Dietro l’interessante moniker si nasconde l’elogiabile promessa di quattro cocker Genovesi. Otto brani disponibili in vinile conditi di roccia e muscoli tanto da evocare qualche desertico mostro sacro di lontana memoria. “Thirtyears” è un album alquanto intelligente, ricco e decisamente “pappabile”, si districa bene tra riff pesanti e robusti e soluzioni dal sapore più neo-grunge.
Tanto nipoti degli Hermanos quanto figli dei Clutch più diretti, i Gandhi’s Gunn evidenziano quell’amore per la polvere e le desertiche lande californiane. Ma gli autori di “Thirtyears” non si fermano a questo: nulla temono e nulla invidiano ai colossi d’oltreoceano. Il video di 23 bodies attualmente in circolazione parla chiaro: l’attitudine della band è pressoché evidente, c’è tanta forza bruta misurata a un ottimo uso delle atmosfere. I quattro usano e sfruttano i quadricipiti stoner per stuzzicare elementi sludge; Going Slow sembra estratta da “Stoner Witch” dei Melvins, ben sorretta da un accattivante e invidiabile chorus.
Sin dalla prima traccia Overhanging è ben palpabile il carattere del combo ligure; voce al vetriolo e chitarre mastodontiche dissotterrano ritmiche possenti e catramose ed è proprio nella stessa opener che l’aura di Homme si fa sentire. Ma episodi alla stregua di Man of Wisdom o A night So Long depistano spingendo verso territori più sognanti e addirittura più acidi. Non mancano parentesi più dirette; Lee Van Cleef, dedicata al noto attore statunitense, è forse il capitolo meno incisivo sia per la semplicità nella costruzione che per la pseudo pulizia nell’esecuzione ma, ovviamente, andrebbe letta in quell’ottica ironica che la colloca perfettamente in un lavoro, questo “Thirtyears”, degno di nota. I sussulti e gli spasmi elettrici dell’album si eclissano all’ombra della ballata strumentale finale End Titles che sigilla con finezza questo prepotente e crudo lavoro.
Certo i quattro genovesi non soffrono di quel tipico appiattimento che colpisce la stragrande maggioranza di band affacciate nel pianeta heavy-stoner dove lo spettro dei Down è sempre pronto a deturpare il principio di originalità.
Consigliatissimo.
Cecco Agostinelli per Mag-Music
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