11 cover per… Marco Soellner (Klimt 1918)

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Band di difficile catalogazione, i romani Klimt 1918 nascono per volontà dei fratelli Soellner, Marco e Paolo (rispettivamente voce/chitarra e batteria). Dopo lo scioglimento del loro gruppo precedente, nel 1999 decidono di iniziare una nuova avventura. L’obiettivo è preciso: “approfondire il nostro amore per i Beatles, per certe sonorità wave ’80 (Cure, U2, Smiths, Tears For Fears, Police, Japan, Bauhaus) e avantgarde (Katatonia, Novembre, Anathema, Opeth)”. Negli anni però il sound dei capitolini ha preso altre strade evolvendosi verso “una sorta di indie shoegaze con inflenze post rock”. E i risultati? Al debutto del 2003, “Undressed Momento”, marchiato My Kingdom Music, sono seguiti “Dopoguerra” (2005) e “Just in Case We’ll Never Meet Again (Soundtrack for the Cassette Generation)” (2008), sotto l’egida della Prophecy Productions. E sempre per la label tedesca uscirà anche il nuovo album. Per chi dovesse sorprendersi delle canzoni scelte, rimando alle parole di Marco Soellner: “Per il sottoscritto coverizzare una canzone significa confrontarsi con musica e artisti completamente diversi da quello che si ama/si ascolta solitamente”. Questa è la sua playlist. Buon ascolto!

Pet Shop BoysDomino Dancing (da “Introspective”, 1988)

Mi ricorda il periodo delle scuole medie. La si ballava fino alla morte durante le feste. Ho sempre pensato che questa canzone avesse un appeal melodico impressionante (il ritornello è indimenticabile). Ovviamente sarebbe necessario un restyling partendo dall’eliminazione brutale di qualsiasi suggestione latina. Da La isla bonita di Madonna in poi era scoppiata questa mania di infilare inserti pseudo cubani che creavano un terribile sincretismo Camden/caribico. Da riscoprire acustica, possibilmente accompagnata da copiosi inserti di delay shoegaze.

Duran DuranOrdinary World (da “Duran Duran”, 1993)

La mia canzone preferita dei Duran Duran. È schifosamente pop(olare) e languida. Avrebbe bisogno di essere maltrattata da fuzz, chorus e asta del vibrato usata fino allo spasimo. Con una bella dose di disciplina garage perderebbe la sua natura fastidiosa di ballata acustica. Ci vorrebbe un suono alla Envy: una sorta di apocalisse sonica con un refrain ultra melodico.

Michael SambelloManiac (da “Bossa Nova Hotel”, 1983)

Un grande pezzo anni ’80. La struttura è molto dritta e vettoriale quindi si presterebbe bene ad una reinterpretazione raw post-punk. La melodia di tastiera, particolarmente efficace, potrebbe essere sostituita da un arpeggio di chitarra sottolineato da valanghe di fuzz riverberato ed un basso molto distorto alla A Place to Bury Strangers. Death-pop allo stato puro.

Everything but the GirlMissing (da “Amplified Heart”, 1994)

House music esistenziale e proletaria. Arrangiamenti scarni, la voce dolente e magnetica di Tracey Thorn. Ho sempre amato questo pezzo ed il suo testo malinconico. Ha il potere di descrivere perfettamente quelle atmosfere notturne e piovose dell’Inghilterra dei locali vuoti illuminati dai neon. La base elettronica la eliminerei all’istante ripartendo dalla linea vocale. Un brano da reinterpretare in una versione sacrale: poche chitarre, ma di effetto, basi di pad ed una wardrum militaresca.

Michael JacksonDirty Diana (da “Bad”, 1987)

Forse una delle canzoni più dark composte da Michael Jackson. Tralasciando il testo pseudomoralista, non si può non apprezzare la scelta dei suoni di batteria (il tipico rullante finto alla Quincy Jones) e i tappeti tastieristici che non avrebbero sfigurato in un qualsiasi act gothic dell’epoca. Anche gli inserti di chitarra non sono male, anche se eliminerei l’assolo finale di Steve Stevens (almeno nella sua parte più hair metal). Cosa potrebbe uscirne fuori? New wave coatta che mostra i muscoli.

