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“Vorrei essere come tutti quelli che… galleggiano nel mare scuro delle notti, e sentirmi un falco che cavalca il vento“.
Il presagio. Quello a cui si è assistito nel 2005 con l’uscita di un lavoro come “D’istanti”, e che riguarda un gruppo di musicisti a metà tra gentil sesso e animo forte, che del rock, del punk e del mondo wave ha fatto una ragione di vita, riuscendo finalmente ad arrivare alla pubblicazione il primo full-lenght. Un presagio che si è accentuato ancora di più con il successivo “InMediataMente”, un’ulteriore conferma delle loro capacità, fino a tramutarsi in certezza. Perché gli Jolaurlo non sono mai stati uguali a loro stessi. Pugliesi cresciuti a Bologna, scoperti da una costola dei Bisca di allora (Elio “100 gr.” Manzo e Vinci Acunto, in particolare quest’ultimo), hanno sempre cercato di rinnovarsi senza perdere l’ispirazione che li ha spinti fin qui, fino ad oggi.
“Meccanica e natura” è il loro terzo atto, e a differenza del lavoro precedente, legato per la maggior parte a toni chitarristici, ripropone il concetto di melting pot, già sviluppato agli esordi. Stavolta però basandosi in gran parte su sonorità elettroniche, le quali si vedono in una fase di fusione con gli stili di cui sopra.
Basta pensare al fatto che due brani come Polistirolo, il singolo di lancio, e Banale potrebbero riallacciarsi a diverse composizioni della Donatella Rettore di un tempo, ma in chiave moderna, la prima con il suo contorcimento di moog che scivola lungo una melodia terribilmente affascinante, quella che sottende la voce altrettanto affascinante di Marzia Stano, la seconda con il suo rapido incedere. Gli anni ’80 che vivono ancora, nei loro aspetti positivi, come si evince anche dal velo dark che copre Chiaro/Scuro o dagli accordi alla Computer Love di kraftwerkiana memoria di Sempre.
“Renderà liquido quel mare solido: l’imprevedibile realtà renderà liquido quel mare solido. Sentirsi liberi, libera“.
Gli istinti rabbiosi però non vengono di certo soffocati e lasciati senza futuro, altrimenti non avrebbero mai preso vita tre facce di altrettante condizioni umorali come Androide, Il buio e Il caos, in particolare le ultime due, dove il drum’n’bass introduttivo è prossimo a un’esplosione vera e propria di vibrazioni, firmate dal chitarrista Gianni Masci. Fino a quando non si ha voglia di sfociare nella dance (Valentina, Cinema), prima che arrivi il momento di premere sul freno a mano (Senza paura). Come da copertina, è un sezionare continuo di parti di generi, ma per una “causa” più che giusta, anzi, per nulla fallace.
La chiusura, affidata alla rilettura live di Annarella dei CCCP, che contribuisce a dare un’ulteriore chiave di lettura al brano, continuando dove avevano già tentato, con risultati molto egregi, i La Crus all’interno di “Crocevia”, oltre ad essere stata riconosciuta come il cordone ombelicale tra gli Jolaurlo stessi e diverse band della scena nostrana di due decenni fa, fa da ciliegina sulla torta, con tanto di voci provenienti dal pubblico, per un altro centro portato a segno, una promessa più che mantenuta. Marzia Stano non ha nulla, ma proprio nulla, da invidiare (brutto termine, eh) a un’Odette Di Maio, una Mara Redeghieri o anche un’Eva Poles, giusto per rimanere a quanto sopra, sia per attitudine nel ruolo di front-girl che per la musica.
“Sentirsi liberi, libera“.
Auguri, ragazzi. Sempre in gamba.
Gustavo Tagliaferri
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