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Metti che Gesù Cristo aveva un fratello gemello. Morto nel grembo materno. Divenuto poi un’entità capace di viaggiare nel tempo, attraverso gli occhi di altre persone. Metti che questa folle storia è il concept dell’ultimo disco degli High on Fire, macchina da guerra nata dalle ceneri di mostri sacri dello stoner come gli Sleep. “De Vermis Mysteriis”, il cui titolo è una citazione di lovecraftiana/blochiana memoria, riporta il gruppo di Matt Pike sull’Olimpo dello stoner/doom, dopo il non troppo convincente “Snakes for the Divine”.
Il nuovo disco è una batteria di missili puntata alle orecchie dell’ascoltatore: la produzione punta tutto su ritmiche poderose e chitarre sporche e graffiate. Musica istintiva, ferale, che non la manda a dire a nessuno, ben lontana dall’ossessione digitale per la perfezione. Accompagnata da una voce cavernosa e ruggente, senza nulla da invidiare a Lemmy Kilmister dei Motörhead. Oltre il concept particolare, elemento a cui Pike ha abituato i fan del gruppo, “De Vermis Mysteriis” è molto di più. È un ciclone elettrico dove si mischiano e dialogano diversi tipi di metal, dallo stoner più pestato di Madness of an Architect e Warhorn alle ritmiche thrash di Bloody Knuckles e Spiritual Rites, passando per le atmosfere psichedeliche della strumentale Samsara. Menzione speciale per King of Days, traccia di sette minuti dove melodia e potenza s’incontrano a metà strada, roba che sembra uscita dai Nevermore di “Dead Heart in a Dead World”: la voce e la chitarra di Pike a tratti ricordano la voce di Warrel Dane (Nevermore) e gli assoli di Jeff Loomis.
In sostanza “De Vermis Mysteriis” è un ascolto consigliato a chi ha ancora voglia di metal fatto come Dio (Ronnie James) comanda: energia pura e incontrollata al servizio degli headbanger di tutto il mondo. Garantisce Matt Pike.
Dario Marchetti
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