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In questo numero: La Via Degli Astronauti, Above the Tree & The E-Side, Treehorn, Lo Stato Sociale, Karl Marx was a broker, Il cielo di Bagdad, Joy as a Toy/Germanotta Youth, Anubi, Madame X, The Strange Flowers.
La Via Degli Astronauti – Storie EP (Fallo Dischi)
Si scrive La Via Degli Astronauti, ma in questo caso non si legge un insieme d’imprese compiute in assenza di gravità tra una galassia e l’altra, bensì il nome di una creazione made in Fallo Dischi e una delle tante zone da valicare all’interno di una grande città come Napoli, un luogo dove in circa dodici minuti si riassumono quattro piccole storie, una delle quali un omaggio a Charles Bukowski. Nella voce di Mario Orsini ci sono le urla di Davide Toffolo e le declamazioni di Pierpaolo Capovilla, mentre dal lato sonoro siamo dalle parti dell’hardcore punk, con tanto di camei improvvisati, come quello di un sassofono! Lo sforzo è notevole ed evidente, e un brano come Storia di LM, pura apoteosi della schizofrenia, lo dimostra, così come la conclusiva Storia di un inverno, disperato sunto di una visione onirica di un mondo ai limiti dell’assurdo. Ma è quando ci si cimenta con Bukowski (Una storia tra le più appassionate) o si affronta il putridume di Storia di ferro e defecazione che manca qualcosa, soprattutto dal lato vocale, facendo sì che il risultato sia solo sufficiente. Ma sono solo gli inizi, e non c’è da escludere nulla. Provateci ancora, ragazzi! Gustavo Tagliaferri
Above the Tree & The E-Side – Wild (Locomotiv Records)
Ci sono terre selvagge e lontane. Lontanissime da qui, tanto che il loro suono arriva a noi come trasportato dal vento. È ancora sfuocato e confuso ma si sta avvicinando, emerge solo una chitarra acustica ma presto entrano un beat e un tappeto elettronico sostenuto che si fonde perfettamente con le melodie e le voci sussurrate.“Wild” è proprio lì in bilico tra il folk e l’elettronica e mentre le chitarre disegnano loop ossessivi, i bassi iniziano a pompare e si fanno potenti creando un’alchimia tanto eterea quanto potente e pressante. È il caso della traccia di apertura (On the Road) e della successiva W China. E mentre Safari F.C. ha una connotazione più etnica e tribale, Svezia, fatta di un delicato sottobosco sonoro, sembra proprio portarci lì; incalzante, invece, Winter Queen. Above the Three & The E-Side ci sanno davvero fare e il risultato è notevole in particolare quando l’elettronica si fa sentire, perché quando questa latita, i pezzi tendono inevitabilmente a perdere un po’ il groove, come nella parte centrale del disco. Un disco comunque che svela un duo creativo e capace di creare ambientazioni interessanti consegnandoci un lavoro a tratti emozionante. Daniele Bertozzi
Treehorn – Hearth (Escape from Today Records/Riff Records/A Tant Rever Du Roi/Swarm Record)
Un guercio munito di mazza da baseball, unico presente in un ambiente brulicato tutt’intorno da alberi che hanno visto le loro foglie morire sulla terra. Forse è lo stesso soggetto che sa qualcosa dei Treehorn, venuti da Foss Angeles con furore per iniziare una battuta di caccia che prende il nome di “Hearth“, dove gli obiettivi non sono di certo gli animali, ma dei bersagli da centrare a suon di rock, stoner, heavy metal e un tocco di hardcore. Ciò ha i suoi frutti, che sono molto più che commestibili: Wakin’ Life potrebbe essere la loro N.I.B., Aluminium si serve di uno stream of consciousness lontano dal letterario per scavare nella mente, Apostolic, prima di una ripartenza accelerata, rivela una leggera vena blues, Senescence fa da momento opportuno per vedere le proprie chitarre tramutarsi in fucili e Black Mirror è il momento topico, quello dei botti, dove scorre la voce di Davide Maccagno, cresciuta tra un Layne Staley (Taurus, Not Bull, Freeway to the Sun) e un James Hetfield vecchia maniera (Stockholm). Al punto da sembrare uno di loro due, più volte. Forse ciò risulterà essere un po’ derivativo, ma non compromette il tutto. Gustavo Tagliaferri
Lo Stato Sociale – Turisti nella democrazia (Garrincha Dischi)
