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Intervista (via email) a Bruno Dorella, uno dei musicisti più interessanti del panorama indie italiano e titolare di diversi progetti (l’etichetta Bar La Muerte, i gruppi Ronin, Bachi da pietra, OvO). Gli abbiamo fatto alcune domande sui Ronin e sul loro ultimo disco: “L’ultimo re“.
– Come ho scritto nella mia recensione de “L’ultimo re”, i due anni che dividono “Lemming” da quest’ ultimo lavoro sono stati, per voi, molto intensi: molti concerti (non solo in Italia ma anche in gran parte dell’Europa), composizione di colonne sonore (episodi sparsi della serie “Non ci pensare” e, soprattutto, il film “Vogliamo anche le rose”). Mi sono sbagliato?
– Aggiungi pure che tutti noi Ronin siamo impegnati con altre bands che suonano molto dal vivo e fanno dischi. Sì, siamo stati discretamente impegnati in questi due anni. Ma spero che gli impegni aumentino, i giorni dell’anno sono 365 e le vacanze mi annoiano…
– “L’ultimo re” è, ancora una volta, la colonna sonora di un qualcosa che non esiste. Come e quando hai avuto l’incipt di quest’opera?
– Avevo in testa molti brani, composti in momenti diversi nell’arco dei due anni, ma non c’era un filo comune, mancava coerenza. Molti anzi erano abbozzi, delle entità incompiute. Avevo bisogno di una storia da narrare in musica, partendo da idee già esistenti. Ho pensato a una frase sentita in un film da piccolo: “Con le budella dell’ultimo prete impiccheremo l’ultimo re“. Da lì ho iniziato a figurarmi un potenziale film che narrasse la vicenda. Le idee che prima erano sfilacciate hanno trovato subito collocazione, senso, coesione. Quelle che non rientravano nell’idea, via! scartate o rimandate a un futuro prossimo. È stato un processo rapido e salutare.
– A differenza dei predecessori, quest’ultimo lavoro risulta più scarno e diretto…
Dici? Non ne sono sicuro… è più arrangiato, ci sono però meno ospiti, meno strumenti, ed è suonato praticamente tutto dallo stesso gruppo, cosa che prima non succedeva, forse questo può dare un senso di maggiore immediatezza…
– Quando ho concluso l’ascolto del disco, mi sarebbe piaciuto molto vedere un qualcosa di visivo. Un qualcosa come l’opera (e videoclip) de Il galeone, firmato da Erica Il Cane. Mai pensato a una trasposizione?
– Onestamente sì. Ma solo Erica il Cane potrebbe farlo. Lui ha la capacità di stupirmi. Ma sarebbe scorretto: se il film è immaginario, deve restare tale. Però non è escluso che Erica il Cane lavori a qualche video di questo disco.
– Ti definisci ancora un “musicista suicida”?
– Questa storia del musicista suicida è stata un po’ travisata, ma la trovo divertente. L’ho detto in occasione dell’uscita di “Lemming”, e intendevo dire che sono uno che, dopo tanti anni di musica, non ha ancora fatto molti compromessi e non ha intenzione di farne troppi.
– Domanda conclusiva: qual’ è stata l’esperienza musicale che ti ha segnato di più?
– Domanda conclusiva ed impossibile. Sono stato in tour in mezzo mondo, non conto neanche più quanti dischi ho fatto, ho suonato nei grandi festival come nelle cantine, sono stato cacciato da locali che trovavano la mia musica “impresentabile”… ecco, forse questa è l’esperienza che mi ha segnato di più. 2001, Pescara, credo che il locale si chiamasse Bacab. Da allora ho preso coscienza del fatto che ero un musicista vero, ovviamente incompreso da qualcuno, ma che ero più forte di qualunque avversità. La mia strada non solo era già segnata, ma la stavo percorrendo. Ce ne siamo semplicemente andati, consci del fatto che vedremo il cadavere dei nostri nemici galleggiare lungo il fiume.
Marco “C’est Disco” Gargiulo per Mag-Music
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