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In questo numero: Marco Spiezia, Grimoon, Movie Star Junkies, Penny Press, Serpenti, Fadà, Bad Love Experience, Simone Vignola, Teresa Mascianà, buenRetiro.
Marco Spiezia – Smile EP (accorgitene™/Screenplay)
Cornovaglia, oh Cornovaglia. Sei la patria di geniali produttori di musica elettronica, perché non dovresti essere anche l’obiettivo di un chitarrista sorrentino, il giusto luogo per meditare a proposito del futuro e dei sogni nel cassetto? Così tempo fa è stato, e adesso c’è da ringraziarti. Con un sorriso. “Smile“, appunto. Perché questo EP di sole tre canzoni mostra come Marco Spiezia, questo il suo nome, sembri essere in grado di comporre con la sua band quelle canzoni che, rovistando in un archivio che sa un po’ di contadino, fanno venire voglia di muoversi. Allegre proprio come il ruolo del personaggio dal sapore rurale già inquadrato dal nostro, per non dire uno di quelli che amano viaggiare nascosti nel retro dei furgoni, tra ombre di blues (Scaramouche, con tanto di citazione queeniana), tocchi di swing (la title-track, quello che Lily Allen non è riuscita ad essere), e persino tentativi di ridere in faccia dinanzi agli inganni che affossano l’economia mondiale (la ballata Apple Tree). Non da tutti i giorni, considerando la cruda realtà. Che non impedisce a Spiezia di avere delle basi ben consolidate ed essere un personaggio a cui augurare tante cose positive per il futuro.
Gustavo Tagliaferri
Grimoon – Les déserteur (Macaco Records)
Cambiamento psichedelico frutto anche di una stretta collaborazione col leader dei Black Heart Procession, Pall Jenkins, nonché produttore del disco “Les déserteur“. È il quarto album dei Grimoon, ultimo lavoro dalle vesti cangianti, un flusso di correnti intriso di folk, abbracciato a sonorità più nordiche rispetto al precedente sound degli italo-francesi. Suono curato, di forte personalità e carattere negli arrangiamenti, violini, synth, chitarre elettriche, misti a demoni del passato, introspezione, odore di legno… una direzione da prendere, possibilmente quella giusta, tale da potersi lasciare alle spalle ciò che ormai ingombra la mente. Un ascolto piacevole, dato anche dalla presenza di Enrico Gabrielli e Giovanni Ferrario. I testi sono tutti in francese, ad eccezione di Draw on My Eyes, brano che culla l’ascoltatore tra voci e chitarre. C’è inoltre da soffermarsi su Directions, magari prenderla un po’ come punto di riferimento, come via di uscita, come riflessione, come momento d’elogio per gli artisti in questione, i quali mostrano in questo brano una certa creatività e la conferma che in questo disco, un po’ d’allegria non manca di certo!
Carmelina Casamassa
Movie Star Junkies – Son of the Dust (Outside Inside Records/ Wild Honey Records)
Lo sporco si vede lontano un miglio quando non riesce a scrollarsi di dosso dal suono di una band. Un particolare apparentemente nocivo, ma che consiste nel dare a questo un tocco di classe, facendo da pregio. I Movie Star Junkies, con una carriera composta da due album e i vari split venuti prima e dopo, ne sanno qualcosa, vedendosi crescere proprio come i Semi Cattivi tanto cari a Nick Cave. “Son of the Dust” è la loro nuova fatica, e l’odore che trasuda è proprio quello della polvere. Quella che circonda “Cold Stone Road” e i suoi abitanti, gli stessi che temono strane presenze (These Woods Have Ears, la title-track) o addirittura imminenti disastri (The Damage Is Done, There’s a Storm), per quello che dovrebbe essere un periodo di vita fortunato (In an Autumn Made of Gold), e magari intriso di storie che rimangono sulla pelle (A Long Goodbye, This Love Apart). Pur con la consapevolezza che prima o poi la ruota girerà un’altra volta, aprendo un altro capitolo della propria vita (End of the Day, How It All Began). Forse di nuovo con la voce di Stefano Isaia e la chitarra di Vincenzo Marando. Un po’ figli della polvere lo siamo anche noi, davanti ad emozioni simili.
