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Come già aveva fatto intuire un disco come “Legna“, entrare a contatto con Capra, Sollo e Peter non vuol dire avere a che fare con la mera pratica dell’incontro vis-à-vis, che sia con ragazzi nel fiore della gioventù o in coloro che, anche superati i 30, danno ancora un senso al divertimento senza giungere nella scontatezza. Perché, anche se i tre che compongono i Gazebo Penguins hanno molta familiarità con certe cose, è evidente il fatto che intrattengano con una certa serietà, siano delle mine vaganti impossibili da controllare, e risultano amabili proprio per questo. Dietro “Raudo” c’è quanto già affermatosi precedentemente, ma con una maggiore immediatezza: un’opera dove, quasi sempre tra i due e i tre minuti, lo spirito dei ragazzi si concentra prepotentemente in probabili inni generazionali che mai risultano banali. Dieci storie di casa dove quel feeling basato su influenze di stampo emo (Finito il caffè ed in misura minore Trasloco) si mescola con galoppate esplosive di stampo hardcore punk (Casa dei miei, Non morirò, Mio nonno) e composizioni maggiormente vicine alla sua variante post (l’intricata Domani è gennaio, la lapidaria Ogni scelta è perduta), tanto da dare luogo ad ideali manifesti delle proprie origini, sospesi tra passato e presente (Correggio), e conclusive summe ponderate con un approccio maggiormente rock (l’ossessiva Piuttosto bene). Passare quasi mezz’ora a contatto con “Raudo” è un processo che non importa se porti al punto da essere allegri cazzoni o persone semiserie. I Gazebo Penguins sono così, che piacciano o meno, e anche solo sfiorarli porta le sue grandi soddisfazioni, sempre. E di riascoltarlo con la stessa carica di prima viene voglia eccome.
Gustavo Tagliaferri
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