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In questo numero: Confusional Quartet, Là-bas, Neve Su Di Lei, PornoVarsavia, The Crazy Crazy World of Mr. Rubik, Sycamore Age, Cosmetic, Calibro 35, Decana, Redrum Alone.
Confusional Quartet – s/t (Hell Yeah Recordings)
Fine anni ’70: Bologna fa da background ideale a una rivoluzione cultural-musicale condivisa da varie band, da Gaznevada a Skiantos, fino a quattro ragazzi caratterizzati da un sound waveggiante sospeso tra Devo, Zappa e divagazioni free. Passano i decenni, ma finalmente per i Confusional Quartet l’ibernazione ha fine. E pubblicare un simile ritorno significa seguire la giusta continuazione di quel lavoro omonimo pubblicato ai tempi, proiettata nell’era moderna. Già basterebbe il titolo del brano di anticipazione: Futurfunk, prodotto assieme a Bob Cornelius Rifo (The Bloody Beetroots). Ma ci sono anche il puro electro-boogie di Cani alla menta, il tripudio fatto di synth acidi e Hammond a profusione di Amaricante, la perdizione tra spazio e tempo di Verme, la tribaleggiante Forza dell’abitudine, il sapore Primus di Ritmo Speed e Orazio, il profumo di Medio Oriente di One Nanosecond in Tunisia e i potenti riff di Newnewwave, facenti da fanalino di coda, a illustrare un complesso che ha compiuto il suo “ritorno al futuro” servendosi del giusto sprint per tenere testa al passare del tempo. Un ritorno affascinante, da non lasciar passare sottogamba.
Gustavo Tagliaferri
Là-bas – s/t (Lavorare stanca)
Dopo un paio di demo e una carriera decennale, finalmente è arrivato il debutto ufficiale per i Là-bas, un disco omonimo in stile cantautorale che vede la produzione di Fabio de Min dei Non voglio che Clara. Un disco che ricorda e racconta, una voce segnata da nostalgia e malinconia che suona piuttosto familiare e rasenta il reading, il ricordo che fa da tema portante, i brani che rievocano cose lontane dai contorni sbiaditi come quelli in copertina, ma con una descrizione lucida, caratterizzata da un taglio sensibile e doloroso, lenta e feroce. Ad un tratto non si capisce se a graffiare sono i ricordi che piano si fanno spazio in un immaginario surreale o è la voce di Gorgoglione e il suo modo di mettere in musica forse cose vissute. Là-bas è un album dei ricordi, con fotogrammi bellissimi in La sera, frammenti di vita in Le ore contrarie, un imperfetto costante, la dicotomia malessere-benessere, un passato graffiante. Là-bas, “laggiù”, come a dire “lontano” e invece no. È ancora tutto maledettamente troppo vicino.
Carmelina Casamassa
Neve Su Di Lei – Cerco la bellezza (RPM Produzioni Musicali)
Neve Su Di Lei è il nome della prima moglie di Toro Seduto, dei Sioux. In questo caso però è solo Marcella, una cantautrice con alle spalle battaglia alcuna se non quella con la sua musica. Tutto sommato, di atmosfere nativo-americane vi è ben poco; infatti questo disco, composto da dodici tracce, sembra più prossimo alla tradizione folk irlandese mista ad un gusto tutto nostrano. Il cantato si distanzia poco dalla costumanza fatta di pane e cantautorato e sembra affondare a pieno le mani in un ambiente più genuinamente Irish e così prossimo alla voce Cranberries anni ’90 ma fortemente più indisciplinata. I testi mirano a una voluta puerilità e ingenuità ma non riescono ad arrivare alla testa dell’ascoltatore a causa anche di una fuori metrica forzata e ricercata in modo troppo artefatto. L’album sovrabbondante in archi e fiati, invece che far risaltare degli arrangiamenti potenzialmente sufficienti, sottolineano fallace e appaiono più come riempitivi di pezzi che già alla base mostrano mancanze di contenuto. L’artwork, in linea con il disco, mostra una spensieratezza che eccede in glucosio e che alla lunga stanca. Provate voi a mangiare cucchiaini di zucchero a pranzo.
