In questo numero: Indie Boys Are for Hot Girls, Verlaine, Ghostchildren, What Contemporary Means, Absolute Red, Pistache, Brothers in Law, Divenere, Granturismo, The Flying Madonnas.
Indie Boys Are for Hot Girls – Into Unconsciousness (Autoproduzione)
Un nome che è tutto un programma o un semplice gioco che nasconde un tranello? Si è più vicini alla seconda opzione, per quanto riguarda un trio romano come questo. Gli Indie Boys Are for Hot Girls, al secolo Alessandro Canu, Daniele Barillà e Claudio Gatta, a dispetto di ogni fraintendimento, con “Into Unconsciousness” propongono un moderno rock’n’roll dal sapore internazionale il cui impatto, già al primo ascolto, mette molta curiosità. È vero, sono molteplici le ispirazioni presenti, il passato come il presente, siano essi gli Editors di The Day That Love Left My Eyes e della cavalcata Let Your Body Out, i Jesus and Mary Chain di Something Like a Dream, e a loro volta gli Horrors di Craving e Abandon, o persino i Blur e i Doors, dal punto di vista del cantato (Colours, Follow the Tide). Ma niente paura: l’odore di già sentito non si sente, ma proprio per niente, e rimangono melodie assassine come quelle di Sad Actors e The One, là dove il palcoscenico è quello condiviso da ascoltatori e musicisti, e dove la capacità di fare propri certi stili è ancora possibile, al giorno d’oggi, per una band che quando si tratta di trascinare sa il fatto suo. Very, very good!
Gustavo Tagliaferri
Verlaine – …e ti proteggerò dal jazz (Dead End Street Records)
Alla tv passa un film d’epoca francese, le note di un violino sghiacciano le strade alle prime luci del mattino, la fine di un inverno sfiora un amore ai tempi della crisi, un tocco nostalgico sulla pelle, l’antico e il moderno insieme, Campari e gin a trattener le lacrime, sognare le vacanze, chetamina e beaujolais. Un disco che sembra un film o è un film che sembra un disco, altalenante tra una ritmica minimal, delicata e una decisamente più articolata. “…e ti proteggerò dal jazz” è stato prodotto, registrato e mixato da Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele (Perturbazione), vanta diverse collaborazioni tra cui Ilaria d’Angelis (…A Toys Orchestra) ai cori. L’album in questione è toccante e introspettivo, una pellicola che scorre mentre un confortevole cantautorato eclettico e catartico ti avvolge e ti porta con sé, in un viaggio tra scenari europei e mondi interiori. Bisogna aggiungere altro?
Carmelina Casamassa
Ghostchildren – Il divo (Autoproduzione)
Come ragazzo e al contempo proprietario principale del monicker romano Ghostchildren, è dall’album d’esordio “Vaga decadenza” che Giulio Cecchini ha visto attuarsi la definitiva maturazione della sua personalità. Se “New Delhi Grand Hotel” era un tuffo nel cuore wave del progetto, questo terzo lavoro, “Il divo“, potrebbe essere l’ideale controparte multiforma, dove la band, allo stato attuale, solca più orizzonti, andando da ballate spaziali come Galassia d’istanti infiniti e la title-track alla malinconia di Campi di girasole, creando connubi tra linee melodiche ipnotiche e ritmiche trascinanti (La moda dell’incivile, Confusamente) e ritornelli killer persi tra inserti galvanizzanti (Storia di un amore screpolato), fino all’elettrica galoppata Urtando contro il cielo, un duro restyle come nel caso di Con fluidità (un tempo In ogni goccia) e il punk sbeffeggiatore di Il manubrio della mia panda, senza nulla togliere a sperimentazioni del calibro di Igiene dell’assassina e il tentativo di art rock riscontrabile in La civiltà dello zolfo. I Ghostchildren sono questo e altro, e il succo di un disco del genere va assaporato fino in fondo, più volte. Terribilmente gustoso.
