Prendendo in mano il nuovo disco dei Soyuz, una lieve aura di mistero e curiosità inizia a circondarti per tre motivi. Il primo, ossia ciò che salta subito agli occhi, è lo sguardo di una ragazza asiatica in copertina, che scruta il futuro ascoltatore del disco; il secondo è il nome adottato dal gruppo, che rimanda a satelliti e viaggi nello spazio; last but not least, il titolo dell’album, “Everybody loves you“. Con queste premesse piuttosto sconnesse (ma confido in un senso remoto), conviene saltare i convenevoli e inserire il disco nello stereo.
E quello che ne esce è puro rock d’impatto immediato, semplice. E alla facciaccia del loro nome, i dieci brani contenuti in questo debutto sono molto terreni: i testi di Mauro Poli rimangono ben ancorati all’umanità e alle sue infinite sfumature, che vengono accentuate da ventate pulite di chitarra e basso (di Giulio John Sprocati), il tutto ben scandito dalla puntuale batteria di Marco Lo Giudice.
Il pezzo che colpisce maggiormente è I Said No, con il suo piglio più trasgressivo e “punk”, ma anche Tofu si fa spazio tra i possibili singoli, grazie ad una chitarra accattivante che coinvolge immediatamente l’ascoltatore.
Degustando con calma e ripetute volte l’intero lavoro, ci si accorge che gli ingredienti sono fondamentalmente pochi, non ci sono innovazioni nè pretese di essere la rivelazione del millennio, ma complessivamente l’album funziona e questa è sicuramente una nota di merito, se consideriamo che i Soyuz sono nati due anni fa.
Ci si può ancora lavorare, ma per il momento va benissimo così.
Michela “Mak” De Stefani per Mag-Music
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