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Avete presente quei meravigliosi castelli costruiti mettendo assieme delle carte da gioco? Ecco: “We=Trouble” è qualcosa di molto simile a quei castelli lì, una roba complessa costruita abilmente con una materia prima semplicissima e Johnny Mox è un po’ come quei parenti o quegli amici bravissimi che ti fanno morire d’invidia, perché tu a malapena riesci a metter su due carte in equilibrio.
L’elemento chiave di “We=Trouble”, insomma, è la voce. È un lavoro di precisione geometrica interamente edificato su strati vocali che si sovrappongono ossessivamente in loop – ora sottoforma di cori insistenti, ora di human beatbox – ricreando una sorta di caos ordinato, un’energia confusionaria che, come spiega lo stesso autore (al secolo Gianluca Taraborelli), è l’esatta trasposizione di uno stato d’animo collettivo, è la voglia di fare dei ragazzi mal immagazzinata da una società “in loop fisso, con pochissime opportunità”. Sopra questa fitta trama, si alternano poi testi talvolta trascinati e cantilenanti con un retrogusto gospel, altre volte scanditi da un incedere blues come in Oh Reverend (una delle tracce più riuscite e più incisive assieme a For President), altre volte ancora sputati fuori come sermoni (Steady Diet of Loathing).
Il risultato è, appunto, una miscela di semplicità e complessità della durata di poco più di venticinque minuti. Non sempre l’ascolto scorre via veloce, a volte arranca un po’ asfissiato dai tanti suoni incastrati l’uno sull’altro eppure, già dopo il primo ascolto, alcuni motivi rimangono ben saldi in mente tanto che non si riesce a fare a meno di riascoltare l’intero album più e più volte.
Annachiara Casimo
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