Il 2019 è decisamente l’anno della rinascita di CAPCOM, e se il remake di Resident Evil 2 aveva messo già le cose abbastanza in chiaro, con Devil May Cry 5 il colosso giapponese ribadisce la sua grande volontà di tornare nuovamente sotto i riflettori.
Complice un rinnovamento aziendale di cui aveva fortemente bisogno, l’azienda negli ultimi due anni è riuscita a presentarsi sul mercato con prodotti carichi di aspettative, senza deludere minimamente i suoi consumatori.
Una rinascita totale, un rinnovamento che passa attraverso una comunicazione misurata e una campagna marketing attenta alle volontà dei fan. E così quindi che, oltre all’ottimo remake di Resident Evil 2, CAPCOM ha deciso di ridare lustro anche al franchise di Devil May Cry, rimasto fermo in un limbo dopo il fallimentare esperimento di reboot tentato da Ninja Theory con DMC, accolto positivamente dalla critica, ma bocciato dallo zoccolo duro dei fan che volevano il ritorno del Dante originale.
Devil May Cry 5 nasce quindi con l’obiettivo di rilanciare in modo degno l’IP nata nel lontano 2001 dalla mente di quel geniaccio di Hideki Kamiya, che dalle ceneri di un Resident Evil è riuscito a gettare le basi per il genere degli action stylish, nel quale l’azione viene calcolata attraverso l’esecuzione di spettacolari combo sempre più tecniche con l’avanzare della progressione del proprio personaggio, spesso alternate alle armi da fuoco.
La saga di Dante si ritrova quindi a reggere sulle proprie spalle il peso di una grande eredità per la storia dei videogiochi.
Devil May Cry 5 non ha solo il compito di rilanciare il franchise da lungo tempo rimasto in altomare, ma ha anche l’obiettivo di tenere fede alle sue origini nel gaming moderno. Missione compiuta? Scopritelo nella nostra recensione!
Devil May Cry 5 nasce per essere un punto di ripartenza anche per i neofiti della serie, e proprio per questo motivo è stato inserito un comodo filmato riassuntivo che ripercorre tutti gli avvenimenti cruciali della serie in ordine cronologico, inglobando al suo interno anche la serie animata e alcuni riferimenti ai manga usciti in Giappone. L’unico che resta quasi escluso, manco a dirlo, è proprio la pecora nera per eccellenza, quel Devil May Cry 2 rinnegato dai fan e da CAPCOM stessa nel corso degli anni. Un gioco completamente lontano dalla filosofia del suo prequel: sbilanciato, breve e più in generale anonimo. Eppure, ironicamente l’azienda ha deciso di inserirlo comunque nel canon della storia, difatti Devil May Cry 5 a livello cronologico ora viene definito proprio un sequel di quest’ultimo, complice anche un riferimento diretto presente durante la storia.
Il fatto che stiamo spendendo tante parole per discutere del comparto narrativo di una serie che non ha mai brillato per questo aspetto non è certamente casuale, Devil May Cry 5 per la prima volta decide infatti di imbastire una storia molto più elaborata, corroborata da misteri che attanaglieranno la curiosità del giocatore fino alla fine dei “movimentati” titoli di coda. Non parliamo certamente di un grosso intreccio, ma rispetto al passato il comparto narrativo della serie emerge in maniera preponderante affidandosi molto al fan service, quasi come se volesse rappresentare la chiusura, ma anche l’inizio di un nuovo ciclo.
Il ritorno di un Nero più maturo, giovane co-protagonista già introdotto nel quarto capitolo, funge da contraltare allo stesso Dante, qui visibilmente invecchiato rispetto al passato. A questi due volti noti si aggiunge anche un terzo personaggio inedito, un misterioso ragazzo di nome V, che li riunirà per fronteggiare la minaccia di Urizen, un potentissimo demone che sta sfruttando il Qliphoth, un albero degli inferi alimentato dal sangue degli esseri umani, per accrescere il proprio potere.
Animati da questioni personali, il gruppo di eroi si ritroverà al cospetto di una delle minacce più imponenti che la saga abbia mai presentato, mostrando per la prima volta un Dante messo seriamente alle strette. Ne emerge così un progetto su scala molto più ambiziosa, nel quale il team di sviluppo capeggiato dal veterano Hideaki Itsuno si è ritrovato alle prese con uno dei capitoli più strutturati mai realizzati per la serie: tre personaggi, tre distinti sistemi di combattimento, e un comparto narrativo che aveva la necessità di chiudere finalmente alcune importanti parentesi già suggerite dal quarto capitolo. CAPCOM sorprendentemente riesce ad assolvere a tutti questi compiti mettendo in gioco dei valori produttivi di altissimo livello, lontani dal progetto a budget contenuto che era stato Devil May Cry 4, realizzando probabilmente l’action definitivo di questa generazione, ormai giunta al tramonto.
