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Com’è nata, com’è strutturata e quali sono gli aspetti che differenziano la DeAmbula dalle altre etichette indipendenti italiane?
Marco Campitelli: DeAmbula è nata nel 2006, in primis per gestire le attività dei the Marigold (la mia band); in quel periodo gestivamo tutto l’operato della band attraverso i contatti accumulati nel tempo e ho sentito l’esigenza di “strutturare” il tutto sotto un “nome” – un marchio che potesse dare una connotazione a quel che facevamo artisticamente. Nel tempo sono arrivate le prime band che sentivamo vicine come attitudine e soprattutto umanamente, i buenRetiro, Magpie, Ulan Bator…
Perché “DeAmbula”?
Non saprei, per il nome non ho ragionato molto, è stato tutto improvviso, mi capita spesso anche quando faccio musica. Ho applicato lo stesso criterio anche per la scelta del nome.
Quando hai fondato l’etichetta, avevi uno o più modelli?
No, il modello della label riesco a tracciarlo solo oggi a distanza di diversi anni… Le produzioni credo siano state veicolate soprattutto dalla passione per sonorità sperimentali, ma anche da chi è capace di osare davvero lasciandosi andare e far parlare le proprie emozioni.
Qual è la filosofia generale dell’etichetta?
Lavorare con passione.
Fate tutto da soli? O vi avvalete dell’aiuto di qualcuno?
Facciamo generalmente tutto da soli, a parte in qualche rara occasione collaboriamo con eventuali uffici stampa o booking.
Come selezionate gli artisti da accogliere nel roster?
Diciamo che i modi con cui viene a definirsi una produzione possono essere diversi, a seconda delle circostanze… Possiamo risultare interessati ad un progetto a noi inviato o restare colpiti da un’artista, o altre infinite possibilità dettate da fattori casuali. Al di là del primo contatto, conta comunque molto il rapporto che si instaura nella collaborazione e nella condivisione di dinamiche settoriali. Non parlerei di limiti nei generi, non mettiamo mai limiti in quello che ci potrebbe piacere… DeAmbula è uno spazio aperto, anche alle possibili contaminazioni. Ci viene naturale affermare che, quello che produciamo è lo specchio di ciò che ci piace, e proprio per questo, siamo felici nel farci rappresentare da loro (tanto per citarli: Ulan Bator, Marigold, Oslo Tapes, Herself, Pineda, Magpie, Pitch, buenRetiro, Was…). Ci facciamo promotori dell’artista e non del numero di produzione presenti nel nostro catalogo.
Siete più voi a cercare, o siete soprattutto cercati? Qual è il tuo metodo per cercare nuove band da pubblicare?
Ascoltare tutta la musica che riceviamo e valutare attentamente il materiale proposto, è un metodo abbastanza classico. Sicuramente non devono sembrare dei “pagliacci”, per noi la musica è un qualcosa di molto serio.
Che tipo di accordi vengono stipulati con gli artisti? E come vengono suddivisi investimenti, lavoro ed eventuali profitti?
Tutto varia da produzione a produzione, essendo un musicista cerco di mettere a proprio agio qualsiasi band sotto tutti i punti di vista.
In media, quanto vende un titolo? E quel è stato il vostro best-seller?
I lavori non sempre permettono di riprendere le spese, ma ci sono dischi che permettono di compensare, il disco dei Pineda (con Umberto Maria Giardini alla batteria) è stata una bella soddisfazione, ma come lo stesso “Tohu Bohu” degli Ulan Bator, il disco degli Oslo Tapes ed Herself.
Qual è il tuo album preferito tra quelli pubblicati? E quello più sottovalutato?
Sono affezionato a tutti i dischi prodotti, ogni disco è stata comunque una crescita artistica ed umana.
In percentuale, quante copie si vendono nei negozi, quante attraverso il vostro sito e quanto ai banchetti dei concerti?
Le vendite avvengono quasi esclusivamente nei concerti, è sempre stato ed è il modo più diretto ed efficace.
Come vedi in prospettiva “l’oggetto” disco? Pensi anche tu che il futuro sia nei file da scaricare, con la “fisicità” di vinile e/o cd ad appannaggio di una ristretta cerchia di cultori e nostalgici?
Credo che il disco esisterà sempre, ma senza ombra di dubbio non sarà più come 10-15 anni fa. Per assurdo io sono tornato più di qualche anno fa a comprare dischi, c’è stato un periodo in cui si scaricava in modo selvaggio qualsiasi cosa e poi si finiva solo dia vere hard-disk pieni di file. Personalmente acquisto in media 15 dischi l’anno, più i dischi che ricevo da band di amici e da label con cui ho un rapporto fidelizzato.
C’è qualche altra etichetta italiana con la quale vi trovi in sintonia?
Umanamente ed artisticamente con Dischi Bervisti di Nicola Manzan e Nunzia Tamburrano, la Riff Records di Paolo, la Dreaming Gorilla Records, Pier e Mari in Jestrai. Tutte persone squisite.
Che cosa dobbiamo aspettarci da voi nei prossimi mesi?
Nuove produzioni, a partire dai CUT, the Marigold e gli Oslo Tapes.
a cura di Marco Gargiulo
Behind the Records: la parola alle etichette discografiche.
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