[adsense]
Gustave Flaubert affermava che “quando si guarda la verità solo di profilo o di tre quarti la si vede sempre male, sono pochi quelli che sanno guardarla in faccia“, e Letizia Cesarini fa indubbiamente parte di questa ristretta cerchia.
Dopo aver smesso i “panni” anglofoni della Marie Antoinette di “I Want to Suck Your Young Blood“, la Giovanna D’Arco di Pesaro torna alla ribalta con l’omonimo disco (prodotto da Dario Brunori per la Picicca Dischi) ovvero una porta sfondata a calci dietro la quale si celano dodici confessioni al vetriolo di una riot grrl nelle vesti ricercate di cantautrice che, disseppellita la lingua italiana, armonizza liriche viscerali e spudorate alla Liz Phair con la mesta sensiblerie della Small Blue Thing Suzanne Vega. Da novella Lolita nella smaliziata Quanto eri bello, logorata dalle quotidiane lotte armate con sé stessa e con l’altra metà del mondo (Stasera ho da fare, Saliva) a peccatrice redenta che invoca il nome di vergini martiri dietro la sconvenienza di velleità buoniste (Motel).
È il risultato della percezione di sé che urla a squarciagola i malumori e la voluttà di una gioventù ancora tutta da bruciare e che scandisce i minuti di quello che sembra un disco lungo una vita.
Miria Colasante
[adsense]
0 comments