Partiamo ovviamente con il giovane Nero, il cui ruolo all’interno della storia sarà inizialmente animato soprattutto dalla vendetta: il ragazzo infatti perderà il suo braccio demoniaco, presumibilmente amputatogli proprio dal demone Urisen. La perdita del braccio ovviamente è stata un trucco anche per giustificare un gameplay ancora più elaborato rispetto a quello del quarto capitolo grazie alla presenza del Devil Breaker, arto artificiale creatogli da Nico (altra new entry a cui è riservato il ruolo di spalla comica) dotato di diverse varianti che enfatizzano in molteplici modi l’esecuzione stessa delle combo.
Il combat system di Nero si basa ancora sull’alternanza della spada Red Queen e la Blu Rose, ma con l’introduzione del Devil Breaker le opzioni aggiungono un pizzico in più di tecnicità permettendo di equipaggiare prima di ogni partita un set di protesi artificiali, ciascuna con determinate abilità che differenziano in modo marcato l’esecuzione stilosa delle combo. Come se non bastasse, egli può velocizzare i suoi movimenti sul campo di battaglia grazie al rampino presente nel braccio, il quale permette di avvicinare anche gli avversari per affettarli a colpi di spada. Gli arti artificiali hanno un ruolo strategico all’interno degli scontri, con effetti variabili anche in base al tipo di demone contro cui si sta combattendo. A volte per sfuggire alle prese bisognerà sacrificare un braccio, mentre in altre occasioni alcuni nemici metteranno a dura prova la loro resistenza, portando ad un consumo piuttosto rapido dei loro utilizzi. Se nelle difficoltà più basse il consumo delle braccia viene abilmente soppiantato dalla presenza in grosse quantità di altri arti meccanici sparsi per gli scenari, a partire dalla difficoltà Figlio di Sparda, sarà necessario gestire in maniera più oculata ciascuno di quelli equipaggiati.
Con l’avanzare della storia sarà possibile investire le gemme rosse accumulate nel negozio di Nico (dicasi anche furgone indistruttibile) per potenziare le abilità e sbloccare nuove combinazioni da incrociare con i Devil Breaker. La complessità di Nero raggiunge poi il suo apice nel momento in cui si raggiungeranno i titoli di coda, con l’accesso a ben due abilità aggiuntive che allargano in maniera consistenza quel già gigantesco parco mosse a sua disposizione.
Se già di suo Nero sembra complesso, tutta la spettacolarità e la tecnicità del gioco emergono con il personaggio di Dante, il quale si porta dietro tutte le dinamiche introdotte in Devil May Cry 3 e poi espanse in Devil May Cry 4, qui letteralmente infarcite di ulteriori perfezionamenti che portano il combat system a picchi estremi, con combo quasi infinite. Questo ovviamente è motivato dalla possibilità di attingere ai suoi quattro stili di combattimento: Trickster, Swordmaster, Gunslinger, Royal Guard, ciascuno dotato di manovre evasive e offensive intercambiabili al volo e pienamente integrate all’interno dell’esecuzione stessa delle combo. Il livello di complessità siamo certi potrebbe tenere impegnati i giocatori più esperti per giornate intere a scoprire ogni possibile concatenamento fattibile dalle varie armi di cui dispone il cacciatore dai lunghi capelli argentei.
Tutta la profondità tecnica favorisce una resa incredibile e spettacolare delle combo, il cui apice è rappresentato dall’introduzione di una specifica arma ottenibile solo da Dante nelle battute quasi finali del gioco, portando ancora una volta a rivalutare tutto quello che il suo combat system aveva proposto fino a quel momento. E’ davvero sorprendente vedere così tanta varietà, ma soprattutto una differenziazione così marcata tra Dante e Nero, con il secondo che si rivela quello più “accessibile”.
E per quanto riguarda V? Beh, una volta tanto CAPCOM ha voluto rompere con le regole degli action stylish introducendo a conti fatti un personaggio completamente avulso dal genere in questione, ma non per questo fuori posto. il misterioso “cantastorie” che ama citare le poesie di William Blake difficilmente scende in prima linea sul campo di battaglia, bensì preferisce affidarsi a tre demoni molto familiari ai fan della serie: Griffon, un corvo che lancia fulmini elettrici a distanza, la pantera Shadow che trasforma il proprio corpo in lame affilate per gli scontri ravvicinati, e infine il possente Nightmare, un gigantesco golem invincibile dotato di una potenza distruttiva decisamente fuori scala grazie ai suoi raggi laser.
