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“Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare“. (Giacomo Leopardi – L’inifinito)
L’amore, il ricordo, la rinascita. Isole perdute, da scoprire, da non dimenticare. Alessandra Gismondi (Pitch, Schonwald), Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi (Giardini di Mirò) sono i Vessel e ci invitano a salpare verso affascinanti approdi. Quattro domande per loro.
Le registrazioni. Per il precedente “Tales of Memento Island” avete usato come studio una chiesa sconsacrata, mentre per “Melodies of Cupido Island” un vero studio, rifinendo il materiale in Spagna. Come mai?
Per divertimento e per trovare ispirazione dai posti.
Le cover. Nel primo EP era presente un brano di Leonard Cohen, nel secondo uno di Serge Gainsbourg e nel terzo? Personalmente vi vedrei perfetti a interpretare un pezzo in italiano, magari “Amore che vieni, amore che vai” di De Andrè, brano che vi ho sentito suonare in un medley in concerto.
Stiamo ragionando su qualche altra reinterpretazione. De Andrè è ovviamente il maestro, molto difficile però incidere il suo materiale senza scadere nella banalità, meglio pensarci bene.
I formati. Sono rimasto male quando, dopo il concerto al Marianiello Jazz Cafè di Piano di Sorrento, nel merchandising, non c’erano copie fisiche del primo EP. È in cantiere una stampa delle vostre produzioni, magari nel sacro formato del “Vinile”?
I dischi si vendono poco e male, non l’ho deciso io, credo neppure tu, sono quelli che Prince chiamava “i segni del tempo”. Accettiamolo. Il supporto oggi s’è smaterializzato e noi abbiamo fatto un prodotto che sia in linea con queste tendenze. Credo che se il progetto andrà bene, come sono convinto, avremo in futuro anche qualche supporto fisico.
Il prossimo approdo. Dopo quella della memoria e del desiderio, per quale altra isola salperanno i Vessel?
L’isola della rinascita. C’è bisogno ovunque di rinascere, siamo una nazione in ginocchio, col culo sfondo e la testa piena di cazzate inculcate da sfacciati approfittatori. Rinascere, alzare la testa, è l’approdo definitivo del viaggio.
Foto di Anita Dadà
Marco Gargiulo
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