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“Niflheim” significa letteralmente terra, dimora delle nebbie. Difatti “nifl” è ancora oggi la parola islandese (lingua più vicina al norreno e considerata, da questo punto di vista, più pura) per nebbia e “heim” è la parola tedesca per casa, dimora, dalla quale deriva poi anche la parola “Heimat”, patria. Nella mitologia norrena sarebbe il regno del freddo e dei ghiacci, dove vivono i giganti del ghiaccio e i cosiddetti nibelunghi – da confrontare con la parola tedesca per nebbia, “nebel”. Pare chiaro, alla luce di queste riflessioni, che cosa e quali band ci si potrebbero aspettare dal Niflheim Festival, che quest’anno passa anche dal Traffic di Roma.
Aprono la rosa di gruppi vichinghi i meno vichinghi tra gli scandinavi: dei finlandesi, storicamente legati ai loro vicini, ma etnicamente e linguisticamente parlando assolutamente diversi. Gli Shade Empire si dedicano ad un black-metal con molti elementi sinfonici o quantomeno melodici, ricordando, almeno per quanto riguarda lo scream del cantante, i Dimmu Borgir. Malgrado la proposta non sia eccessivamente originale, dimostrano di sapere il fatto loro e di avere esperienza live, si muovono sul palco e dialogano col pubblico, compreso qualche scambio di battute in finlandese con uno spettatore connazionale.
Li seguono gli svedesi Ereb Altor, una delle rivelazioni della serata. Le sonorità, molto vicine a quelle dei conterranei Isole, vengono immediatamente chiarificate una volta scoperto che i due gruppi hanno in comune tre quarti di formazione. La principale differenza tra i due progetti paralleli è sicuramente la maggiore influenza che un gruppo come i Bathory ha sui primi, e la conseguente focalizzazione su certe tematiche. Una vivida dimostrazione di ciò è una delle canzoni suonate dagli Ereb Altor, intitolata Nifelheim – una delle tante varianti del nome del regno dei ghiacci, così come Niflheimr. Anche questi ultimi risultano essere una band molto valida, e soprattutto viene difficile immaginare qualcosa di più epico di una via di mezzo tra il doom classico e il viking/folk-metal.
Gli ospiti speciali della serata, gli In Vain, suonano invece come terzi, e sono probabilmente il gruppo meno diretto e più ricercato del bill. I norvegesi, dediti ad un progressive-death-metal con influenze black, si presentano sul palco in sei: batteria, basso, due chitarre e due cantanti. Una formazione tanto ampia normalmente comporterebbe qualche problema col corretto bilanciamento dei suoni e, soprattutto su un palco non eccessivamente grande come quello del Traffic, anche qualche difficoltà di movimento ai membri stessi. Tuttavia gli In Vain riescono a destreggiarsi ottimamente sia per quanto riguarda i suoni – e coordinare, oltre ai due cantanti principali, anche i cori di bassista e chitarrista non dev’essere stato facile – sia fisicamente. Unica pecca a riguardo è forse l’immobile esibizione del cantante in scream Andreas Frigstad che, in confronto a quella del suo collega Sindre Nedland, fa davvero una povera figura.
Di tutt’altra pasta sono fatti invece i Månegarm, gruppo svedese che riporta il pubblico verso sonorità più vicine ad un viking/folk tradizionale, molto diretto e senza troppi fronzoli. Non essendo un tipo di musica a me particolarmente caro, non mi ritrovo esaltato come il resto della platea, che invece dimostra di apprezzarli forse anche più di tutti gli altri gruppi che li hanno preceduti, e che si fomenta lanciandosi più di una volta in poghi sfrenati.
Dopo di loro è il turno degli immensi Borknagar che, suonando da headliner, chiudono la serata. Sarà stata colpa delle aspettative troppo alte, ma paradossalmente li ho trovati un po’ deludenti. Inoltre, un problema che sembra affliggerli è la presenza di troppe cosiddette “prime donne”: il mastodontico ICS Vortex domina sicuramente la scena e avrebbe le carte in regola per fare il frontman, ma il dover suonare il basso e cantare allo stesso tempo riducono al minimo i suoi movimenti e la sua iniziativa. Un discorso analogo può essere fatto per il già citato Lazare Nedland, relegato dietro le tastiere e costretto ad una presenza marginale sul palco da un ruolo all’interno del gruppo, purtroppo, altrettanto marginale. A complicare le dinamiche interne si aggiunge anche il fenomenale Baard Kolstad, giovane e talentuoso batterista che recentemente si è aggiunto in pianta stabile alla band, e che ha seguito nei rispettivi tour Solefald, Ihsahn e gli stessi In Vain. Il suo assolo di batteria a metà concerto e la sua personalità esuberante ne fanno un buon musicista, ma “rubano”, in un certo qual modo, la scena a quelli che dovrebbero essere i leader della band. Inoltre Athera, cantante che si trova a fare le veci di Vintersorg (attivo nei Susperia e nei Chrome Division) non si dimostra all’altezza della situazione; non tanto per una sua intrinseca incapacità, ma quanto, anche qua, per delle aspettative probabilmente troppo alte e per la difficoltà insita nel seguire in tour un gruppo come i Borknagar e nel sostituire un cantante eccellente qual è Vintersorg, dovendo oltretutto fare da frontman davanti a un pubblico che non si sente come proprio.
Edoardo Giardina
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