Adamski & SealKiller (singolo, 1991)

Un pezzo favoloso. La strofa, come il ritornello, sono eccezionali. I beat non sentono minimamente il segno del tempo, pur essendo stati programmati quasi venticinque anni fa. Sarebbe coraggioso coverizzare questa canzone costruendo un pattern di batteria acustica ispirato alla versione originale: una sorta di marcia molto serrata accompagnata da chitarre alla Jesus and Mary Chain e una voce a cui viene donata la massima centralità.

Lana Del ReySummertime Sadness (da “Born to Die”, 2012)

Adoro questa canzone e il disco in cui è contenuta. Anche gli arrangiamenti non sono male. Il gusto è tipicamente mainstream vintage. Io toglierei il mainstream e potenzierei il vintage con batterie grosse e vere. Anche un tribalismo alla Woodkid potrebbe funzionare. Altrimenti si potrebbe tentare l’approccio witch-house. La base hip hop dell’originale richiama certe sonorità alla Salem, quindi perchè non insistere in quel senso! Powerchord slabrati possibilmente senza quelle orchestrazioni da ragazzine. Meglio basi di chitarra molto liquide e dream-pop.

Swedish House MafiaDon’t You Worry Child (da “Until Now”, 2012)

Forse uno dei brani che ho ascoltato di più negli ultimi tempi. È perfetta: ha una melodia vocale straordinaria ed un crescendo che si presta bene a qualsiasi customizzazione rock. Con una batteria alla Velvet Underground (timpano e rullante) e un basso Rickenbacker molto grasso acquisterebbe quell’autorevolezza necessaria per essere apprezzata da un pubblico completamente diverso. Anche l’anthem tastieristico, assai Ibiza house, se arrangiato con splettrati di chitarra potrebbe dare enormi soddisfazioni. Funzionerebbe meglio degli ultimi singoli dei Glasvegas.

BerlinTake My Breath Away (dalla colonna sonora di “Top Gun”, 1986)

Smodatamente pop e romantico. Un singolo ad uso e consumo di massaie adoratrici di Tom Cruise e Scientology . Ha un grande potenziale armonico ma necessita di un restyling brutale per quanto riguarda gli arrangiamenti. Via il power chord di basso, via la batteria slow-rock con suoni di cartone. Dilaterei al massimo le armonie fino trasformare questo pezzo in una liquida impressione ambient-drone alla Sight Below. Voci lontanissime, riverberate. Una sorta di ballata funerea che farebbe invidia a Ulrich Schnauss.

Eros RamazzottiAdesso tu (da “Nuovi eroi”, 1986)

Quando ho saputo che il testo di questa canzone non è riferito ad una donna ma alla musica, l’arte che ha salvato Eros dalla vita e dai “bordi di periferia”, ho immediatamente sognato di coverizzarla. L’attitudine “tuscolano proletario” fa molto “Rock Action”; quindi perchè non reinterpretarla alla Mogwai (quelli, per intenderci di Glasgow Mega-Snake): wall of sound alti come grattacieli. L’ho sempre detto che a Ramazzotti mancava solo un po’ di brutalità post-rock per essere perfetto!

Vasco RossiLiberi liberi (da “Liberi liberi”, 1989)

La sfida definitiva: coverizzare Blasco ed uscirne fuori vivi. Liberi liberi in fondo non è male, con il suo esistenzialismo maudit, le atmosfere malinconiche. Violenterei gli arrangiamenti, quello è sicuro, donando alla canzone un atmosfera più solenne, forse completamente acustica. Chitarra, voce ed e-bow. Per quanto non stonerebbe neanche una versione wave-newyorkese alla Interpol. Una sorta di NYC in chiave romagnola. Potrebbe fare sfaceli.

a cura di Christian Gargiulo

11 cover per… funziona così: un(a) musicista sceglie le undici, altrui canzoni che inserirebbe in un suo personale album di cover e per ogni scelta fatta ci spiega il motivo. Senza alcun tipo di limite: né di genere né di nazionalità né di periodo storico.

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Blogger professionista e da sempre appassionato esperto di telecomunicazioni, serie tv e soap opera. Giuseppe Ino è redattore freelance per diversi siti web verticali. Ha fondato teleblog.it, tivoo.it, mondotelefono.it, maglifestyle.it Ha collaborato tra gli altri anche con UpGo.news nella creazione di post e analisi. Collabora con la web radio Radiostonata.com nel programma quotidiano #AscoltiTv in diretta da lunedi a venerdi dalle 10 alle 11.

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