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In questo numero: Moveonout, Drunken Butterfly, Julie’s Haircut, Pharm, In the Kennel, Michele Maraglino, Veronica Marchi, Miriam Mellerin, La fine del mondo, The R’s.
Moveonout – Here (Self Records)
Non è da tutti i giorni avere a che fare con esordi la cui lavorazione ha visto la sua chiusura più di un anno fa, ma che hanno visto la luce solo adesso. Però, nel caso dei Moveonout, “Here” fa parte di una categoria di questo tipo. Ed è anche vero che, nel tempo, sono cambiate diverse cose all’interno del gruppo, tra cui l’ampliamento dei componenti, facendone un quartetto, anziché un trio. Ma rimane comunque il fatto che “Here”, così com’è stato realizzato, già presenta degli elementi d’indubbio valore, riscontrabili nei violenti riff di apertura di Drury Lane, nella dolcezza acustica di Earl Grey, nell’allucinata Stay Behind e nel trittico White Muted Pearls, dove la miccia, dopo l’accensione, raggiunge il suo culmine sul rumoroso finale ad opera di Federico Savino, Bubbles and Candles, un via libera ad una magnetica linea di basso suonata da Savino, e Time, calma voce fuori dal coro ma non meno degna d’attenzione. Per quanto non avrebbe stonato, in momenti come Mayo e Clockwise, una limatura al cantato di Marianna D’Amario, che finisce per fare acqua, già iniziano ad uscire i primi frutti dall’albero della band. Che senza dubbio non si asterrà dal presentare diverse sorprese.
Gustavo Tagliaferri
Drunken Butterfly – Epsilon (Irma Records)
L’ambiente è ostile e assume mille forme diverse, i contorni mutano velocemente e una disperata inquietudine pervade tutto. Basta l’inizio di Epsilon per capire che non si è al sicuro, ma è solo l’ingresso nel mondo dei Drunken Butterfly. Infatti è la seconda traccia, Danza, così come Risacca, che è capace di spazzarti via con una potenza costruita su strati di elettronica e distorsioni industrial. Piccolo Dio è un pezzo più disteso che ricorda i più potenti Muse, mentre Alice sembra arrivare dai Nine Inch Nails, come la finale Cinematics vi sorprenderà con un post rock dilatato che sembra un’irreale quiete dopo un’esplosione. “Epsilon” è un lavoro in cui la forma canzone viene rivista e fatta a pezzi. Non è certo un disco di facile ascolto e soprattutto l’idea iniziale è quella di una gran confusione. In realtà bastano pochi minuti per entrare nella spessa coltre di suoni creata dalla band e farsi trasportare da quella che è la sonorizzazione dell’apocalisse.
Daniele Bertozzi
Julie’s Haircut – The Wildlife Variations EP (La famosa etichetta Trovarobato/Woodworm Music)
“Our Secret Ceremony” è stata una tappa fondamentale per Luca Giovanardi e soci, in quanto attualizzazione di quel suono psichedelico che inizialmente è stato solo sfiorato, finendo poi, gradualmente, per essere toccato con mano sempre di più, portando i nostri dove sono adesso. Un anno dopo il recupero de “La montagna sacra” di Jodorowsky, i Julie’s Haircut non si fermano, ed è la Trovarobato a volerli per una nuova uscita vinilica, The Wildlife Variations. Dove i cambiamenti della vita vengono visti da una traiettoria interstellare e letteraria allo stesso tempo, dal “male esistenziale” di Leopardi convertito in arrangiamenti kraut al suono di Dark Leopards of the Moon fino al matrimonio tra stelle e satelliti avente come colonna sonora una base neu!iana (The Marriage of Sun and Moon), mentre i pianeti circostanti fanno da fulcro alla vita di Giovanni Keplero (Johannes) su dissonanze elettriche miste a synth impazziti su una melodia acustica, e rimane l’aria di mistero predominante nel corso di un fuoco appiccato nei paraggi (Bonfire). E’ chiaro che i ragazzi sono belli che maturi per dare una giusta vita a sensazioni di cotanta valenza. E ci riescono, eccome.
Gustavo Tagliaferri
Pharm – s/t (Face Like a Frog Records)
Contaminazione, voglia di sperimentare e desiderio di spingersi oltre fino a trovare nuovi mondi dove spaziare liberamente. Prendete il concetto “canzone” e buttatelo in un frullatore insieme a tutte le influenze che vi possono venire in mente perché nel mondo dei Pharm è come essere nel paese delle meraviglie, dove ci si sposta dal post al free jazz (L’africano), dal western (Western Machines) al noise con stile e facilità, facendo della jam session uno dei marchi di fabbrica. Non è un ascolto facile, se non in certi episodi come Sorbetto e il finale di Q, ma non per questo il disco (seppure quasi interamente strumentale) diventa un tappeto sonoro e basta. Infatti l’attenzione non cala mai, succede sempre qualcosa che ti tiene lì fermo e vigile mentre le atmosfere cambiano e si modificano come una nuvola temporalesca e le immagini che creano nella mente dell’ascoltatore rendono il viaggio sonoro completo. Pazzo quanto basta, è sicuramente uno dei progetti più d’avanguardia in Italia.