L’introduzione di V guarda decisamente ai neofiti, grazie ad un combat system basato sostanzialmente sulla combinazione di Griffon e Shadow, i quali possono a loro volta attivare delle forme Devil Trigger per potenziare ulteriormente i danni inferti ai nemici. Questo provoca inevitabilmente degli sbilanciamenti, con V capace di sbaragliare ondate di demoni semplicemente a colpi di button mashing sfrenato. Tutta la tecnicità di Dante e Nero sparisce in favore di tecnicismi meno pronunciati, dove la spettacolarità avviene con il minimo impegno.
Dei tre personaggi lui è sicuramente quello meno difficoltoso da padroneggiare, ma non per questo quello meno divertente. Ai livelli di difficoltà più elevati il piazzamento dei demoni diventa comunque strategico, così come l’evocazione di Nightmare, vero asso nella manica per le situazioni più critiche.
Se dal punto di vista del gameplay Devil May Cry 5 è un titolo davvero esemplare per il genere, la produzione è comunque affetta da alcuni limiti imperdonabili. Innanzitutto, per assecondare le esigenze narrative non è possibile decidere quale personaggio controllare, tutto viene imposto direttamente dallo sviluppatore prima di ogni missione. Questa scelta è stata probabilmente dettata anche dall’introduzione del Cameo System, una sorta di multiplayer asincrono presente in alcune missioni della storia in cui si presenta la possibilità di scegliere uno dei tre personaggi giocabili. Capiterà durante il percorso di incrociare uno degli altri personaggi impegnati ad attraversare lo scenario.
Al termine di uno scontro sarà poi possibile dare una valutazione al proprio partner, il quale riceverà una piccola ricompensa. Per quanto l’idea sia sicuramente interessante, alla fine si rivela un semplice orpello con cui si sarebbe potuto fare molto di più. Dal nostro canto speriamo che sfoci in una vera e propria co-op nella modalità Bloody Palace in arrivo il 1° Aprile.
In parte la decisione di bloccare l’utilizzo dei personaggi sminuisce anche la rigiocabilità, che obbligherà comunque i giocatori a vestire i panni di un determinato personaggio in certe missioni per ottenere il tanto agognato Rank S di fine livello.
Il secondo problema riguarda il level design: se nella prima parte la zona urbana della città di Red Grave offre comunque momenti scenicamente più vari, a partire dalla seconda parte la struttura si concede definitivamente alla linearità, con le mappe che assumono quasi i connotati di arene a livelli da affrontare in maniera consecutiva fino al raggiungimento del boss di fine missione. Un vero peccato.
Chiusa la parentesi sulle scelte dubbie e la linearità dei livelli, è giunto il momento di parlare finalmente del comparto tecnico di Devil May Cry 5, vero fiore all’occhiello della produzione.
Per l’occasione CAPCOM ha deciso nuovamente di affidarsi al RE Engine, il motore grafico che già aveva regalato non poche soddisfazioni con Resident Evil 7 e con il recente remake di Resident Evil 2. Anche in questo caso il lavoro svolto sulla realizzazione dei modelli tocca vette qualitative eccellenti, con animazioni di primissima qualità, soprattutto nelle tante e lunghe cutscene che animano la progressione della storia. Il tutto supportato a dovere da un framerate solidamente bloccato a 60 fotogrammi.
Lo stesso non può dirsi comunque per gli scenari, una nota stonata se confrontati all’enorme livello di dettaglio dei protagonisti, ma anche al variegato monster design, che va a ripescare anche alcune creature iconiche della serie. Il comparto musicale come sempre gioca un ruolo cruciale nel donare adrenalina agli scontri, e questa volta addirittura cresce in potenza di pari passo al Rank che si registra durante una battaglia: più si sale di grado, più diventa gasante la musica di sottofondo.
Al contempo però il comparto sonoro non regala quella memorabilità ascoltata in Devil May Cry 3 o Devil May Cry 4, tuttavia non mancano comunque dei temi ben riusciti, come “Legacy” o “Devil Trigger”.
Devil May Cry 5 segna un ritorno grandioso per le avventure di Dante e Nero, con un capitolo quasi celebrativo che riprende il meglio della saga, con un fan service efficace che aggiunge anche una tridimensionalità a questi amatissimi personaggi. CAPCOM stratifica all’inverosimile un combat system che aveva già raggiunto picchi elevatissimi di complessità con il quarto capitolo. Un prodotto che vive ancorato al suo passato, traendo però tutti i benefici della tecnologia moderna per regalare ai suoi fan il capitolo migliore in assoluto della serie. Jackpot!
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