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Ce li ricordavamo come quei ragazzacci a cavallo tra surf e rock che cantavano Non avrei mai in “Fuga dal deserto del Tiki”, ma anche come anche coloro che, servendosi di una distribuzione indipendente, hanno ulteriormente indurito il proprio sound con un album come “B”, fino ad un’ulteriore sterzata verso altri mondi effettuata durante la lavorazione di “Dischi fuori moda“. Tante facce per un mondo poliedrico, il loro, fatto di atmosfere che cambiano da disco a disco, ma il cui cuore musicale presenta sempre numerosi battiti, quelli della voce di Alessandro “Diablo” Spedicati e del bassista Gianmarco “J.D.” Diana in particolare. E una recente uscita come questo “Le belle cose“, momentaneamente rilasciata in download gratuito, non fa affatto eccezione.
Se nel carnet dei ragazzi, freschi dell’arrivo del nuovo batterista Sergio “Lazy” Lasi, l’elettronica è sempre stata un elemento a cui è stata data la giusta considerazione, stavolta è come se la facesse da padrona, trasformandosi nel filo conduttore che accomuna le undici canzoni dell’opera, senza mai snaturarle nella sostanza, ma enfatizzando quella poliedricità che si respira dall’inizio alla fine. Tipico di un’evoluzione che ha raggiunto il suo livello più alto.
Echi pop tanto di La mia piccola rivoluzione, che non dispiacerebbe agli Amari dell’epoca “Apotheke” quanto di un’Aria che fa da ideale continuazione a quel feeling che va dagli M83 agli Smoke City e che caratterizza la strumentale Apnea, leggere divagazioni soul che vanno dall’ironica Tiramisù alla storia di una festa mancata come quella su cui s’incentra Hey tu!, ipnotiche linee di basso made in J.D. che s’intrecciano in una vera e propria jam fatta di cori ossessivi, quelli della titletrack, il profumo di un’estate finita che inebria Soli (con Sista Namely) e La casa sull’albero, psycho-synth che si fondono con il masochismo drum’n’bass in famiglia di Hai fatto male (a farmi bene), una macina di percussioni che si fa strada lungo la scanzonata e conclusiva Amori stupidi e il germe rock che non muore del tutto, mostrandosi vivo e vegeto in Col cuore in gola, con tanto di qualche influenza bughiana. Oggi la ricetta di casa Tiki è questa, prendere o lasciare. Ma anche stavolta da prendere senza indugio.
È vero, sentire Diablo cimentarsi in brani simili potrebbe essere spiazzante, specie per i più stretti aficionados del primo periodo, ma non ci vuole molto per cogliere quella che è la forza di un disco del genere, che conferma come i Sikitikis non abbiano mai perso quello smalto che li caratterizzava già dagli esordi, La spensieratezza che prende il posto della veemenza. Scelta, forse, stavolta necessaria.
Gustavo Tagliaferri
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