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Il nome potrebbe far pensare a una cantautrice olandese, ma i Vanessa Van Basten sono italiani fino al midollo. Nati come duo dedito a un “postrock depressivo con chitarroni pesanti oppure metal strumentale con atmosfere sdolcinate”, è però (quasi) automatico che si finisca per identificarli con quella che da sempre è la loro mente, Morgan Bellini. “Questo progetto – ci confidava qualche tempo fa – è da qualche anno la mia valvola di sfogo ed è una cosa molto profonda per me, che coltivo sempre”. Attivi dal 2004, hanno pubblicato due album, altrettanti EP e diversi split, ma l’archivio di Bellini pare sia così sterminato da contenere “svariate ore di musica”: preparatevi quindi a sentirne delle belle. Intanto questa è la sua playlist. Buon ascolto!
Lycia – The Return of Nothing (da “The Burning Circle and Then Dust”, 1995)
Questo è uno dei brani più depressivi e agghiaccianti che conosco. Spesso mi immergo profondamente in esso. La melodia del ritornello sembra dire: “l’esistenza è nera come la morte e i bei tempi andati non torneranno mai più”. Vietatissimo sotto Natale…
My Bloody Valentine – Never Say Goodbye (singolo, 1987)
Spirito anni ’90 all’ennesima potenza. Quando riparte il riff sul ride (dopo il ritornello) sento l’impulso irrefrenabile di saltare per la stanza o di fare air guitar come un forsennato. Scoprire questa canzone molto tardi, a trent’anni, è stato come tornare forzatamente e meravigliosamente in terza media. È simile a ‘In a Jar’ dei Dinosaur Jr, ma un po’ commovente.
The Cure – Closedown (da “Disintegration”, 1989)
Questa la sto coverizzando veramente, assieme a tutto il resto di “Disintegration”. In realtà la lascerò assolutamente identica. Aggiungerò solo dei chitarroni “doom” e la rallenterò per autoipnotizzarmi ancora di più. Inoltre ha uno dei giri di basso più divertenti da suonare di sempre.
Godflesh – Mighty Trust Krusher (da “Streetcleaner”, 1989)
Un unico, dissonante loop sui cantini, su cui si innestano ritmiche meccaniche, urla disumane e canti gregoriani. Sonorità contundenti, devastanti, per chi auspica la fine del mondo.
Ennio Morricone – Metti una sera a cena (dalla colonna sonora di “Metti una sera a cena”, 1969)
Una musica sempre stupenda, specialmente se vivi all’estero ormai da un po’ di tempo e proprio non riesci a far capire a “loro” che gli spaghetti e la pizza non sono per niente uno stereotipo, ma la base della vita. Poi magari “loro” hanno il coraggio di ribattere con Falco e con la loro versione della cotoletta alla milanese.
Radiohead – Let Down (da “OK Computer”, 1997)
Per quanto mi riguarda, la più bella ballata pop degli ultimi 25 anni. Come molte altre canzoni di questa lista, ho l’assoluta certezza che non sarei in grado di farne uscire una versione decente. Non importa, l’umanità dovrebbe cantarla e suonarla allo sfinimento in un pianto collettivo fino a impietosire questo Dio lontano.
The God Machine – Mama (da “One Last Laugh in a Place of Dying”, 1994)
Non è il mio brano preferito di questo gruppo che adoro, ma è quello che mi piacerebbe suonare dal vivo. Mi darebbe la possibilità di incanalare e scaricare sul pubblico una precisa intenzione, quella al minutaggio 2:24. Pura violenza psicologica.
Swans – She Lives (da “The Great Annihilator”, 1995)
Non c’è luce in questa musica. Eppure la canzone parla di vita. Molto emozionante anche il finale, staccato dal resto, tipo gli inserti di “Soundtracks for the Blind”. Amo questo pezzo, ancora di più da quando lo chiesi a gran voce in un piccolo locale e Michael Gira, sorprendentemente, mi accontentò. A metà canzone un calabrone enorme si posò sul microfono ed egli si ritrasse, terrorizzato dalla venuta di quello che definì un “fucking demon”.
Ulan Bator – Pensees massacre (da “Rodeo massacre”, 2005)
C’è qualcosa in questa canzone che mi tocca parecchio, al di là della maestria totale di questi musicisti. Sarà forse la parte vocale, su questo groove irresistibile. Se metto su questo cd, finisce che la mando in repeat per 3 o 4 volte, come sta accadendo ora, mentre scrivo.
Katatonia – Brave (da “Brave Murder Day”, 1996)
Proprio le chitarre che mi piacciono! Era ora che nel metallo arrivassero queste melodie sinistre (era il lontano 1996). Nella mia adolescenza solevo consumare questa cassetta registrata vagando nei boschi del Carso, strapieno di Xanax e birra, e la natura intorno a me si offuscava. In alternativa c’erano il Lexotan con Burzum, al porto industriale di Trieste.
Sex Pistols – God Save the Queen (da “Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols”, 1977)
A volte vorrei avere la forza, la determinazione, anche soltanto un briciolo di intenzione di non ascoltare ossessivamente i pezzi 1, 4, 6, 7, 8, 9,10 di questa lista e di contribuire in qualche modo a cambiare questo mondo corrotto e malvagio.
a cura di Christian Gargiulo
11 cover per… funziona così: un(a) musicista sceglie le undici, altrui canzoni che inserirebbe in un suo personale album di cover e per ogni scelta fatta ci spiega il motivo. Senza alcun tipo di limite: né di genere né di nazionalità né di periodo storico.
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