Gustavo Tagliaferri
Penny Press – Regent’s Park (Autoproduzione)
La scena musicale italiana si trova in una brutta, bruttissima situazione di stallo ultimamente. Il lavoro dei Penny Press si colloca e diventa omogeneo in suddetto panorama, rasentando il labile confine tra inutilità e fastidio. Il miracoloso esordio è pregno di suoni stra-abusati, testi che s’ispirano liberamente ai nuovi cantautori pseudo poeti contemporanei, lo stesso che sente troppo la mancanza dell’irripetibile ed inimitabile cantautorato e che però si accontenta dei surrogati; ecco la meraviglia… i Penny Press mancano totalmente di personalità e, a voler analizzare, senso. Tentativo di elevarsi da questo standard, di cui forse anche loro, tutto sommato, sono consapevoli, è l’inserimento di un synth (che richiama paurosamente lo stile Baustelle) e di una voce femminile che si alterna all’anonima voce maschile, creando incredibili momenti di noia alternati a una prodigiosa armonia in stile Jalisse. A rendere il tutto ancor più tediante, è l’uso pervasivo della prima persona plurale. Esatto, proprio come Vasco Brondi. I ragazzi però presentano anche una forte denuncia sociale: la disorganizzazione dei trasporti locali… prendetela con filosofia, il fatto che non sia passata la corriera a Lanciano, implica avere la possibilità di restare a meditare nei boschi della Majella. Da non sottovalutare il lavoro di registrazione e missaggio che appare quasi come professionale messo a confronto con il resto.
Eliana Tessuto
Serpenti – s/t (Universal)
Nell’era del nuovo electropop Made in Italy, servirsi di un full-length per andare “Sottoterra” e di lì a poco toccare nuovamente la superficie è stato più che necessario per Gianclaudia Franchini e Luca Serpenti. Sono passati quasi tre anni e per il duo in questione è arrivato il momento di muoversi strisciosamente e sinuosamente un’altra volta. Come da nome loro e di questa seconda opera. Serpenti, appunto. Fedeli a un suono ipnotico ed attuale, che non si esime dal pescare anche dagli ’80 e dai ’90, e non è un caso che siano reduci da un’ottima reinterpretazione di Tenax di Diana Est assieme ad Enrico Ruggeri, stavolta presente senza la voce di quest’ultimo. A farle compagnia, oltre al precedente singolo, Io non sono normale, ci sono Uomo donna, un incontro moderno tra il Garbo più internazionale e Ivan Cattaneo, Io tu e noi, con il suo incedere sensuale, lo stesso di Tocca la mia bocca, Scendo piano, con il suo lento e puramente devastante beat, Sei come sei, con i suoi tastieroni, ma anche momenti più pacati come Senza dubbio, il tutto per poco più di mezz’ora. Un tempo piuttosto ridotto, purtroppo, ma ci può stare per il secondo atto di un progetto che sicuramente avrà ancora molto da dire in futuro.
Gustavo Tagliaferri
Fadà – Polvere di musica (Autoproduzione)
Prendete un pazzo, un acrobata da circo, un attore strambo da teatro, un cantastorie, un musicista eclettico che corre il rischio di sperimentare dando sfogo all’istinto. Che cosa pensate che ne possa venir fuori? Se la curiosità vi prende, il consiglio è: date un occhio (o meglio un orecchio) al disco di Fadà (aka William Fusco). “Polvere di musica” ha una base pop ma in verità è un ibrido, ha sonorità multietniche, una sorta di cilindro magico, dove non ci sono conigli bianchi, ma c’è di meglio: un violino competente (quello di Pasquale Farinacci), una leggenda medievale, una parodia di una cervellotica (interpretata nel video da Fadà che, per l’occasione, indossa i panni di una donna), un antidoto elettronico… segni particolari? Non ci sono formule, non ci sono schemi, non ci sono limiti, non c’è un genere, ci sono confini sfondati a colpi di creatività e follia, un disco che mescola la tradizione all’esperimento, il cantautorato al ritmo gitano. Altra nota positiva? Il disco nasce con obiettivi “ad impatto zero”, questo perché Fadà l’ha registrato, arrangiato e prodotto nel suo studio ad impianto fotovoltaico, rinunciando al supporto fisico in favore del download. A fine disco potreste accorgervi di aver passato una buona mezz’ora su un mondo parallelo.
Carmelina Casamassa
Bad Love Experience – Pacifico (Black Candy Records)
“The Kids Have Lost the War”. I ragazzi hanno perso la guerra. La stessa guerra di cui, ora, sono portavoce Valerio Casini e soci, conosciuti come Bad Love Experience, e giunti al loro terzo album, “Pacifico”. “Pacifico” come il paradosso imperante che vede in combutta, e al contempo li avvicina, vinti e vincitori. Da una parte quella malinconia folk dal retrogusto francese che s’insidia nei pensieri dei primi (Dream Eater, Cotton Candy, Samba to Hell), senza per questo evitare di presentarsi nella sua forma classica (That Country Road, The Princess and the Stable Boy), dall’altra lo spirito battagliero dei secondi, anch’esso presente in un modo (Devil in Town, Old Oak Wood) e in un altro (Dawn Ode, Rotten Roots). Una forma di bipolarismo a cui si aggiunge il timbro di Casini, leggermente riconducibile a una certa forma di britpop (qualcuno ha detto Damon Albarn?) e tale da fare da guida alla scoperta di un mondo che ha qualche assonanza con quello di “In the Aeroplane, Over the Sea” dei Neutral Milk Hotel. Di tutto, di più. “It doesn’t matter“, non importa. Sono stati d’animo che messi assieme formano l’equilibrio. Quello del disco e della band. La cui nuova veste s’intona molto bene.
