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CD – Controrecords – 9 t.
Il mondo visto dalla campagna, la natura come cuore pulsante, via di fuga (momentanea?) da buona parte della tecnologia imperante d’oggigiorno. Un’altra vita, forse possibile, forse no, quella che da sempre ha spinto il torinese Davide Tosches ad agire in proprio, tanto a livelli di produzione (Controrecords) e grafica quanto soprattutto in tema di composizione, scrittura, canto. Se nei precedenti “Dove l’erba è alta” e “Il lento disgelo” non veniva meno un fare rumoroso che ben si intonava con la realtà bucolica, è con un album come questo Luci della città distante che l’intimismo raggiunge livelli ancora più estremi, lasciando lo spazio a strumenti quasi esclusivamente slegati dal concetto di elettrico. Un fatto che non rappresenta di certo la spina al fianco dell’artista, essendo presenti nuove ineccepibili prove del suo talento: L’autunno, la sua Almost Blue, la lezione di Chet Baker che viene plasmata dalla tromba del collega di sempre Ramon Moro, come dimostra anche il racconto di un’alba come quella di Mattino presto, Il canto del ghiro, celante una marzialità accompagnata da un andamento alla Dirty Three, in particolar modo nello scorrimento degli archi, ballate calde ed intrise di saudade, come Il campanile, ma anche permeate di freddezza, nel contrasto che caratterizza Il primo giorno d’estate, volti tracciati dal contrabbasso di Federico Marchesano, quelli di Un cane e Il calabrone, nel lento e doloroso atto della morte, la crepuscolarità de L’airone, tale da persuadere con la sua frenesia, rintracciabile nella chiusura per percussioni (in mano a Vito Miccolis) e violino. Un ponte che conduce alla conclusiva title track, che lascia fluire un vago sapore di quell’elettricità sacrificata, dato dalle chitarre di Hugo Race, da isolate distorsioni e da cori appartenenti a Luca Andriolo (Dead Cat in a Bag) e soprattutto un’ideale spalla come gianCarlo Onorato. Scelta difficile quella di Tosches, ma che non impedisce a Luci della città distante di essere un lavoro da fare proprio il più possibile, una conferma di un talento che meriterebbe molta più considerazione da parte soprattutto di una massa forse ancora confusa per quel che riguarda la definizione di “musica d’autore”. Che, piaccia oppure no, ha molteplici sfaccettature. Gustavo Tagliaferri
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