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Chi scrive segue i Litfiba da quindici anni. Li ha conosciuti nel loro zenith di popolarità ed ha continuato a seguirli nell’oblio – di consensi, ma non di qualità – dei periodi Cavallo e Margheri. Ed è stato parte integrante per circa due anni dello staff del fun club ufficiale dopo la reunion. Quindi, per qualcuno le parole che andrò a scrivere saranno prive di obiettività. Ma non è così. Perché paradossalmente può essere più obiettivo un appassionato che di un ascoltatore estraneo. Perché l’appassionato pretende dai suoi idoli sempre il massimo. Se non di più.
“Grande nazione” è un gran bel disco, mi si perdoni l’involontario gioco di parole. Chi si aspetta un “17 re” o un “Terremoto” parte seconda, è meglio che non approdi su questi lidi. Se invece ha voglia di spogliarsi di nostalgie e pregiudizi, butti il calendario del 1987 o del 1993 e appenda in cucina quello del 2012. Perché oggi, i Litfiba, non sono niente di ciò che sono già stati in precedenza, com’è sempre stato in quell’eterno mutamento della loro carriera. Certo, mantengono la loro impronta (la voce atipica e unica di Piero Pelù) e il loro marchio (l’inconfondibile sound graffiante di Ghigo Renzulli) ma senza cadere nella trappola del copia e incolla di lavori precedenti. Dall’utopia (anzi, “rocktopia”) dello “Stato libero” piombiamo prepotentemente nella realtà quotidiana di un paese in crisi, in ginocchio, nell’ora forse più buia dai tempi del regime fascista e del secondo dopo guerra.
Pelù affronta a viso aperto politici egoisti e banche mangiatutto, usando come arma una lingua dalla prosa diretta e tagliente. Ci sbatte in faccia tutti i nostri problemi e le nostre contraddizioni. Ma, allo stesso tempo, fornisce la chiave per uscire fuori dal baratro in cui siamo sprofondati: l’amore, l’unità tra noi tutti. Se il nostro atrofizzarci ci ha reso schiavi di guide incompetenti, il nostro orgoglio nazionale può portarci alla rinascita. Il suono della chitarra di Ghigo Renzulli regge quest’impalcatura di durezza e positività delle liriche, ricreando quella simbiosi perfetta che portò negli anni ’90 i Litfiba sulla vetta del rock nostrano.
Ma un duo non fa una rock band. Se i Litfiba tornano a ruggire e graffiare come ai tempi d’oro è anche merito di un gruppo di musicisti di alto livello che da forma e sostanza ad arrangiamenti solidi ed equilibrati: Daniele “Barny” Bagni al basso, Federico “Sago” Sagona alle tastiere e Pino Fidanza alla batteria (ai quali si aggiungerà nel tour Cosimo “Zanna” Zannelli alla seconda chitarra).
I Litfiba erano attesi al varco. La perfezione non esiste e come ogni disco, anche “Grande nazione” non è esente da difetti o da alcuni colpi sparati a salve. Ma il quadro generale abbatte il muro di qualsiasi dubbio o timore. Sempre se si è predisposti al viaggio. Perché “la vita è viaggio e cambiamento”. E oggi i Litfiba sono questi, prendere o lasciare.
Giovanni Caiazzo
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Dopo l’uscita del doppio live “Stato libero di Litfiba” che sanciva il loro ritorno, “Grande nazione” è il titolo della prima inedita fatica nata dalla reunion della coppia Renzulli/Pelù. In altre parole, dei Litfiba. Un disco difficile da recensire, soprattutto per un vecchio (per modo di dire) fan come il sottoscritto che, ormai, si è fermato parecchi album fa nella carriera di Renzulli – i dischi con Gianluigi “Cabo” Cavallo e Federico Margheri, anche se quest’ultimo ha partecipato solo a un fantomatico EP – e Pelù (“In faccia” su tutti). Insomma, gli ultimi prodotti buoni della serie. Polemiche a parte, oramai è un dato di fatto che la band fiorentina sia una di quelle realtà che non si possono trascurare, tanto grande è il loro potere e la campagna pubblicitaria che consegue a reunion di questa portata. E allora, eccoci a parlare di “Grande nazione”. A parte il singolo Squalo, quest’album ci propone una band stanca e a corto d’idee. L’involuzione della band è purtroppo evidente fin dalle prime note (Fiesta tosta, resa insopportabile dai mini clip promozionali rilasciati a cadenza settimanale dalla band), l’impressione che si ha da questo lavoro è che sembra composto da scarti del “Five on Line” (il fantomatico EP di cui si parla in apertura) e dall’ultimo disco solista di Pelù (“Fenomeni”).
Insomma, nulla per cui esaltarsi. “Grande nazione” è un disco assolutamente marginale e che non lascia il ben che minimo segno.
Marco Gargiulo
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