Gustavo Tagliaferri
Simone Vignola – Going to the Next Level (RBL Music Italia)
Suonare significa anche impossessarsi del groove che ne emerge, sfiorare l’anima dello strumento che lo cavalca, farlo proprio, dentro quella sinergia che è tipica di una sintonia che accomuna il musicista e la musica. E uno strumento molto fedele a questa descrizione non può che essere il basso. Ad imbracciarlo è Simone Vignola, classe 1987, che con un esordio come “Going to the Next Level” non fa che coniugare la potenza di questo con quella dei loops, del funk, della fusion. Ed è un potpourri semplicemente delizioso. C’è l’electro-psichedelia di Chemical Body, l’insospettabile dance di Waiting e I Just Don’t Wanna Miss You, le slappate di All My Needs, la voglia di trascinare di Time Is Flying Again, una I Am Broken che continua quella via già cara ai Blindosbarra, il duplice cambio in 7/4 della pacata Routine e della frenetica Love Song, la spensieratezza di Colours. Tutto in un (quasi completamente) self-made album dove tecnica e sostanza sono indissolubili e comprovano il saldo mantenimento delle promesse di Vignola. E che lo faranno di sicuro arrivare ad un livello successivo, più rapidamente di quanto si pensi!
Gustavo Tagliaferri
Teresa Mascianà – Don’t Love Me (Dcave Records)
L’esperienza accumulata tra una tournèe e l’altra in compagnia di Roy Paci, Peppe Voltarelli e Il Parto delle Nuvole Pesanti deve essere servita molto ad una ragazza come Teresa Mascianà, affinchè potesse essere sempre più vicina la possibilità di esprimersi attraverso un full-length. Oggi quest’ultima ipotesi non si vede affatto smentita, avendo a che fare con un disco come “Don’t Love Me“, poco più di mezz’ora per nove brani la cui via di espressione più adatta, e facente da ago della bilancia, è il pop. Pop inteso come allegria (People), esplosioni retrò (la title-track), quasi-psichedelia (This Song Is for You, Forever, quest’ultima dalla partenza lo-fi), ma anche un tocco di folk (Out of There), ed ovviamente voglia di muoversi (Too Late) al suono della sua voce, i cui dubbi iniziali vengono sfaldati in pochissimo tempo. Ma le occasioni maggiormente tirate non mancano di certo, indipendentemente dall’essere soft (I Think It’s Better… If We Stay Together), hard (My World) o bombe ad orologeria pronte per essere innescate al momento giusto (Good Fortune). Con un esordio gradevolissimo di cotanto stampo Teresa Mascianà quel momento sa certamente quando coglierlo. Senza sbagliare.
Gustavo Tagliaferri
buenRetiro – In penombra (DeAmbula Records)
Il confine che divide la luce, la semioscurità e l’oscurità è molto labile, tanto da essere facile incappare in un gioco di spiragli e aloni, sintetizzabile in un solo termine: “In penombra“. Musicare il decorso di questi fenomeni è il compito che, attraverso il loro quarto lavoro in studio, il secondo per la DeAmbula Records, i BuenRetiro si sono stabiliti. Quella che ne consegue è una sorta di opera rock dei giorni nostri, dove i tre momenti fanno da sfondo alla battaglia in corso all’interno della propria anima, in prossimità della sua evoluzione futura, sancita proprio dal chiarore visibile qua e là. Ai timori (Canto primo, la title-track) si contrappone un orgoglio maggiore della vita (Gaia), riscontrabile anche nella silenziosa visione delle stelle (Xenon, Finis terrae, O Cebreiro), tra uno scroscio e l’altro solcanti la riva di una spiaggia (Maree). Sotto la voce di Mauro Spada l’alba porta con sé i progetti per il futuro (Quale luce, Negli angoli, In cerchio, Montagne). Gli stessi progetti situati sotto una penombra che è anche quella della band, la cui proposta di ripararcisi facendo loro compagnia sarebbe sciocco negare. Pescara ha di che essere felice.
Gustavo Tagliaferri
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