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In questo numero: Bianco, Threelakes, Platonick Dive, Femina Ridens, Zondini, Giorgia del Mese, Paolo Saporiti, Sakee Sed, Oslo Tapes, Saluti da Saturno.
Bianco – Storia del futuro (INRI)
Una balena bianca che, appena uscita dall’acqua, saluta con un guizzo di coda. Non proprio un’immagine adattissima per un disco la cui matrice è quella del pop, eppure discretamente calzante per il secondo lavoro in studio di Alberto Bianco, o semplicemente Bianco. Salutare una “Storia del futuro”, quella da lui intesa, rappresentata come un dipinto la cui cornice è fatta di stelle, giorni e notti, dove il contenuto è spensierato e al contempo tirato dove necessario, dove al mantenimento di una propria personalità si accompagnano richiami tanto ai Tre Allegri Ragazzi Morti (Scoria, Mi piace come ridi tu) quanto agli Afterhours (Morto, una più british La notte porta conigli). È vero, non si riesce facilmente a scrollare di dosso il timore di scadere in retorica e banalità (la title-track, il breve funky di Fulminato). Però ci sono diversi episodi che meritano una segnalazione in particolare: una La solitudine perché c’è? duettata con Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, l’intenso svolgimento di La strada tra la terra e il sole e la chiusura elettronica di Quasi vivo (e relativa ghost-track aggiuntiva). Segnali che rendono ancora più evidenti le capacità di Bianco e, pur essendo presenti diverse caratteristiche da sistemare, rendono il lavoro in esame molto carino.
Gustavo Tagliaferri
Threelakes – Uncle T (Autoprodotto)
Accade spesso nella vita delle persone, mentre si è ancora in fasce o quasi, che qualcuno scelga dischi per noi; dischi che sembrano suonare invano. Accade anche però, dopo anni e anni, di accorgersi che in un modo o nell’altro, essi fanno parte di noi. Il senso, l’omaggio e la bellezza di “Uncle T” sta proprio in questo: tra una chitarra acustica e accordi sognanti, brillano piccoli diamanti che a primo impatto sembrano non lasciar traccia ma che invece marcano la nostra memoria. È proprio lì che s’insidia la forza di Threelakes che per l’occasione ha rivisitato brani già presenti nell’EP precedente. In una fredda giornata di dicembre, il folksinger modenese (Luca Righi), insieme ai Flatland Eagles (Andrea Sologni dei Gazebo Penguins, Raffaele Marchetti e Lorenzo Cattalani) ha scaldato il cuore tra una buona dose di musica e una giusta dose di grappa, registrando tutto dal vivo. Cantautorato americano che diventa sempre più intenso e malinconico in The Accordion Player, e che oscilla nei versi di quella poesia quale è Gold. E se dopo The Summer I Was Born non ne avete ancora abbastanza, non vi resta che aspettare l’autunno per l’uscita del full lenght.
Carmelina Casamassa
Platonick Dive – Therapeutic Portrait (Black Candy Records)
Se mai si dovesse ipotizzare un dilemma relativo alla possibilità di un connubio tra la professione di psicologo e quella di musicista, ci sarebbe da rimanere sbigottiti una volta che scoperto che Gabriele Centelli, Marco Figliè e Jonathan Nelli, trio livornese che si cela dietro il progetto Platonick Dive, sembrano aver dato una possibile risposta. Perché ascoltare la “Therapeutic Portrait” da loro proposta significa intraprendere un’esperienza onirica, interstellare, tra glaciazioni e climi tropicali, fatta di voci provenienti da altri pianeti, quelle già udibili una volta partita l’introduttiva Meet Me in the Forest, e che di qui a poco non portano esclusivamente alla continuazione della strada già cara a colleghi come i MUG (Trae, Lovely Violated Innocence), mostrando una devozione verso il post-rock più recente (Youth, di stampo God Is An Astronaut), ma si giunge a contaminazioni trance (vocal per Soundproof Cabinet, progressive per Wall Gazing), suite d’immediato impatto (The Time to Turn Off Your Mind, mnemonica la prima parte, emozionale la seconda) e frenetici happy ending (Moscova Jazzcore). I giusti elementi per un gran disco, un’adeguatissima terapia distensiva che fa dei Platonick Dive un gruppo da non farsi sfuggire.
