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Il 2014, ormai nel mezzo del cammin della sua vita, si ritrova ad essere un anno denso di nuove uscite di gruppi affermati e importanti. Una di queste è “Titan” dei Septicflesh, loro tredicesimo album – terzo dalla reunion. E la grande attesa era innegabile, viste le loro ultime distinte pubblicazioni e tutte le allettanti notizie lasciate trapelare dai greci in corso d’opera. È altrettanto innegabile, però, che i gruppi, per aumentarne l’attesa, dipingano spesso gli album in arrivo come qualcosa di eccezionale, fantastico e mai suonato prima, ma che sia anche nuovo e all’avanguardia, qualcosa che suoni sia prog, che heavy-metal, che abbia sia tracce tranquille che tracce pesanti – volendo citare Mikael Åkerfeldt sul suo nuovo “Pale Communion”, non per nulla in uscita ad agosto. Ma d’altronde “ogni scarrafone è bello a mamma soja”.
Tuttavia pare che i Septicflesh non abbiano calcato troppo la mano con le descrizioni entusiastiche, per fortuna. Avevano annunciato cori di voci bianche, e cori di voci bianche furono. E l’epicità che ne risulta in Prometheus è immensa. Idem la diversità di soluzioni che contraddistingue questo loro nuovo lavoro, probabilmente uno dei più variegati che abbiano mai partorito. Soprattutto nella prima parte del disco le partiture degli strumenti sembrano allontanarsi ogni tanto da una forma (symphonic) death-metal tout court e collaudata, prendendo le distanze da tutto ciò che una qualsiasi delle tante nuove leve di questa corrente sinfonica – nata anche grazie alle intuizioni dei Septic Flesh di un tempo – avrebbe potuto sfornare. Nella parte finale dell’album si torna invece su uno stile più canonico e meno audace, non perdendo comunque in efficacia.
Nel complesso “Titan” è un album relativamente complicato, quantomeno se paragonato a “Communion” – non “Pale” in questo caso – e a “Sumerian Daemons”: mette molta carne al fuoco e non sempre la cuoce allo stesso modo. I singoli Burn e Order of Dracul risultano effettivamente un po’ sottotono, ma vengono illuminati dallo splendore di tracce quali Prototype e Dogma. Il growl di Spiros Antoniou rimane sempre su livelli inarrivabili e la voce pulita di Sotiris Vayenas, talvolta quasi fastidiosa in passato, sembra essersi aggraziata e migliorata.
Nonostante risulti difficile paragonarlo alle ultime uscite dei Septicflesh – spesso votate a maniere oltremodo dirette –, rimane sicuramente un ottimo album che dimostra come una band storica abbia ancora qualcosa da aggiungere al discorso musica dopo ventiquattro anni di attività.
Edoardo Giardina
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