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Se un vecchio adagio piuttosto abusato afferma che un libro non va mai giudicato dalla copertina, è però pur vero che è possibile farsi un’idea almeno vaga su quello che contiene partendo anche dal titolo. Sia chiaro: un assioma del genere vale quello che vale, ossia poco più di niente; tuttavia, è suscettibile di una qualche conferma se l’oggetto in questione è, come accade in questa recensione, un album del Pan del diavolo. Si prenda l’esordio, “Sono all’osso”: un titolo capace di evocarne e sintetizzarne al meglio le scabre e immediate atmosfere, del tutto allergiche al benché minimo accenno di ridondanza. Ora, anche un titolo come “Piombo, polvere e carbone” sembra volerci rivelare in anteprima l’essenza del disco ancor prima di poterne ascoltare una sola nota. Va da sé che tal essenza sia in questo caso un certo (per quanto moderato) grado d’inquieta oscurità, che in questo secondo lavoro del Pan del diavolo s’insinua un po’ dovunque, anche dove meno ve lo aspettereste.
Ma intendiamoci meglio. Il primo singolo estratto da quest’album, Scimmia urlatore sembra, in effetti, riconsegnarci Il pan del diavolo proprio come l’avevamo lasciato, e per molti versi così effettivamente è: il delirio nonsense del testo, la ritmica ubriacante della chitarra acustica si confermano ancora i marchi di fabbrica del folk ‘n’ roll del duo siciliano che abbiamo imparato a conoscere e riconoscere; almeno finché, sul suo finire, quando ormai non sembra aver più nulla da dire, il pezzo non muta sorprendentemente pelle, lasciandoci a un finale irrisolto, per così dire aperto; e, soprattutto, marchiato dall’inquieto incalzare di una domanda (“Quanti passi farò?”) la cui eco pare risuonare – almeno da un punto di vista strettamente tematico – anche in molte delle tracce (undici in totale) di quest’album, brevi schizzi di vite ostinatamente proiettate in avanti (o comunque ovunque vi sia un altrove) a velocità talora folli, talora (come vedremo) un po’ meno sostenute: il tutto è in ogni caso accomunato da una sorta d’invincibile pulsione all’evasione, in cerca di un’aria finalmente tersa e ignara di elementi insalubri come “la puzza di bruciato” della “città degli orrori”; dalla quale non resta che fuggire in motocicletta, saltabeccando allo spasmodico ritmo della title-track, decisamente uno degli episodi più riusciti di questa nuova prova del duo siciliano. Altra gradevole variazione su questi temi è l’energica Libero, introdotta da trasognate chitarre in odor di Calexico e dinamica quel che basta per portare l’ascoltatore proprio dove vuole lei, e probabilmente anche lui; ed emblematica nel titolo almeno quanto lo è La velocità (“il senso della vita”, come recita il testo).
Tuttavia, come già s’è accennato, le vie dell’evasione in “Piombo, polvere e carbone” non devono necessariamente essere percorse in tempi tanto concitati, e possono anche seguire traiettorie alternative, di segno onirico: è quello che avviene nelle dilatate e allucinate atmosfere di La differenza tra essere svegli e dormire, l’ineluttabile conclusione di un lungo viaggio in un pieno oblio dei sensi, dove per l’appunto ogni differenza tra lo stato di veglia e lo stato di sonno viene come cancellata; e dove l’oscurità e l’inquietudine, dopo tanto incombere, raggiungono il loro culmine. Simili scorribande di sapore psichedelico sono forse il preludio di ulteriori evoluzioni stilistiche del gruppo, che già in quest’album mostra di non volersi fermare a una replica stantia della formula “chitarre più grancassa”, di certo fortunata ma che alla lunga rischia di rivelarsi piuttosto angustade limitante. La sensazione che si ricava dopo vari ascolti di quest’album è che, ancor lungi dall’aver messo ben a fuoco ed espresso a pieno il proprio potenziale, il Pan del Diavolo abbia gettato le basi per un futuro, definitivo salto di qualità che qui però sembra, se non rinviato, di sicuro riuscito solo in parte: una beneaugurante attitudine alla sperimentazione di nuove soluzioni sonore, gli arrangiamenti più curati e complessi, spunti certamente notevoli come quelli che abbiamo evidenziato devono fare tuttavia ancora i conti con una certa discontinuità qualitativa dei brani e qualche ingenuità nella stesura dei testi. Insomma il meglio, per quanto riguarda il Pan del diavolo, deve probabilmente ancora arrivare. In fondo, non poi così male come prospettiva. O no?
Luigi Iacobellis
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