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I Maxïmo Park tornano in grande stile. Tale e quale a quello di quasi dieci anni fa.
Il quarto lavoro della band inglese pare una brutta copia del primo “A Certain Trigger”, che dalla sua aveva essenzialmente il fatto d’esser uscito con una tempistica perfetta, tanto da riuscire ad amalgamare perfettamente a tutte le uscite indie del periodo.
“The National Health” si presenta come citazione della propria citazione indie anni 2000. L’album è pregno di ritornelli orecchiabili e cantabili, ma privi di un richiamo realmente concreto. Certo è che sin dal debutto, i cinque di Newcastle non siano mai stati di facile assimilazione. Ora, complici i testi più “impegnati”, l’album risulta ancor più ostico.
Tra un brano insapore pregno di synth qui ed un motivetto anonimo con chitarra elettrica leggera lì, spuntano The Undercurrents e This Is What Becomes of the Broke, tentativi anonimi di martellare cuori e cervelli sul momento, in perfetto stile tendente radiofonico. Inutile dire che il tentativo cade nel dimenticabile perché, sulla lunga distanza, Gigi D’Alessio possiede molto più appeal.
Si direbbe inoltre che con questo quarto lavoro i Maxïmo Park tentino sonorità alla Coldplay e alla Franz Ferdinand, sperando in una sorte duratura e fortunata quanto quella dei suddetti.
“The National Health” quindi, invece che rilanciare la band in nuova veste, rilancia citazioni di alcuni più fortunati album, in un contesto totalmente anacronistico. D’altronde, nessuna sorpresa se si ammette che questa sorte è abbastanza comune per tutte le band della metà degli anni zero.
In finale, chi credeva davvero in una svolta e ad un ritorno col botto dei Maxïmo Park alzi la mano. Se ne siete convinti anche dopo l’ascolto di un album che lasciato sul tavolino del salotto verrebbe scambiato per sottobicchiere, alzatene due e cominciate a scuoterle a ritmo.
Eliana Tessuto per Mag-Music
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