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In questo numero: Three Second Kiss, C.F.F. e il Nomade Venerabile, The Jash, Nevica su quattropuntozero, Gianni Resta, Threelakes and the Flatland Eagles, nokeys, Glitterball, El Matador Alegre, Mathì.
Three Second Kiss – Tastyville (Africantape)
Ne è passato del tempo dal 2008. “Long Distance”, nomen omen. Ma i bolognesi Three Second Kiss non badano a scherzi, specialmente quando si tratta di coniugare influenze di vario tipo in un’ottica propria, senza fronzoli. Tornare in scena con “Tastyville” lascia presupporre una lezione ben appresa: ci sono gli Shellac, i cui cambi di tempo non passano inosservati in Caterpillar Tracks Haircut e Mood Red, l’inizio e la fine delle danze, ma anche i migliori Genesis, avvertibili nell’organetto della prima, ci sono exploit che spaziano da dei Fugazi addolciti (Vampirized) e June of ’44 (la cadenzata Don’t Dirty My Heart), ed al contempo delle The Sky Is Mine e Maya dal retrogusto wave, o il blues metropolitano tramutato in spoken word di Cut the Nerve. Un paradosso? Probabile. Ma non è nulla davanti all’incedere mai fine a se stesso del drumming di Sacha Tilotta, la chitarra tagliente di Sergio Carlini ed un cantato, quello di Massimo Mosca, a volte spiritato, a volte maggiormente fedele alla formula base del math. E se un gioiellino come A Catastrophe Outside riassume fedelmente tutte queste caratteristiche ne concerne come “Tastyville” possa qualificarsi come un disco di valore, tale da sottolineare il livello di musicisti di cotanta caratura. Il math-rock è morto, viva il math-rock!
Gustavo Tagliaferri
C.F.F. e il Nomade Venerabile – Attraverso (Autoproduzione)
Se questa è la prima volta che sentite parlare dei C.F.F. e il Nomade Venerabile, sappiate che non si tratta di una band emergente. Si, perché quest’ultima ha già alle spalle un lavoro di ben quattordici anni, contest vinti, premi ricevuti e un’esibizione allo Sziget Festival di Budapest. L’ultimo disco è Attraverso, intriso di tematiche che ruotano intorno al tempo come vissuto personale, da un lato, e come meccanica universale, dall’altro. Testi interessanti, una voce femminile che dondola tra un’Antonella Ruggiero e una Marina Rei, accompagnata dallo spessore dei suoni che sanno fare il loro gioco, danno vita a tredici brani che virano dalla new wave allo stoner-rock. Un buon disco che però non convince fino in fondo.
Carmelina Casamassa
The Jash – Istrionico (Sound Records)
Joe Strummer e il jazz. I Clash e le improvvisazioni. La duplice estetica del concetto di ribellione. Ma anche la musica d’autore. Sono questi i valori chiave di un terzetto come i The Jash. Un invito a nozze che trova la sua via di espressione nella pubblicazione di un esordio come “Istrionico“, fatto di nove momenti, nei quali convivono, nel timbro vocale di Tomaso Ceri, un Gino Vannelli meno rock e più fusion (Penultimi pensieri), tracce di prog 70’s disseminate qua e là (Elegia, Canzone della sera), accostamenti ad Ivan Segreto (“Ecco I Sogni”), una buona dose di funk (Soffia l’anima), storie punk-swing (Tom Punk), rumbe portate ai giorni nostri (È già fatt) e persino una sottile vena rock (Con chi è differente). Un’originalità rintracciabile minuto dopo minuto, che non passa affatto inosservata. Certo, andrebbe apportata qualche modifica (vedesi la debolissima performance vocale di Samuel Beckett, per fortuna compensata da un buon arrangiamento), ma intanto è assodato che questi ragazzi abbiano già delle belle idee, di quelle che hanno portato alla nascita di un buon disco, il cui ascolto è meritato. Aspettandoli alla seconda prova.