Daniele Bertozzi
In the Kennel Vol. 1 – Gentless3 + La Moncada (Goat Man Records)
Non sono poi molte, in Italia, le session nate da svariate etichette con lo scopo di creare dei piccoli esperimenti di vario genere, siano essi dei 7″ o degli EP, in edizione limitata o tutt’altro. Eppure un’idea come quella che è dietro In the Kennel, suddivisa in ben cinque volumi, appartiene eccome alla categoria di cui sopra. Per scegliere di chiamare Sicilia e Piemonte nel corso del compimento del primo atto non è di certo troppo tardi, in particolar modo se a rispondere sono Gentless3 e La Moncada. E se singolarmente i nostri dimostrano di non essere certamente svantaggiati (il post-rock della Rabbia Killer espressa e recitata dai primi in un continuo scorrere, ma in particolare l’incombere di un Charlie Brown sopra le molteplici chitarre che si avventurano tra un testo di Dylan e l’altro in On Busting the Sound Barrier), il contrario non si mostra di certo quando si tratta di suonare assieme, con il rock d’autore già caro a Benvegnù o a Basile che emerge da I numeri o il sospeso incedere ai confini della realtà che è tipico del cantato di Murmur, con relativo coro fantasma. Aspettando l’arrivo dei prossimi quattro capitoli, il piede con cui si è partiti è solo ed esclusivamente quello giusto!
Gustavo Tagliaferri
Michele Maraglino – I mediocri (La Fame Dischi)
È vero, il cantautorato alla Rino Gaetano (in questo caso misto a qualcosa alla Daniele Silvestri) sta prendendo sempre più piede negli ultimi anni, come anche la tematica sull’attuale mediocrità del paese. Sarà che il potere delle parole non è da sottovalutare mai, sarà che il cantautorato semplice con arrangiamenti minimali lascia spesso riflettere, soprattutto se accompagnato da parole nate dal profondo della rabbia e questa rabbia accompagna Michele Maraglino, nel disco “I mediocri“. La sua voce porta a galla il dispiacere che ha dentro, accompagnato dalla sua chitarra acustica, impreziosita a tratti da una seconda, di matrice elettrica, e un basso che in Verranno a dirti che c’è un muro sopra nuotano nella negatività e nella mancanza di una spinta ottimista, in Vita mediocre e Lavorare gratis graffiano, in Taranto trascinanoe disegnano i lineamenti della città che si perdono nei fumi dell’inquinamento, in Umida giocano con sonorità pop e la mediocrità di un amore e in L’aperitivo scattano una fotografia allo stato attuale delle cose. Maraglino è uno che non parla a vanvera. Si è rimboccato le maniche, ha pubblicato diversi demo, creato un progetto parallelo sotto il nome di Love Yourself First, scritto due romanzi, fondato un’etichetta (La Fame Dischi), si è autoprodotto, si è esposto, forse cadendo nella ripetitività in alcuni punti o eccedendo con la quantità di parole in altri ma racconta una mediocrità imperante inuna società passiva e senza coraggio di fronte ad un problema che lentamente uccide tutti, di una società che si lascia plasmare da menti “superiori”, di morti causati dall’ILVA e poi sotterrati dal silenzio dei mass media,delle amarezze di una vita dove è difficile non ritrovarsi.
Carmelina Casamassa
Veronica Marchi – La guarigione (Cabezon Records)
Tanti sono i percorsi intrapresi contemporaneamente alla propria carriera solista. Collaborazioni come quella con Enrico Nascimbeni da una parte e con i Maryposh dall’altra hanno mostrato diversi aspetti della vita musicale della veronese Veronica Marchi, che con “La guarigione” arriva al suo terzo lavoro in studio, e che già rispetto a “L’acqua del mare non si può bere” si presenta maggiormente voltato verso una dimensione folk e molto meno rock, come da ascolto di brani come Passanti distratti e la title-track. Un folk dotato anche di una particolare spensieratezza espressa in Così come mi vedi e La simbiosi ha il passo di un gatto, oltre che della capacità di farsi più lieve, quasi vellutato, nel pianoforte a portata di mano su cui far muovere le note di Tempo e Piedi nudi. Ma a cui possono fare eccezione dei momenti come la doppietta Acqua–Solo un incubo, la prima con rarefatte atmosfere con un pizzico di Francia, la seconda dolcemente giocherellona, trasfigurazione di un’illusione, oppure il coro “ubriaco” della conclusiva La passeggiata, ideale chiusura (se si esclude la ghost track) dell’album. Un album con cui la Marchi si conferma come uno dei talenti di maggiore rilievo del Veneto.