What Contemporary Means – Succeed EP (Fallo Dischi)
Che la scena musicale underground del bolognese sia piuttosto vasta è indiscutibile. Ciò che potrebbe sembrare discutibile è invece l’italianità di questo EP. Con Succeed, i What Contemporary Means cadono nei ritmi poppeggianti a carattere internazionale tale da immaginarseli in uno scenario musicale al di fuori del Bel Paese. L’opener Sarah Vandella è una dedica all’omonima pornostar, con tanto di b-side alla traccia quattro (Still on Time), che non è il didietro della suddetta ma un’altra dichiarazione della vena pop della band. I WCM giocano a prendersi poco sul serio, con aneddoti adolescenziali e non, brani ludici e ballabili con cui concedersi un po’ di svago nel fine settimana o per ricaricarsi dopo una giornata impegnativa. Nonostante qualche ritmica particolare, il lavoro manca di incisività. Magari gli amanti del genere sapranno apprezzare maggiormente.
Carmelina Casamassa
Absolute Red – A Supposedly Fun Thing We’ll Probably Do Again (Autoproduzione)
Definirei il disco degli Absolute Red “brit attitude”, perché “A Supposedly Fun Thing We’ll Probably Do Again” sembra davvero arrivare da oltremanica. Un’ottima autoproduzione, convincente nei suoni come nelle melodie che strizzano l’occhio in prima linea a gruppi come Libertines e Arctic Monkeys. Lo si intuisce subito dalle prime note di Embryology, malinconica quanto basta come la fitta pioggerella londinese, che ha la pecca di esaurirsi troppo presto quando sembra destinata ad un grande finale. Ma siamo solo all’inizio, e mentre Life in Black and White potrebbe essere considerato tranquillamente come singolo che riempie la pista dei club il venerdì sera, gli altri brani presenti in scaletta non sfigurano affatto, mantenendo sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore, e in un attimo si giunge alla coda della conclusiva Africa Savannah. Per una volta, non cercate ossessivamente il gruppo innovativo, ma prendetevi mezz’ora per godervi il pop di questi ragazzi cresciuti a pane e brit-pop. Freschi, spontanei e divertenti.
Daniele Bertozzi
Pistache – s/t EP (Autoproduzione)
Alla base di un EP di questo genere sta la schizofrenia, la follia, in una chiave alternativa a quella che già conosciamo. Come se, una volta entrati in una discoteca, si scegliesse di dare vita a qualche nuovo gioco, per rompere il ghiaccio e non farsi sedurre da tristi presenze situate dietro l’angolo. Due ragazze situate in quel di Roma come Sara e Caterina sono immuni alle pasticche, preferiscono i pastiche, e per questo sono Pistache. Giochi di parole che funzionano, e che mostrano il loro effetto con sei tracce come quelle che compongono il lavoro in questione: electroclash quello della title-track, una ritmica in 6/4 che che racchiude usi e costumi di certi social network moderni in quel FB Girl, tra Devo e Rettore Sottanta, vagamente industrial-rockeggiante Gay Friend, ludicamente teutonica e pestante, con qualche eco di Zombie Nation, Tanzen ed insospettivamente comica nell’immaginare una versione moderna del nascondino Tana libera tutti!. Ingredienti che ci stanno tutti per quella che è una nuova forma di viaggio mentale. Niente di superlativo, ma un lavoro simpatico che rende immediatamente amabili le due Pistache. Aspettando novità per il futuro…
Gustavo Tagliaferri
Brothers in Law – Hard Times For Dreamers (We Were Never Being Boring)
Non c’è che dire, questi ragazzi hanno saputo assimilare quanto di meglio è stato fatto oltremanica nel biennio ‘80-’90 e farlo loro. Un background sicuramente ingombrante ma che lascia spazio alla personalità e a uno shoegaze trasognante che prende vita nelle otto tracce di “Hard Times For Dreamers“. E se i sognatori vivono tempi difficili, nell’universo dei Brothers in Law non è certo così. Le chitarre ricche di delay e riverbero brillano al sole e ammiccanti indicano sempre la direzione, in particolare nei pezzi più ritmati come nei bellissimi arpeggi di Shadow II e A Magic. Non mancano episodi dai tempi e dalle atmosfere più dilatate, ma mai nulla che non sia in qualche modo rallegrato e sdrammatizzato dalle chitarre o dalla voce, mentre la batteria continua col suo incedere incalzante. Oggi i sognatori possono tornare… a sognare!