Gustavo Tagliaferri
Femina Ridens – s/t (A Buzz Supreme)
“Canto per le inadeguate, le furiose, le insoddisfatte, le ritardate, le inscopabili e le sfiorite. Canto per quelle fiduciose, pronte a lottare ed esultare a qualsiasi età.” È così che si presenta Femina Ridens (alias Francesca Messina), che esordisce con un disco omonimo.Voce caratterizzante che a volte sembra giocare coi toni di una bambina capricciosa ma che tutto fa tranne che piangersi addosso, a metà tra una Carmen Consoli romantica, una Cristina Donà sinuosa e una Meg ipnotica. Emotività che esplode, fatta di pochi concetti e tanto pathos, che intriga e persuade con la musica ridotta quasi all’osso e i toni della voce che si prestano ad arrivare lì dove le parole non riescono; ne è un magnifico esempio Esuberanza. Un disco da ascoltare con tutto il corpo, il racconto intenso di un mondo interiore e di una forte personalità, dove il verbo “sentire” ricorre spesso con coscienza.
Carmelina Casamassa
Zondini – Re:visioni del tempo (Kingem Records)
Mark Zonda, al secolo Marco Zondini, del suo pop lo-fieggiante ha fatto una ragione di vita, divenendo un altro simpatico caso a parte della musica di questo stivale, come già si era testimoniato con i Tiny Tide. Eppure cimentarsi con la propria lingua madre aveva bisogno di una prima volta, anche nel suo caso. Ed è così che prendono forma queste “Re:Visioni Del Tempo“, pubblicate con il suo cognome all’anagrafe. E dove, nella sua indole, si scopre come un Fiumani meno aggressivo, dalle tinte 60’s (Cento migliaia di miliardi di milioni di kilometri“, dagli influssi dylaneggianti, Tua madre non lo deve sapere, La spiaggia nel cuore, l’amore che muore), ma che ogni tanto non si dimentica di cimentarsi nel rock (Il lato oscuro della luna), capace di donare anche molteplici affascinanti connubi, fatti di parti ritmiche appartenenti a un’elettronica primordiale (Notte a Parigi), di retrogusti 80’s (Nouvelle California), di divertenti filastrocche (Jack Jack Jack, Buon compleanno Mr. Mike) e immediati evergreen (Neve nelle vene). Un universo da cui è molto difficile scappare, e che si finisce per fare proprio nel giro di poco tempo. E, vista la sua strabordante immaginazione, forse Zonda è più unico che raro, teniamocelo stretto.
Gustavo Tagliaferri
Giorgia del Mese – Di cosa parliamo (RadiciMusic)
Eccoci al secondo disco di Giorgia del Mese, cantautrice pop-rock che ha già raccolto consensi e premi dopo l’esordio di due anni fa. “Di cosa parliamo?” Parliamo di un disco autoreferenziale che si espande a macchia d’olio fino a coprire un’intera società e molto di più: buon senso, etica, autocritica, soldi, televisione e beneficenza. Testi incisivi e fluidi che oscillano tra la denuncia e l’intimismo e che in qualche modo fotografano una società troppo spesso succube di quella politica che organizza e crea stati di inerzia, fino a risultare disarmante. Questo disco politico-esistenziale vede la partecipazione di importanti artisti della scena indipendente italiana: da Andrea Franchi (Paolo Benvegnù) alla produzione, ad Alberto Mariotti (King of the Opera) che duetta nell’opener, da Alberto Lega e Fausto Masolella (Avion Travel) che impreziosiscono Agosto e, dulcis in fundo, la collaborazione di Paolo Benvegnù in Imprescindibili, tanto per chiudere con amore e bellezza. Un disco che suona decisamente molto italiano per certi versi, che attinge alle sonorità dei primi anni ’90 e che ricorda molto la Mannoia, ma piace anche a chi la Mannoia non l’ha mai ascoltata più di tanto. Consigliatissimo!
