Libertà ed eclettismo: intervisa ai Bud Spencer Blues Explosion

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L’idea dell’intervista di seguito riportata nasce principalmente grazie a due input: “Goldfoil” e “BSB3“. Il primo è il disco solista di Adriano Viterbini, mentre il secondo è il nuovo album dei Bud Spencer Blues Explosion. Il primo, per certi versi, è un incontro magico tra immagini e suoni, in cui è possibile intravedere i paesaggi più disparati; il secondo è un disco che ben rappresenta la natura della band, in grado di sedurre con soluzioni eclettiche. Per questo motivo troverete due interviste in una. Cesare Petulicchio e Adriano Viterbini, da diversi anni, riescono a mostrare le loro capacità nel collaborare al fianco di grandi artisti, dar voce al loro progetto ed ottenere meritate soddisfazioni. In questo contesto, si sono limitati a dividersi le nostre domande e rivelarci qualche dettaglio.

C’è una sorta di profondità nel blues forse data da un aspetto sacro che, insieme a quello profano, prova a coesistere all’interno di tale genere musicale. Cosa rappresenta per te il blues?

Adriano Viterbini: l blues è un linguaggio e un’attitudine tramite la quale esprimersi, è musica immediata e ciclica che non ha bisogno di molta tecnica per essere suonata ma che conserva un impatto devastante. La mia vita è cambiata quando da ragazzino ascoltai per la prima volta lo slide di Dallas di Johnny Winter, quel suono fu una rivelazione.

Com’è nata l’esigenza di un progetto solista?

A: A casa mia non ci sono chitarre elettriche, ma solo chitarre acustiche che adoro suonare sul divano. “Goldfoil” è un disco strumentale , appunto, di chitarra acustica e qua e la chitarra elettrica, nato dall’esigenza che nutrivo da tempo di fermare idee ed inflessioni musicali appuntate nell’arco di un anno e mezzo. Mi sono detto, perché non dare una vita a questi brani? mi si è aperto un mondo fatto di viaggi in solitaria e concerti sottovoce e opportunità oltreoceano.

Quali insegnamenti hai tratto dalle precedenti esperienze e dalle collaborazioni con vari artisti?

A: Suonare per altri artisti, cercare di entrare nelle loro menti per essere al servizio del brano che si suona è stata un’esperienza molto importante. Sono cresciuto molto grazie al confronto continuo che si innesca in occasioni del genere, e faccio tesoro di tanti insegnamenti ricevuti nel tempo durante tour e session in studio con tantissimi artisti diversi tra loro.

Quale era il principale obiettivo del tuo debutto solista?

A: Il principale obbiettivo è stato liberare certa musica che fino al momento di uscita del disco è stata chiusa dentro casa mia.

Style-O Blues e Stella South Medley riprendono il nome delle chitarre con cui suoni i relativi brani. Questo fa pensare ad un legame speciale che hai con le chitarre.

A: È vero, le chitarre non bastano mai, ognuna ha un suono diverso, anche piccole sfumature che fanno però la differenza sulla creazione di un brano o sull’attitudine con cui lo si suona. Trovo molto affascinanti i nomi di alcuni strumenti, o dei singoli componenti elettrici o di liuteria, spesso m’ispirano i titoli per i brani… O addirittura dischi. Il goldfoil è il nome di un pick-up degli anni 60, dalle caratteristiche morbide ed acustiche.

Com’è stato accolto “Goldfoil” dal vivo?

A: L’album è andato benissimo, la critica ne ha parlato alla grande ed i live sono stati apprezzati molto, è stato bellissimo poter suonare un’ora di chitarra strumentale, senza troppi effetti speciali e sottovoce… È apparentemente un modo diverso di fare concerti rispetto ai Bud, che ha in comune quell’aspetto di “sospensione” del tempo…

Cosa si nasconde nella misteriosa God Don’t Never Change?

A:  È un brano dalla melodia affascinante, malinconica, che mi ha folgorato dalla prima volta che l’ho ascoltata…mi è sembrato naturale registrare una mia versione, quelle note mi aiutano a scavare, a suonare in modo profondo, ad emozionarmi.

