[adsense]
CD – Argonauta – 7.
Life Habitual è uno di quei dischi da ascoltare con attenzione e assenza di pregiudizio.
Sulla carta (chi ha detto comunicato stampa?) i Selva sono un classico terzetto (Lodi e dintorni) dedito a un post-black metal di ortodossa scuola americana impartito, ovviamente, dai tanto acclamati quanto controversi Deafheaven e affini.
Messa giù così la questione potrebbe limitarsi a un ripetere il compitino, magari cambiando qualche paragrafo, rimescolando un po’ le carte, riuscendo comunque a portarsi a casa un bel sei (magari anche un sette) politico semplicemente per aver cavalcato la aneddotica e fortunata onda del momento. Fortunatamente i Selva alzano un pochino il tiro, rielaborando, internalizzando e personalizzando tutto questo.
Life Habitual è poliedrico nell’accezione più veritiera del termine. Forse questo è il suo piccolo punto debole, cadendo, alle volte, in alcuni passaggi, in un caos da cui stenta a riemergere (Existance).
I brani sono un costrutto cangiante formato da due componenti fondamentali: l’aggressività black metal e la calma (apparente) dei passaggi strumentali prerogativa dell’animo post del gruppo. La semplificazione di questa analisi ritorna, con circolarità, nel giustificare quanto detto prima: solo perché rispecchia i canoni di un genere ormai decodificato non significa che questo dualismo possa spiegare, superficialmente, tutto un disco.
Le sette parti dell’opera si susseguono con perfetta continuità, compenetrandosi e producendo molteplici rimandi l’uno con l’altro. Le due anime sopracitate si amalgamano alla perfezione nei componimenti, senza risultare banali, precedendo e spiazzando sempre il giudizio dell’ascoltare, anche del più attento.
Le parti più aggressive sventrano e dilaniano, filtrate da una incredibile (ed è qui il punto di distanza maggiore con la visione più americana) attitudine hardcore che emerge sopratutto nell’urgenza, nella visceralità delle parti vocali (vedi Persistent).
Le profonde ferite che i Selva si lasciano alle spalle non trovano nelle aperture strumentali un benifico balsamo, un riposo sperato, ma solo la consapevolezza che la furia passata ritornerà, senza tregua (Enclosure in particolare). Un’effimera visione resa ancora più lontana dalla perfetta circolarità di tutto l’album, dove l’ultimo brano riprende la struttura dell’inizio e viceversa.
Life Habitual è complesso, personale, immenso in tutte le sue piccole particolarità, caratteristiche, rimandi, citazioni. Alle volte può risultare, comprensibilmente, troppo intricato, necessitando una miriade di ascolti consecutivi per poterlo apprezzare completamente. Nonostante questo i complimenti ai Selva, con l’augurio di un progressione sempre più personale nel proprio suono, sono certamente dovuti. Fabio Fiori
[adsense]
0 comments