Gustavo Tagliaferri
Nevica su quattropuntozero – I diari miserabili di Samuel Geremia Hoogan (Disco Dada Records)
C’è una grande confusione mentale ed emozionale, uno stordimento che può portare all’autodistruzione o a ripartire da un nuovo punto zero. Cos’abbia portato Gianluca Lo Presti, in arte Nevica su quattropuntozero, a questo concept ancora non lo sappiamo, ma quello che ne emerge è sicuramente una situazione travagliata più facile da descrivere coi suoni che con le parole. Suoni infatti che hanno spesso il sopravvento sui testi, portando atmosfere ora elettro-noise al limite dal claustrofobico ora più dilatate ma sempre caotiche. È un lavoro dal sapore meno pop del precedente “Lineare“, anche se l’intenzione è sempre quella di raccontare storie ambientate nella vita di tutti i giorni ma viste da svariate prospettive. Qui però, al posto di intrecciare e far convivere all’interno del lavoro i personaggi, sono le storie ad essere protagoniste. Nessuna traccia emerge più di un’altra, nessun singolo per un lavoro che si vive dal primo all’ultimo respiro con grande coinvolgimento.
Daniele Bertozzi
Gianni Resta – Discorocksupersexypowerfunky (Mapaco Records)
Se il suo disco d’esordio diceva “vinco e torno”, è evidente come un viaggio nella dimensione black possa fungere da nuovo punto di inizio. E se i generi musicali venissero inquadrati come un insieme di lingue diffuse da luogo a luogo, Gianni Resta, già noto per la sua collaborazione con i Lombroso, sarebbe un meritevole poliglotta. Perché “Discorocksupersexypowerfunky“, sua seconda opera in studio, è il melting pot giusto attraverso cui mettere a nudo la freschezza del proprio look dopo otto anni di meditazione, una festa di stampo 70’s dove il divertimento è di casa, e si muovono i KC and The Sunshine Band della title-track, Boney M che rivive in Dancing Like a Fool, Wilson Pickett, Marco Ferreri, La donna scimmia e Vuoi venire a letto con me stasera?, il caleidoscopico rock’n’roll dialettale di Automobbele, ma anche un Barry White moderno come quello di Occhio ai movimenti, lo spoken word di Un luogo comune, la sbornia elettronica di Holostress e il mistico sollazzo bambinesco di John Stay in undici mosse, ovvero Carl Douglas rivestito in chiave poliziottesca. Contaminazioni che si rivelano essere in gran parte irresistibili, un bel biglietto da visita con cui Resta si ripropone al pubblico. Da provare.
Gustavo Tagliaferri
Threelakes and the Flatland Eagles – War Tales (Upupa Produzioni)
Qui si narra la vita o la morte,qui si narrano le battaglie o la storia. Ma non la storia dei libri di scuola, qui il racconto di una guerra prende una piega molto simile a quelladegli aneddoti raccontati da chi la guerra l’ha fatta davvero. Con “War Tales“, Threelakes (Luca Righi) & Flatland Eagles (Andrea Sologni dei Gazebo Penguins, Raffaele Marchetti, Lorenzo Cattalani, Marco Chiussi e Paolo Polacchini) lasciano addosso una miriade di sensazioni tra la tristezza e la rabbia, attraverso le movenze delicate del folk americano. La malinconia e il dispiacere di una partenza, la solitudine di chi resta; dall’abbandono al viaggio, dal sangue al pianto, dalla paura al coraggio, dalla prigionia allo sbarco in Normandia. Un songwriting ispirato che dà vita ad atmosfere verosimili in cui sono immerse sia la lotta dei soldati, sia le attese dei familiari.
Carmelina Casamassa
nokeys – Cold War, Part 1: The Recruitment (SFEM/The Lads Productions)
Se “The Regency” è stato un grande inizio dal taglio internazionale, ulteriormente rafforzato da una produzione condivisa con la Svezia, per il quartetto parmense nokeys la via per il secondo full-length non poteva che suddividersi in tante strade, da affrontare ciascuna nel modo più appropriato. Alla base di “Cold War” c’è proprio questo: storie apparentemente lontane tra di loro che si incrociano l’una con l’altra. E se The Recruitment è il primo capitolo, è evidente una maggiore presenza, rispetto al post-punk chiaroscuro degli esordi, di sfumature depechemodeiane di immediato impatto, che siano rintracciabili nell’interpretazione di Rico Bocci (Nuclear e Print, l’era “Black Celebration” con un tocco di Interpol) o nella struttura compositiva dei brani stessi (il giro di chitarra di Broken). Ma ciò non toglie del tutto la presenza di quella cupezza a loro molto cara, rintracciabile in due momenti come Envy e Parasites, un mood da dancefloor contrapposto ad un midtempo di stampo dark. In entrambi i casi, la band non perde neanche minimamente quella classe che li ha portati alla ribalta, e la curiosità per quella che sarà la seconda parte non può che essere molto alta.