Il nuovo disco, “BSB3”, è caratterizzato da un suono vecchio stampo. Secondo te, questa caratteristica risulta essere più un pro o un contro per chi ascolta?

C: Questo disco è il risultato del suono dei nostri strumenti. È quello che siamo, sia nei pregi che nei difetti. Abbiamo cercato di fare un lavoro che possa essere più coerente possibile a quello che è un nostro live, senza particolari stratagemmi tecnologici.

Nuovo disco, nuova etichetta e nuovo produttore. Tutti questi cambiamenti sono dovuti al vostro desiderio di disco istintivo e senza fronzoli?

C: In realtà siamo sempre stati liberi di fare i dischi come volevamo. Sicuramente 42 Records come etichetta e Giacomo Fiorenza come produttore artistico ci hanno dato, e ci stanno danno una grandissima mano credendo nel progetto esattamente come ci crediamo noi e purtroppo trovare delle persone così oggi non è proprio scontato.

Si direbbe che investiate più energia e attenzioni per la musica che per i testi. Se così fosse perchè non optare per un progetto solo strumentale?

C: Noi usiamo la voce come se fosse un altro strumento, ed è uno strumento che ci piace molto! Ci piace comporre i pezzi e influenzare le strutture sfruttando la musicalità delle linee vocali. La musica italiana ci ha abitato spesso a cantanti profeti e messaggeri del “vero”. Niente da criticare, ma noi ci riteniamo semplici musicisti a cui piace scrivere usando la voce e scrivendo testi che non necessariamente debbano portare con sé messaggi particolarmente impegnati da parte nostra e impegnativi per chi li ascolta.

Chi o cosa ha influenzato maggiormente la lavorazione di quest’ultimo disco?

C: Forse la tranquillità e la volontà di farlo uscire solo quando saremmo stati convinti delle canzoni.

“BSB3” è uscito il 3 giugno ma l’avete già portato in giro per apportare eventuali modifiche e avere un primo riscontro. Com’è andata?

C: Un esperimento riuscitissimo! È stato interessante vedere la diversità nelle reazioni del pubblico di pezzo in pezzo da nord a sud. Ci ha molto aiutato a decidere la scaletta del disco e soprattutto a dare più credito a canzoni che in un certo senso ci sembravano “secondarie”. La nostra prima intenzione era quella di fare un disco dal suono fortemente live, quindi quale miglior cosa se non quella di testarlo sul pubblico che poi sarà l’acquirente del disco stesso?!

Prendiamo in considerazione i titoli delle canzoni. A cosa si ispirano? C’è un filo conduttore?

C: I testi hanno un carattere spirituale, ma non propriamente religioso. Come da tradizione blues del resto. I titoli spesso sono riferiti ai testi, ma a volte sono stati ispirati dalla struttura compositiva, come in RubikCamion.

Ormai da tempo si accosta il nome dei Black Keys ai Bud Spencer Blues Explosion. Sappiamo che la suddetta band ha dato un notevole spunto, c’è qualcosa che le invidiate?

C: I soldi! Ma a noi non interessa essere ricchi, è solo perché se hai grossi budget puoi permetterti di registrare dei dischi dal suono incredibile come fanno loro.

Camion è una bellissima traccia che qualcuno ha accostato a Bombino, musicista con cui hai anche suonato. È una tua influenza? E’ giusto questo accostamento?

A: Giustissimo, la musica africana è da tempo un mio riferimento e Camion risente sicuramente delle atmosfere desert blues della musica di Bombino e soprattutto di Tinariwen.

Carmelina Casamassa

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Blogger professionista e da sempre appassionato esperto di telecomunicazioni, serie tv e soap opera. Giuseppe Ino è redattore freelance per diversi siti web verticali. Ha fondato teleblog.it, tivoo.it, mondotelefono.it, maglifestyle.it Ha collaborato tra gli altri anche con UpGo.news nella creazione di post e analisi. Collabora con la web radio Radiostonata.com nel programma quotidiano #AscoltiTv in diretta da lunedi a venerdi dalle 10 alle 11.

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