Carmelina Casamassa
Paolo Saporiti – L’ultimo ricatto (Orange Home Records)
Un rogo messo in atto sul ciglio di una strada, in direzione di quella che appare come una brughiera, visto dagli occhi di chi, nel suo canto, ne legge una punta di malinconia. Questo è “L’ultimo ricatto” secondo Paolo Saporiti, che a due anni da “Alone” partorisce un lavoro imbevuto d’intimo folk, per non dire alt-folk, specialmente vista la presenza di un esperto in rumoristica come Xabier Iriondo come musicista addizionale, degna controparte di quel Teho Teardo già in pista nella precedente produzione. E così il banjo di Sad Love/Bad Love e la freejazzante We’re the Fuel, lo stesso free jazz che fa capolino tra vari riverberi (I’ll Fall Asleep), le dissonanze del crescendo su cui ondeggia Toys, i violini elettrici di War (Need to Be Scared), il pianoforte di Deep Down the Water, i cambi di In the Mud, campane incessanti e macchine da scrivere su cui riportare le proprie memorie (Sweet Liberty) e una Never Look Back che potrebbe essere l’ideale manifesto dell’opera sanno come soppiantare la mancanza dell’elettronica. Intrecci che sono come un diario personale, per Saporiti. Un diario felicemente condiviso con tutti, con discrezione, e dal contenuto indiscutibile. Per un artista sempre di grande rilevanza.
Gusavo Tagliaferri
Sakee Sed – Ceci n’est pas un EP (Appropolipo Records)
Dopo i primi lavori (“Alle basi della Roncola” , “Bacco EP” e “A piedi nubi”), ma soprattutto dopo i primi tre anni di approvazione dalla critica, i Sakee Sed tornano in scena con “Cecì n’est pas un EP“. Diciotto minuti di savoir-faire ironico e vintage, in cui la band sperimenta l’assenza del basso, un uso alternativo della voce e una scrittura simpatica, nonostante i vari non-sense deliranti. I voli pindarici da una traccia all’altra sono tanti: dal sound anni ’70 a quello reggaeggiante, dal blues al punk rock. Una lettura personale di vari generi musicali con un approccio caleidoscopico che mescola il vecchio con il nuovo, rilasciando così un suono pieno e ricco di dettagli. Consigliato , quindi, l’ascolto di questa ultima release che trapela libertà e divertimento ma senza strafare e cadere nei soliti giochini da esibizionisti egocentrici.
Carmelina Casamassa
Oslo Tapes – s/t (DeAmbula Records)
Per essere “un cuore in pasto a pesci con teste di cane“, e non poteva essere più appropriato un simile identikit, non poteva che lasciarsi spartire da tre menti musicali di altissimo rilievo, ovvero Marco “Marigold” Campitelli, Amaury “Ulan Bator” Cambuzat e Nicola “Bologna Violenta” Manzan. Ma quello che c’è dietro Oslo Tapes non è facile da sintetizzare. È un esperimento che va assaporato fino in fondo, un vento che soffia forte sulla pelle, che dà una maggiore vitalità alle undici composizioni nate da un simile connubio. Da qui la “terra dei ragni” slintiana che riprende forma in Attraversando, il matematico incedere di violini di Alghe, il reading sospeso di Elogio, l’ipno-viaggio di nove minuti tra le onde dello shoegaze di Imprinting, la marzialità di Nove illusioni, il rock viscerale di Les elites en flammes, i drone spettrali di Impasse in contrasto con il sangue dreamy che scorre in Tremo, il cuore acustico di Distanze e l’omelia 60’s Crux privée. Il tutto con contributi esterni firmati da ospiti come King of the Opera, Werner e buenRetiro. Per dei nastri che non solo fanno sì che Oslo possa essere vissuta anche al di fuori di essa, ma che celano un’opera di grande valore, che merita più di un ascolto.
Gustavo Tagliaferri
Saluti da Saturno – Dancing Polonia (Goodfellas)
Se credevate che il viaggio con i Saluti da Saturno fosse terminato, vi sbagliavate. Non disfate i bagagli perché la strada è ancora lunga: da Valdazze a Cracovia, passando per la Finlandia. Dancing Polonia è (rispetto al precedente disco) tutta una transizione: dall’optigan al pianoforte, dalla gioiosa malinconia alla gioiosa rabbia, dalla balera al cinema, dal “pianobar futuristico elettromeccanico” al free jazz cantautorale. Torna l’amore per la sua donna, l’amore paterno, i racconti, le citazioni cinematografiche che ispirano e incorniciano tutto il lavoro; senza tralasciare il lato ludico, la voglia di fare musica divertendosi. Questo, dunque, è il terzo disco della band, di quel Mariani che non si è arresoneanche di fronte a spiacevoli avvenimenti del passato ed ha, invece, trovato la forza (tra segni del destino e sorprese della vita) per trasformare una vecchia fine in un nuovo inizio, come si evince dal singolo Un giorno nuovo.
Carmelina Casamassa
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