Ed ecco che nel giorno della celebrazione suprema dell’amore (per chi non ne fosse a conoscenza, rammentiamo il 14 febbraio), finalmente vedrà la luce l’ennesimo attesissimo album d’esordio dell’ennesima sconvolgente rivelazione della musica indipendente italiana. Questa volta è il turno de Lo Stato Sociale che arriva con il suo primo lungometraggio musicale per sbatterci in faccia pregi (pochi) e difetti (tanti) di una generazione, la nostra, persa tra musica e fiumi di alcol di bassa qualità. Quello della band bolognese è uno sfrontato invito a guardarsi un po’ dentro e, con una critica che corre sempre sul filo dell’ironia, scrollarsi di dosso inutili intellettualismi dell’ultima ora. Da Sono così indie, passando per le sagge declamazioni di Mi sono rotto il cazzo, Lo Stato Sociale ci trasporta in un inaspettato ma piacevole balletto dance a cui difficilmente si potrà rinunciare. Tematiche quotidiane affrontate con la dovuta superficialità e sfrontatezza, aiutano questo disco a entrare nei cuori di tutti noi che ad amori compianti a voce fioca, preferiamo voci meno gradevoli ma dai contenuti più onesti. Paola Rondini
(Escape from Today Records)
Che cosa sarebbe mai successo se Karl Marx fosse nato broker, anziché filosofo? Magari non sarebbe stato come quei brokers dei giorni d’oggi, con in mano il destino di svariate nazioni, persi in mezzo a spread e bund (giusto per rimanere alla realtà). Avrebbe scelto di divulgare il pensiero con cui lo conosciamo oggi servendosi di un’arma come quella musicale, reincarnandosi in un duo intenzionato a suonare di tutto e di più, ma preferendo che le sue stesse parole non venissero cantate, ma usate a mò di riflessione tra una canzone e l’altra. Questo è il succo di “Alpha to Omega“, dove il suono noise che porta il suo nome è suddiviso in più movimenti, che vanno dai calcoli di 3b e 2.1 al sollazzo di 8 (lo stesso sollazzo che si respira anche in Teletubbie, leggera satira sugli omonimi pupazzi), fino alle melodie funky di IX e il tocco albiniano di 7, dove si respira aria di Shellac. Non meno permate di tali insegnamenti sono la fuga dalla realtà tramite uno scontro tra bolidi di Destruction Derby, il post-core multiforme di Aral See e le risonanze doom di Live Slow. Che il risultato complessivo di un disco simile possa essere definito rock filosofico? E’ un termine che sa di eccentrico, ma ci può stare. Gustavo Tagliaferri
Il cielo di Bagdad – Unhappy the Land Where Heroes are Needed or Lalalala, Ok (Autoproduzione)
Una linea immaginaria capace di congiungere Paul McCartney al post-rock, passando per il folk. Si presenta così il secondo lavoro dei campani Il cielo di Bagdad. Una cornice sonora ricca e suggestiva, pronta a interrompersi o a mutare in cori all’unisono, ma con una passione per il pop più colorato e leggero. In particolare i due pezzi di apertura, La la la, ok e The Light Place, hanno svolte inaspettate da lasciare l’ascoltatore disorientato e incuriosito, ma dura solo il momento di chiedersi cosa stia succedendo che torna un inciso fresco e piacevole, mentre We’re Fine è una leggera planata all’alba su una splendida costa sperduta. Ma c’è spazio anche per qualche momento più tirato che trova nel basso distorto di It’s Over e nella vena quasi dance di Stop! Stop! Stop! il tiro giusto. Così gli otto pezzi di “Unhappy the land where heroes are needed or lalalala, ok” ti conquistano ascolto dopo ascolto, diventando colonna sonora allegra e malinconica al tempo stesso. Forse le terre avrebbero bisogno di eroi così, semplici… Daniele Bertozzi
Joy as a Toy/Germanotta Youth – Split (Cheap Satanism Records)
Uno split venuto dagli inferi. Se si dovesse sintetizzare in poche parole questa collaborazione tra i Joy as a Toy, venuti da Bruxelles con furore per fare un po’ di casino, e i Germanotta Youth, side-project di Massimo Pupillo degli Zu con alle spalle un full-length in studio, sarebbe più adatta questa definizione, in quanto vede entrambi i gruppi, che di musica rumorosa ne sanno qualcosa, cimentarsi con la ripresa di storiche colonne sonore di film horror e thriller, con in più qualcosa d’inedito. I Joy as a Toy, contrapponendola all’andamento simil-proto-industriale di The Monster, fanno propria la Profondo rosso di gobliniana memoria, trasformandola in una jam session, con tanto di sassofono a dare un po’ più di brio, che sa di zucche e streghe. E proprio perché si parla anche di zucche e streghe, dopo un preludio alla Ministry che anticipa una Wardenclyffe Tower che si colloca tra le loro produzioni maggiormente riuscite, sono i Germanotta Youth a dare una visione di Halloween più supersonica rispetto a come l’aveva concepita John Carpenter, con dei beats forsennati proiettati dritti nel futuro. Lo stesso futuro che aspetta a braccia aperte entrambi i progetti, che mai saranno esclusivamente baccano. Gustavo Tagliaferri
