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Nel cuore dei fratelli Stefano e Carlo Venturini vive un suono fatto di chitarre rabbiose e struggenti, voci del grigiore e della luce del sole, manifestazioni di un’anima e di un corpo in continuo mutamento. Un contrasto che vive di vita propria in quello che è il mondo dei Ka Mate Ka Ora, ben proliferante grazie a due album di tutto rispetto. Pertanto, giungere al terzo atto con questo “Violence” assume un particolare significato, tale da portare a un ulteriore marcamento di quello slowcore etereo, se non concentrato assieme allo shoegaze e a certo, che plasma ogni composizione dando loro la giusta forma. Il risultato è un lavoro come sempre affascinante, dove i nostri, oltrepassando l’elementare linea del rock, passano dall’incontrare i Low che procedono a passo cadenzato, disperato (The Funeral March of the Whales), con un tocco di decadenza (Birdy, Mistake Song), a ritrovarsi mano nella mano con Cure (Daisies Wine), My Bloody Valentine (Flowers) o Jesus and Mary Chain (Dreamer of Pictures), e non si dimostrano di certo restii ad avvicinarsi al noise (The Lobster) o a scrivere ipotetiche canzoni d’amore quali una breve e passionale Jasmine’s Lullaby o la più tirata Last Words. Influenze che non snaturano di certo l’involucro dei Ka Mate Ka Ora, anzi, rendono questa “Violence” vero e proprio piacere.
Gustavo Tagliaferri
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