Gustavo Tagliaferri
Miriam Mellerin – s/t (Autoproduzione)
Andando di città in città, prima o poi deve pur succedere di catapultarsi in quel di Pisa, e contemporaneamente di spostarsi a circa due anni fa, quando tre ragazzi scelgono di organizzarsi prendendo spunto da un genere sempre affascinante come il noise rock. È così che i Miriam Mellerin hanno inizio, per arrivare poi alla pubblicazione di un autentico lavoro omonimo come quello in esame. Anche se, essendo alle prime armi, sfuggire immediatamente a certi clichè non è cosa facile, vedesi Insetti o il contatto con la lingua inglese di Trust e B.H.O.O.Q., le quali però risultano più convincenti con il passare dei minuti, vedesi le trombe della seconda, non mancano dei momenti in cui vengono alla luce tutte le potenzialità di Diego Ruschena e soci: l’urlo nel buio di Ostrakon (in mano al chitarrista Daniele Serani), un Cecco Angiolieri ripescato in Stilnovo, là dove De André aveva già fatto con S’i fosse foco, un’intensa e crepuscolare Parte di me in contrasto con il basso ritmato di Made in Italy. Sistemando qualcosina è possibile che i nostri possano giungere da un esordio carino al compimento di un disco ottimo. Un particolare plauso all’artwork. Ah, e alla ghost track!
Gustavo Tagliaferri
La fine del mondo – Siamo nati lontano EP (Salmone Records)
Lontananza è quel sentimento che fa breccia nell’animo di coloro che hanno un particolare affetto per determinate cose e/o persone il cui segno è e rimane indelebile. Scegliere di rappresentarlo attraverso l’avanspettacolo, la danza, e di conseguenza la musica, sembrerebbe insolito, eppure per un progetto come La fine del mondo è decisamente appropriato. Un EP come “Siamo nati lontano“, targato Salmone Records, svolge anche questo compito, oltre a dare l’idea di quello che hanno da dire, attraverso un’opera prima, i singoli componenti. Come Valentina Innocenti, con le sue movenze, si lascia andare al ritmo, così Simone Molinaroli funge da voce recitante su una musica affascinante che si avvicina a certi Calexico (Illuminazione Nr. 1), per non dire ai Bark Psychosis (la title-track) o agli Slint (Forse un giorno/Fissammo l’orizzonte). Momenti che vedono il loro cordone ombelicale in quell’esplosione conclusiva presente, a suo modo, in tutte le occasioni, e che si plasmerà definitivamente in Tutti siamo morti, dove le chitarre di Alessio Chiappelli (quest’ultimo già nei S.U.S.) hanno un ruolo importante. Lo stesso della post-produzione di Gioele “Herself” Valenti: il tocco finale a delle composizioni sfagiolanti.
Gustavo Tagliaferri
The R’s – Empire Mickey EP (Foolica Records)
Da The Record’s a The R’s, per evitare problemi di omonimia con band residenti al di fuori dello stivale. Non è l’unica volta che si mostra un simile cambiamento, e ciò comunque non ferma la voglia di questo trio di tornare sulle scene. Com’è vero che la loro rivoluzione sonora si svolge in quel della Foolica Records, passando dal pop degli esordi a un rock esteso a tante frontiere, quello che nell’EP “Empire Mickey” viene dimostrato già da cinque tracce dove le principali influenze vengono sviluppate con una giusta dose di grezzezza e carica. C’è Pictures on the Water, dove l’organo Hammond e i riff 60’s, senza nulla togliere al coro conclusivo, hanno un’importante voce in capitolo, c’è il portamento afro-tribal di Brainwaves, e c’è la voglia puntare verso il futuro con i synth della più allegra Unkind o con l’intenso excursus di Joe, fino all’andamento di bacchette, batteria e shaker, tutto in mano a Mauro Gambardella, riscontrato in In Heaven I Used to Believe, che lascia la strada spianata ad un forte refrain, con tanto di fiati improvvisati. Seguendo quel tragitto caro anche a diversi progetti esteri, questo EP conferma che i The R’s abbiano iniziato più che egregiamente questo nuovo percorso.
Gustavo Tagliaferri
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