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CD/LP – La Tempesta/Woodworm – 9 t.
La tigre, la Luna e il teschio. Un’immagine che esprime molto più di mille parole, una sottile metafora da leggere sopra le righe e che ha come diretta protagonista l’umanità nel suo stato di sopravvivenza, nel labile confine che separa vita e morte, terraferma e spazio, come tasselli di un punto di arrivo di quel nuovo inizio affrontato precedentemente, nella persona di Umberto Maria Giardini. Protestantesima, appunto, terzo atto di un ciclo che, se si dovesse considerare in base ad una possibile connessione con la Tetralogia degli elementi, iniziata con l’aria di La dieta dell’imperatrice e proseguita con l’acqua dell’EP Ognuno di noi è un po’ Anticristo, vede come punto di arrivo la sinergia tra fuoco e terra, dove, in un’immedesimazione uomo-animale, tirare fuori gli artigli diventa cosa necessaria ed inevitabile. Una visione che si riflette già dall’inizio, nel rock della title track, per poi continuare, placandosi ed al contempo irrobustendosi, negli otto minuti di C’è chi ottiene e chi pretende, dove fanno capolino tanto il Fossati di Una notte in Italia quanto certo progressive rock, ulteriormente marcato dalla presenza di un flauto, nel j’accuse milanese, tra droga ed espliciti riferimenti a nomi di punta, de Il vaso di Pandora, nell’incalzante marcia di Urania. Ma Giardini, e con lui la band che lo accompagna, non si limita a questo, anzi, continua a guardare avanti attraverso una Molteplici e riflessi il cui incedere si fa maggiormente dreamy, come si evince anche da Amare male, che pare continuare quanto già iniziato con Genesi e mail più di due anni fa, e se Sibilla è inebriata, con i suoi archi, di una freschezza 60’s d’autore, Seconda madre, una delicata ballata, è un non plus ultra che esprime fertilità ed innocenza. Sensazioni spazzate via da una catacombale, allucinata, sospesa tra mellotron e bassi gommosi, Pregando gli alberi in un ottobre da non dimenticare, momento conclusivo fatto di compiutezza, equilibrio, definitiva attuazione della sinergia di cui ci si è sobbalzato l’onere, ma tali da rinascere, come arabe fenici, in una ghost track, una poesia di Ada Sirente musicata per voce e chitarra con tanto di theremin di contorno, infinito spiraglio di luce di un album, da ogni punto di vista, ineccepibile. Checchè se ne dica, l’urlo di Umberto Maria Giardini è tale da lasciare nuovamente il segno: Protestantesima è un invito al viaggio, e considerarlo male non fa, affatto.
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