Siamo realisti: quando una band annuncia un ritorno alle origini significa che è a corto d’idee. Se poi il ritorno alle origini comporta l’espulsione dalla band di due membri fondatori, peggio ancora.
In compenso abbiamo circa 400 kg di sezione ritmica, sia letteralmente che metaforicamente. La nuova formazione della “fabbrica della paura” lasciava presagire sicuramente qualcosa di buono. Di certo non sono persone qualunque a suonare la chitarra e la batteria – rispettivamente Dino Cazares e Gene Hoglan – bensì maestri sicuramente indiscussi del loro genere.
Tuttavia, ci troviamo davanti ad un’opera che si può dire eccellente nella sua realizzazione. A livello compositivo sono sempre i Fear Factory, con i loro riffing intricati e martellanti, accompagnati da un drumming decisamente all’altezza (si nota anche qualche sonorità Meshugghiana) ma che alla fine manca molto di sale e originalità.
Purtroppo le band tendono a imprigionarsi in schemi che loro stessi hanno creato, e dunque alla fine è inevitabile ripetersi. “Digimortal” e “Transgression”, ad esempio, sono due dischi che ho apprezzato poiché erano dei mondi a sé, fuori dagli schemi precedenti, ma sempre in stile Fear Factory. Ora con “Mechanize” ritorniamo quasi nella banalità, ci sentiamo dire qualcosa che ci è già stato detto e alla lunga annoia, ma immagino che per Cazares fosse davvero importante prendersi una rivincita su Wolbers e Herrera, visto che ha giudicato le opere in sua assenza addirittura “inascoltabili”.
Oliver Tobyn per Mag-Music
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