Daniele Bertozzi
Divenere – The Snow Out of Her Apartment (RBL Music Italia)
Una macchina da scrivere su cui digitare ogni istante della propria esistenza, mentre i fiocchi di neve scendono uno a uno, in uno scenario prevedibile come quello invernale. Allo scorrere dei tasti, è questo l’ambiente ideale per i romani Divenere, che dall’esordio “IN/VERNO” passano a un secondo lavoro come questo “The Snow Out of Her Apartment“, proponendo una musica post-wave solo apparentemente derivativa, non essendo priva di espedienti molto interessanti, che vanno dagli echi di Editors di Love Loses Emotion e Silence ad una fiatistica che oltre a fungere da classico amalgama (la title-track) crea un effetto di stampo ’80s alla struttura dei brani (Something, Somewhere, You Start Fading), fino al basso funk di Eat My Light, ma soprattutto una Modern Star che è probabilmente il punto più alto del disco. Gradevoli anche l’inaspettata chiusura latin-jazz di You (Know How To) Love Me Quietly e il pop di Thirteen, come anche l’ispirazione interpoliana di In Conscience. Forse manca il tocco finale, capace di renderli una band sensazionale, ma i Divenere sono sicuramente dei ragazzi pieni di grandi potenzialità, passo dopo passo sempre più evidenti, e meritano di essere appoggiati.
Gustavo Tagliaferri
Granturismo – Caulonia Limbo Ya Ya (Brutture Moderne)
Estate. Partenza. Destinazione: Repubblica di Caulonia.Era il 1945, in Calabria, quando il sindaco Pasquale Cavallaro decise di instaurare una repubblica socialista per protestare contro il gattopardesco status quo che continuava a imperversare in quelle terre martoriate dalla guerra. Un evento storico fugace, durato soli cinque giorni. Fugace e significativo come l’ultimo lavoro di Claudio Cavallaro, (nonché lontano parente del Cavallaro socialista) leader dei Granturismo, che ha deciso di partire proprio da quest’avvenimento ma senza parlare di violenze e guerre. “Caulonia Limbo Ya Ya” è immerso in un’atmosfera caraibica: sole, allegria, una pioggia di fine agosto, una domenica in pigiama e poi quell’aria malinconica dell’autunno che si porta via l’estate. La fuga, le dipendenze, l’amore, la precarietà, il tropicalismo, il vecchio calypso. Un disco caleidoscopico, dove tra l’ozio e la leggerezza estiva si nasconde qualcosa di più. Un disco adatto a chi ha voglia di perdersi e divertirsi a una festa in spiaggia. Mojito per tutti!
Carmelina Casamassa
The Flying Madonnas – Demo_N (New Sonic Records)
Una macchina che corre a tutta birra lungo una strada suddivisa in molteplici sbocchi, frutto della psichedelia, un’allucinazione causata da stupefacenti… riconducibili alla musica. Dietro i The Flying Madonnas, nuova fresca entrata della neonata label romana New Sonic Records, c’è solo la volontà di dare un ulteriore aspetto al mondo del rock, articolandolo come un videogioco che diventa sempre più complicato, traccia dopo traccia. Così il passaggio da strutture math (la linea su cui si muove Nonna Alien) incrociate con certo post-rock slintiano (certi punti di Cristo rave, caratterizzata principalmente dal binomio basso supersonico-synth acidi), a sfrenati espedienti space-noise che fanno capolino mentre suona una melodia giocosa come quella di Diciannovenni nei ’90 e lievi tocchi poliziotteschi che aleggiano una volta partita Bruxismo, per poi divenire ideale sfondo di un crescendo sludge, è più che lecito, fino a quando non si giunge al sunto generale di tutta l’opera, riscontrabile nella conclusiva La chanson du petit Clergé Batard, ideale chiusura di un EP da assaporare più e più volte. Se le Madonne volanti sono queste, è davvero un piacere ammirarle schiantarsi al suolo sotto forma di ordigni benigni!
Gustavo Tagliaferri
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