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Nascere nel 1977 vuol dire ereditare inconsapevolmente tutto il carico degli eventi, forse, più cruciali del secolo scorso: il nonno che parla della Grande Guerra, il papà che parla di pezze al culo, di tappi di bottiglia e tozzi di pane, il fidanzamento romantico dei genitori con il sottofondo di Only You dei Platters ovvero il boom economico americano, lo sbarco sulla Luna, lo Sputnik, la DDR, la guerra fredda, la minaccia atomica, l’impatto con le creste colorate di Piccadilly Circus durante primo viaggio a Londra, le siringhe di eroina ai lati dei marciapiedi e delle aiuole e infine, per fortuna, la musica.
Il più entusiasmante periodo della storia del rock e del pop, a mio avviso sta in questo (quasi) decennio magico: 1977 – 1985. L’essere un bambino a cavalcioni di quel muro che separa gli sfavillanti anni ’70 dallo scenario al neon su sfondo nero degli ’80 comporta l’innesto violento, nella vergine, tenera ma a suo modo perversa fantasia di un bambino, appunto, della convinzione di essere un robot ossia qualcosa di diverso dagli altri, di eterno, di invincibile, un bimbo di eternit, ecco.
Sì perché quegli anni sono anche gli anni d’oro e di bigiotteria micidiale dei robot giapponesi (Mazinga, Il grande Mazinga, Mazinga Z, Goldrake, Gordian, ecc…), dei primi manga, delle astronavi, dei quaderni a quadretti o a righi con le astronavi e di eroi umani, o quasi, come Maisha, Masai, Fantaman, Capitan Harlock, Capitan Futuro, Spectreman, Megaloman, i Cyborg 009 e via come un treno.
Un treno. O un’astronave? E quanto astro e quanto nave?
Ho cercato di non darmi risposte in merito a questi interrogativi galattici forse inconsapevolmente perché questi rimanessero avvolti dal loro meraviglioso incanto, dal misterioso fascino… probabilmente anche perché restassero, come in alcuni casi, delle inconfessabili passioni o pulsioni erotiche.
Ora, da grande, faccio il musicista, il compositore e mi diletto nello scrivere dei testi, delle parole che trovino, come le costruzioni, degli spazi vuoti da riempire. La musica, evidentemente, è un gioco e anche quando diventa lavoro mantiene questa sua peculiarità, questa proprietà.
Si possono rievocare il vago, il passato, la nostalgia (è la magia del ricordo), e separatamente si può celebrare il presente che in quanto tale non esiste perché o è già futuro o è già passato.
Niente, e dico niente come quei racconti che combinavano in modo così chimicamente perfetto storie e sensazioni sonore attraverso complessi personaggi disegnati hanno fuso altrettanto perfettamente il passato ed il futuro: un’astronave pirata chiamata Arcadia (come una regione dell’antica Grecia che diede vita al mito degli Argonauti) o un treno galattico con locomotiva a vapore che segue la fatalità di binari immaginari. Trovo tutto questo affascinante e, riconoscendomi attraverso questo, trovo affascinante trarne forte ispirazione e quindi mi trovo fortemente affascinato, ma questa è solo una mia impressione. La certezza è che io, purtroppo, ho scoperto di non essere un robot, sono tuttavia felice di essere quello che sono e per fortuna non sono di eternit.
a cura di Marco e Christian Gargiulo
#cartonidannati, la nostra personale indagine nel mondo della musica tricolore. Ai musicisti italiani piacciono i cartoni animati giapponesi? Quali? Perchè? Hanno influenzato la loro visione artistica? Scopriamolo insieme!
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