano e si smaterializzano vista la capacità di racchiudere la struttura compositiva in un costante scrigno composto da eleganza e aristocratica medianicità.
The hermit e Morning of the Magicians esprimono al meglio quella concettuale concessione ad atmosfere sobriamente Steel Mill. Oliver Haddo, pur ricalcando in pieno le tendenze tipiche della band, riesce a conquistare spazi preziosi, sviluppando melodie quasi accattivanti pur racchiuse in quell’alone sinistro che fa da filo conduttore per tutto l’album. La voce di Alia O’Brien è più convincente in questo lavoro, forse merito dei riff meno ossessivi e sterili rispetto al precedente omonimo. Si esprime meglio e si destreggia bene specie in episodi come Night of Augury, o meglio ancora in My demon Brother il cui tema principale proietta maggiormente nella penombra i fantasmi dei Black Widow.
Brano dopo brano, passaggio dopo passaggio, i Blood Ceremony riescono a trascinare sempre di più in un crescendo emotivo indiscutibile incespicando però nell’ultima traccia forse unico paragrafo spudoratamente scontato dell’intero full-lenght ma, del resto, non stiamo parlando di un disco secolare, ma è anche plausibile prevedere al suo interno qualche sviluppo al di sotto della media.
Sostanzialmente un buon lavoro, ricco di buoni propositi e che si fa apprezzare per quello che è senza tediare e senza grandi sforzi da parte di chi lo ascolta. Se ne consiglia un ascolto approfondito.
Cecco Agostinelli per Mag-Music
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