Anubi – Perdition Is My Queen (42 Records)
Freschi di un’autoproduzione che si è protratta per un omonimo EP e per il primo full-length, rispettivamente del 2008 e del 2010, ecco che si rifanno vivi quattro ragazzi dal look british come gli Anubi, scesi nuovamente sul campo degli EP con questo “Perdition Is My Queen“, ma stavolta l’autoproduzione lascia il posto all’ala della 42 Records. Un’ala che di certo non impedisce alla band di guardare allo stesso punto dove si erano affacciati, un tempo, i Fab Four, la cui influenza è indubbia, ed è al contempo una lezione ben appresa. Se Capital City è un irresistibile inno pop che vede il suo clou nell’armonica blueseggiante presente sul finale, e Indian Song, come da titolo, una full immersion dentro una cultura diversa dalla propria che pare uscire direttamente dal periodo che va tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, I, con il suo glockenspiel di contorno, sprizza allegria da tutti i pori, mentre è con Late Nite Bar che si riprendono in mano le redini del rock, stavolta in una delle sue forme più classiche. Il feeling a cui i nostri fanno riferimento si sente eccome, e le lodi che lo stesso Paul McCartney ha rivolto loro evidentemente non erano affatto campate in aria. Gustavo Tagliaferri
Madame X – Dive cattive (Ponderosa Music & Arts)
Musica e cinema, di nuovo nel segno del vintage. Come i Calibro 35 sono ormai in sintonia con il mondo del poliziesco, i Madame X, genovesi DOC, affondano le mani all’interno del thriller, quello più truculento, sul cui filo ci sono passate le “Dive cattive“, che vanno dalla Fenech alla Steele. Senza però il concetto di cover a prevalere. Sì, perché le composizioni di questa band sono esclusivamente proprie, una sfida da affrontare suonando quello che potrebbe essere a volte horror rock, a volte un flirt con l’India, a volte quel rock fumoso già assaporato con i Morphine del mai dimenticato Mark Sandman, grazie all’incedere dei fiati. La voce di Alessandro De Benedetti si muove tra Carnimeo (il brano di lancio Reazione a catena), Petri (gli strumenti a corda messi a nudo ne La decima vittima), Jodorowsky (La donna tarantola, le cui variazioni tengono fede al personaggio) e Miraglia (i moog impazziti di La dama rossa, con tanto di sviolinata d’epilogo in Il ritorno di Evelyn), perdendosi anche in affascinanti duetti (Patrizia Laquidara, Maria Vittoria Alfieri) veri e propri sogni (Vergini di luce). Che stavolta non verranno soffocati da alcun assassino. Perché la stessa musica è assassina, per quanto è ipnotica. Buon vintage a tutti. Gustavo Tagliaferri
The Strange Flowers – The Grace of Losers (Autoproduzione)
Gli applausi scroscianti udibili all’inizio di Hemerick G sono quelli che danno il via allo spettacolo. Quale? Ma quello degli Strange Flowers, reduci da una lunghissima carriera (sono attivi dalla fine degli anni ’80) ed arrivati, dopo cinque lavori in studio, tra cui uno split con i Baby Scream, alla loro sesta prova, intitolata “The Grace of Losers“. Uno spettacolo che presenta sempre alla sua base la psichedelia nella sua prima fase di sviluppo e tanto, tanto garage suonato in quel della pianura, con tanto di belati di pecore. La voce di Michele Marinò rimbalza tra melodie che a volte sembrano delle ipotetiche collaborazioni tra Rolling Stones e Doors (A Million Words to Say, Saddie Maggie) ed altre che riportano alla mente “Easy Rider” (Mary Ann’s Dream Factory, The Mouse on the Shore), ovviamente senza nulla togliere a gioiellini come la ballata Evelyn’s Face, Shampoo Girls, dove è lo wah-wah a farla da padrone, oppure i simpatici giochi di parole del country rock di Underground Underground. La grazia dei perdenti? Quella che può rendere vincenti. Gustavo Tagliaferri
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