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Iconoclastia. Il nesso che vede la figura di Mao Tse Tung e quella di un Ronald McDonald qualunque incrociarsi nello stesso quadro, firmato Giuseppe Veneziano, sembra celare una disarmante attualità, riscontrabile in primis nel costante bisogno di cercare una griffe, un simbolo, un rivoluzionario dove, contrariamente, latita. Interessante come primo approccio da parte del Management del dolore post-operatorio per dare luogo a “McMao“, loro terza opera in studio, oltre che un ulteriore punto a favore della presenza di un suono maggiormente adulto, tale da evitare l’effetto “one shot band”. Permane ogni tanto l’anima danzereccia con cui la band di Lanciano si era fatta valere grazie ad “Auff!“, come nel caso del singolo La pasticca blu o la retrospettiva da Sol Levante de Il cinematografo, ma soprattutto l’avvincente electro-rock visionario di La scuola cimiteriale, memore di certi Electric Six, ed altrettanto rilevanti sono quel James Douglas Morrison che, nell’era del citazionismo d’olteoceano tipico della nuova generazione made in Italy, soppianta Marilyn Monroe molto decorosamente, grazie ad un uso cadenzato e ipnotico dell’elettronica, o il carillon che anima Il cantico delle fotografie. Una particolare menzione la meritano però i momenti più lunghi del disco, che vanno dalla frenetica, quasi introspettiva, Hanno ucciso un drogato, al mood dicotomico di Requiem per una madre, fino al crescendo della più pacata La rapina collettiva, emblematiche dimostrazioni della maturità di cui sopra. Meno funzionante, per quanto buona, è la cover di Fragole buone buone di Luca Carboni, mentre Coccodè, complice la presenza di Lorenzo Kruger (Nobraino), è la vera e propria nota stonata del lotto. Ciò nonostante, “McMao”, pur sacrificando in parte quell’impatto immediato che ha contraddistinto il precedente repertorio, ha dalla sua parte la voglia, da parte dei ragazzi, di ingranare senza rimanere arenati alla solita formula, risultando un’opera godibile. Al di là delle tanto discusse provocazioni.
Gustavo Tagliaferri
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