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C’era una volta il rock italiano degli anni ’90. Quello che partendo dai circuiti più alternativi cercava di arrivare al pubblico di massa con vitalità ed energia. Cos’è rimasto oggi di quella scena? C’è chi ormai appartiene all’Olimpo dei re Mida, dove ogni disco equivale a migliaia di copie vendute a prescindere dalla qualità dei pezzi (Ligabue), chi si è ridotto a fare la cover band di se stesso (Litfiba), chi perde pezzi per strada e ormai ha virato completamente sul pop (Negrita), e chi si è scisso in altri progetti purtroppo mai decollati per motivi di salute (Timoria).
Da quel periodo di fermento riecco spuntare gli anhima che, rispetto ai nomi menzionati, hanno ottenuto minor fortuna e visibilità, i quali tornano con una reunion e una raccolta di 16 brani: 5 brani inediti, più 11 estratti dai loro due album (“Toccato dal fuoco” del 1995 e “Impossibile mutazione” del 2000).
Un colpo al cuore, una botta di adrenalina pazzesca. Ascoltare “18Anhima” equivale a risvegliarsi dopo uno stato comatoso, quello in cui versa il rock mainstream nostrano. Il rock non è un vestito che s’indossa per pura facciata. Il rock è uno stile. Non basta scrivere due accordi e alzare il volume delle chitarre per fare rock. Il suono di una chitarra elettrica, soffice o distorta che sia dev’essere il pilastro di un’armonia. Ed è ciò che accade in questo disco con la voce ruvida di Daniele Tarchiani che ci porta per mano in testi che sono la sintesi di due scuole completamente diverse, quella di band internazionali come Coldplay, Muse e U2 e quella della tradizione cantautorale italiana.
L’ascolto è un viaggio circolare dove si recupera il suono essenziale degli esordi passando per qualche spruzzata di elettronica che, sul finire dei ’90, influenzò molte produzioni nazionali e internazionali. Il tutto affonda le radici nella semplicità con cui il rock sopravvive e sopravvivrà sempre alle mode e alle tendenze costruite a tavolino. Sperando che i semi piantati dai cinque nuovi brani fioriscano in una seconda vita per la rinata band fiorentina.
Giovanni Caiazzo
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