Gustavo Tagliaferri
Glitterball – Teen (Autoproduzione)
Avevamo lasciato i Glitterball con “We Couldn’t Have Dreamed It” circa due anni fa e li ritroviamo oggi con “Teen” ultima fatica del duo. Ulitma fatica che, al contrario da quanto ci si potesse aspettare, ha i suoi momenti migliori quando l’elettronica lascia un po’ di spazio alle chitarre e ai momenti più rock e dilatati. E sembrano davvero le chitarre il punto di svolta nei brani. Entrano ed escono con grande puntualità e il disco prende davvero quota. Infatti dalla quinta traccia, la psichedelica La Folie Baudelaire, si inizia a respirare aria davvero frizzante e i pezzi si fanno interessanti e coinvolgenti come Teens and Death On Credit. L’illusione però dura, perchè alla conclusiva Suicidal, delicata e profonda, ci si arriva un po’ distratti. Rispetto a quanto fatto sentire di buono in passato, il nuovo lavoro si muove in poche direzioni e rimane spesso incollato alle radici da cui proviene, discostandosene troppo poco.
Daniele Bertozzi
El Matador Alegre – s/t (Gabezon Records)
Fantasmi in musica? E’ possibile. Ma non ci sono lenzuoli. Come non ci sono trucchi o maschere, né tantomeno disegni animati o pupazzi sul palcoscenico. El Matador Alegre non ha una forma precisa. Non è neanche un ectoplasma. È una presenza non-presenza, che ha trovato riparo in casa Cabezon Records. È un umano e un androide, fautore di un omonimo full length avente come via di comunicazione principale il linguaggio folktronico. Quello dietro composizioni come Moths, ma anche costituito dalle cadenzate e poi rumorose memorie estive di July, dall’intimità delle note di piano di Long Gone Friend, dalle sfumature tra trip-hop e synth-pop di Undercover (non faticano a venire in mente certi Talk Talk) e Sunny Attic e dal dream-lo-fi di One Day Left. Elementi di un mondo che comprende persino qualche eco rock, ai limiti dello shoegaze, sia esso soffice (Lemongrass) o più assordante (New Year), contatti di matrice pop (You’re the Sea I’m In), oltre che buffe marce circensi come Peanut Butter, che non costituiscono di certo delle note stonate, ma concretizzano ancora di più l’avveramento di quel tanto decantato desiderio di parlare con i fantasmi. Viventi come i viventi, e dal repertorio non meno rilevante. Questo è El Matador Alegre.
Gustavo Tagliaferri
Mathì – (In)quiescenza (Controrecords)
È a partire dal titolo del nuovo disco dei Mathì che la curiosità ci assale e ci spinge ad ascoltare ripetutamente questo lavoro di ricercatezza. Toccanti poesie impreziosite a tratti da melodie dolci e cullanti, a tratti da ritmiche vivaci, mescolando il cantautorato al post-rock. Un incontro magico dove musica e canto si fondono, celando i confini dell’uno e dell’altro fino a materializzare “(In)quiescenza” come una carezza che ti lascia un po’ perplesso, a metà tra un sorriso e un pianto. Dimenticate il mondo fisico e respirate a pieni polmoni le suggestioni platoniche che vi si parano davanti, perché “(In)quiescenza” è sensibilità, inquietudine, quiete, eleganza e conoscenza. È il coraggio di andare oltre per poter vivere un momento di catarsi, è un viaggio che almeno una volta nella vita tutti dovrebbero intraprendere, per riflettere e porsi un po’ di domande ma anche per guardarsi intorno e prenderne le giuste distanze. Il linguaggio colto potrebbe risultare piuttosto pesante, ma tutto sommato si addice al viaggio in questione e che ben rappresenta questo progetto il quale non a caso si chiama Mathì e sta per “metafisica”. Non gli si può di certo negare il talento e la coerenza di certe scelte.
Carmelina Casamassa
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