Eliana Tessuto
PornoVarsavia – [O] (Autoproduzione)
Come se i Carpet Beaters fossero stati colti in un mirino dal tocco spionistico, lo stesso che nasconde anche la voglia di dare una marcia in più a quanto già prodotto in precedenza. A Novara è così, e i PornoVarsavia sono il risultato. Un’opera come “[O]” sancisce l’intenzione dei cinque componenti di ricominciare da capo, di immergersi nel profondo della loro città suonando un rock contaminato da svariate influenze, che ingrana gradualmente traccia dopo traccia, andando da una carica che sembra appartenere a Jon Spencer ma che si trasforma subito in brezza dai toni wave in quel di Odilia continuando per Bla bla NYC all’elettro-disperazione di Sei gradi di libertà e i riff viscerali di Fango e polvere, finchè non si presentano il soffuso crescendo che va da Luz Mala (La luce bianca) all’iter guerrigliero di Il fronte è lontano, il cuore gothic di Il giorno che fugge (gli ultimi Sentenced riportati indietro di qualche decennio) e lo stendimento di Carogiulio e dell’elettronica che trasuda ne L’inutile martirio. Tolta qualche pecca vocale introduttiva, a volte piuttosto sottotono, siamo di fronte ad un nuovo inizio fatto di vibrazioni più che positive, alimentate da un’ottima produzione come quella di Cristiano Santini.
Gustavo Tagliaferri
The Crazy Crazy World of Mr. Rubik – Urna elettorale (The Crazy Crazy Crisi) (Locomotiv Records)
Bologna. I The Crazy Crazy World of Mr. Rubik tornano con Urna elettorale (The Crazy Crazy Crisi). Il messaggio è molto più che chiaro, a cominciare dal linguaggio iconografico (il cassonetto dell’immondizia in copertina e un politico imbellettato sul disco). I testi sono limpidi, non così diretti ma chiari e decisi. A pochi giorni dalle elezioni politiche “Urna elettorale (The Crazy Crazy Crazy)” non può che arricchirsi di significato. Il percorso musicale dell’album è elettronico misto a noise e rock ma non mancano note etniche e un’impronta tribale già presente nel disco precedente “Are You Crazy or Crazy Crazy” (e in questo disco, soprattutto in Sebele). Un presente critico raccontato dalla voce del pessimismo ma senza cadere nella solita rabbia urlante né nella pesantezza del tema. Corruzione, crisi economica,un gioco onomatopeico (Pabababè), un tributo a Giovanni Lindo Ferretti e i CCCP, flebili richiami all’heavy metal, ottimi riff di chitarra, La nona rivoluzione silenziosa, poi i minuti ipnotici di È tempo di… a calare il sipario. Un disco che si lascia ascoltare volentieri!
Carmelina Casamassa
Sycamore Age – s/t (Santeria)
Un fiore che non svolge il solo compito di abbellimento di un terreno, ma racchiude in sé una nuova via di fruizione della musica, fatta di continui e ripetuti scavi tipici degli anni ’60 e ’70, ma ricondotti alla modernità. Questo perché nei Sycamore Age di Stefano Santoni e Francesco Chimenti (figlio del ben più noto Andrea) il bivio da seguire conduce a molteplici direzioni, rintraccibili dal primo all’ultimo brano di questo full length omonimo. Un concept album dove s’intrecciano e si susseguono la linea prog di Binding Moon, il baroque dream-pop di Astonished Birds, i due movimenti in cui si divide la dolcezza di Dark and Pretty, un vago richiamo etnico che rimanda ai ritmi tribaleggianti di How to Hunt a Giant Butterfly, il folk di Tears and Fire, i bombardamenti heavy che aumentano nel corso di Kelly!!!, il tango sfrenato di Romance, quel sapore tra avant-garde e accenni industrial che caratterizza My Bifid Sirens e una voce, quella di Chimenti, che mostra il meglio di sé soprattutto nella seconda parte del risultato complessivo. La dimensione dell’esordio dei Sycamore Age è tutta qui. Così ostica, estranea, inusuale, ma incredibilmente affascinante, una gemma la cui luce non fatica a venire fuori.
