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Un bambino con il volto vistosamente imbrattato di sangue e la bambola che costituisce la linea di separazione tra la sua immaginazione ed una realtà ben più triste di quanto possa immaginare. Il materiale e l’inanimato tanto in posizione parallela quanto in evidente contrasto, come se tutto ciò costituisse una via di fuga, da parte dell’infante, dall’ipocrisia e dalla grettitudine regnanti fuori da quattro tenebrose mura. Piccoli Chucky crescono, direbbe qualcuno. Ma di bambole assassine non c’è ombra alcuna quando a fare da giudici sono degli astigiani che del grindcore made in Italy sono diventati tra i nomi di maggiore rilievo, i Cripple Bastards. Loro è la colonna sonora di uno status vivendi del genere, loro è il ritorno in studio in esame in fatto di inediti, meno di sei anni dopo “Variante alla morte” (con la parentesi delle riletture dei repertori hardcore-punk ed affini altrui “Frammenti di vita”), loro è quel “Nero in metastasi” il cui consolidamento viene dimostrato nel corso di 18 momenti.
Ma, una volta entrati pienamente nell’universo, tanto controverso quanto interessante, del gruppo, già dal primo ascolto viene fuori un album che funziona ancora una volta, tanto da costituire un’ideale prosecuzione di diversi dei momenti che hanno caratterizzato le precedenti opere in italiano, a cominciare dallo sbocco di Malato terminale, che continua dove aveva già seminato Sangue chiama. E là dove i propri riferimenti fanno il loro dovere senza farsi seguire pedissequamente, tanto in una mano napalmdeathiana riscontrabile nella furiosa Regime artificiale quanto nella venuta alla luce persino di un fare thrash slayeriano in Lapide rimossa, i sempre ineccepibili testi di Giulio the Bastard, che vanno dal filo logico che congiunge prostituzione e metodi di comunicazione all’interno del proprio ambiente (Promo-parassita, Agonia di un rientro forzato) a storie fatte di conflitti, battaglie, guerre mai placatesi (Nemico a terra, Sconfitto di ritorno, Senza impronte), là dove si susseguono episodi istantanei, immediati, memori della formula applicata per buona parte di “Variante alla morte” (Soggetto leucemico, L’apice estremo, Morti asintomatiche) e “flashback di massacro”, per dirla alla “Misantropo a senso unico“, che ritornano prepotentemente in auge (Passi falsi, Marcatori positivi). Ma, in particolare, due brani a chiudere il cerchio già aperto con Dio è solo merda e Stupro e addio: Occhi trapiantati, la vita vista da quella stessa prostituta così lontana e così vicina dagli occhi del cliente medio, e i nove minuti di Splendore e tenebra, dove gli espedienti già tentati nella passata Autoazzeramento sembrano venire nuovamente alla luce con un fare meno forsennato, ma soprattutto la voce di Giulio, sommessa, disperata, infernale, intenta a scavare tra le parole di Ivan Goran estraendo quanto di più cupo sia presente nella sua “Fossa“.
Una volta chiusa la porta sarà difficile, per quel bambino come per l’ascoltatore medio, ritrovare facilmente la serenità. Ma quando tornano gli astigiani, violenti e spietati quanto basta, viene anche da pensare che ascoltarli, anche se non si mangia pane e grindcore a colazione, sia sempre un piacere. E “Nero in metastasi” dimostra come questi, anno dopo anno, migliorino sempre di più il loro rapporto con la lingua madre.
Gustavo Tagliaferri
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