Gustavo Tagliaferri
Cosmetic – Arnia/Provincia EP (La Tempesta)
Yin e Yang, due facce della stessa medaglia, due copertine, una nera, “Arnia” (a cura di Celeste Pesaro) ed una bianca, “Provincia” (a cura di Chiara Fazi). Quattro brani, un amore viscerale per i Raein (le cui sonorità sono ampiamente percepibili in In ritirata), un pezzo strumentale troppo breve per capirci qualcosa (Motobecane), un conflitto interno, il contrasto tra due scelte, un basso irrequieto che lascia il segno, una Provincia che canta una normalità necessaria, un disco a tratti pop e a tratti shoegaze, che in alcuni punti sottolinea il parlato e in altri tende a creare atmosfera. Con “Arnia/Provincia” i Cosmetic non schiodano da quell’indie rock post-adolescenziale dei precedenti lavori e va bene così. Per tutto il tempo dell’ascolto sembra di vedere qualcuno su un precipizio indeciso se lanciarsi o meno e quando il disco arriva al capolinea il punto di domanda è ancora lì: reagire oppure no?
Carmelina Casamassa
Calibro 35 – Dalla Bovisa a Brooklyn EP (Tannen Records)
Quanto può essere influente l’ipotesi di una visita in quel della Grande Mela, poco tempo dopo la pubblicazione del terzo album in studio? Per i Calibro 35 abbastanza, tanto da lasciarsi immortalare in un fumetto che porta la duplice firma di Marco Philopat e Gianfranco Enrietto, parole e immagini. Un fumetto, questo “Dalla Bovisa a Brooklyn“, che è anche un E.P. dalla duplice facciata, in quanto composto da tre cover e tre brani freschi di penna propria. Ed ecco quindi che ci si ritrova faccia a faccia con la fuzzeggiante Broccoletto funk, la mistura tra r’n’b e disco di Bushwack Nigeria e un Tema di Alice che sembra omaggiare egregiamente la One di Harry Nilsson portata al successo da Aimee Mann. Ma se il caldo fusion della New York By Night di Piccioni e il wah-wah surfeggiante della profondorossiana Death Dies si rivelano essere convincenti, altrettanto purtroppo non si può dire per Nino Rota e il suo Padrino, riuscito solo in parte, con una veste non all’altezza della versione originale. Un piccolo scivolone che fa di “Dalla Bovisa a Brooklyn” un lavoro più che buono, ma appartenente a una corrente collezionista, visto che non aggiunge molto a quanto già dimostrato nell’ultimo lavoro.
Gustavo Tagliaferri
Decana – s/t (Autoproduzione)
Sarah Fornito e Cecilia Bernardi (ex Diva Scarlet) tornano sulla scena musicale per dar vita ad un nuovo progetto: Decana, che dà anche il nome al disco. Il duo è affiancato da altri due musicisti: Enrico Liverani alla batteria e Daniela Caschetto al basso; per di più, Umberto Maria Giardini (il fu Moltheni) alla produzione e in duetto con Sarah nella traccia Come mi vuoi tu? che a dirla tutta non è la migliore del disco. Rock d’autore, decadente e raffinato che prende spunto dalle migliori istanze elettriche degli anni ’90. Ballate e chitarre in bilico tra la rabbia e la speranza, suoni curati, archi, qualche ripresa strumentale che non guasta, una batteria consistente, una voce profonda e tenebrosa. Un disco che denota intensità di suoni ed emozioni che si stringono in una danza fatta di corde, batteria martellante e una voce di velluto nero che vibrano all’unisono.
Carmelina Casamassa
Redrum Alone – De Redrum Natura (Autoprodotto)
I testi di Lucrezio e il Kubrick di “2001: Odissea nello spazio” che s’incrociano davanti ad un sintetizzatore, in quel di una Bari che, dai suoi pori, non sprizza che elettronica. Tommaso Danisi e Piero Pappalettere, queste le menti del progetto Redrum Alone, lo sanno molto bene, e in un’opera d’esordio come questo “De Redrum Natura” non si perdono davanti alle chiacchiere, ma offrono una decina di brani dal sound travolgente e ipnotico, per non dire tendente anche al ballabile. Oltre alla cover di Emilia paranoica, da Puglia Sounds con furore per colmare il vuoto lasciato dalla trascurabilissima versione firmata Vasco Brondi, c’è anche l’ottima riproposizione alla Justice di She’s Lost Control dei Joy Division, una Remote che sa di Röyksopp, il groove pesto e andante di User Interface, con tanto di voce possente, i Daft Punk che incombono in RevolutionAir e in No Guitars Were Used in Making These Tracks“, forse la loro Around the World, una MidiNight da dancefloor e il citazionismo burlesco della conclusiva Enola Murder. Per essere qualcosa di autoprodotto, non ha di che invidiare con la scena internazionale, anzi, i relativi componenti devono aver appreso parecchio. Senza fare i copioni.
Gustavo Tagliaferri
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