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La Tempesta (CD)/Tannen/Wallace (LP), 11 t.
Come se i vermi, nel loro eterno peregrinare, si ritrovassero accerchiati da superfici, tessuti, sostanze ulteriormente ingenti. È doveroso chiedersi se ci sia da ricominciare a guardare al metal come uno dei fari ideali attraverso cui lasciare evolvere il proprio io, lontano dalla solita proposta per chitarra acustica e voce, specialmente quando, permeati come si è da quel blues grezzo e sporco che da sempre è stato il proprio sigillo, con Quintale i propositi per arrivare ad una scelta simile erano ben visibili. Chiedersi e soprattutto ottenere, specialmente essendo il quesito neanche troppo arcano per Giovanni Succi e Bruno Dorella, vista la fermezza e la conseguente grinta con cui si sono imposti di album in album. Pertanto Necroide, sesta opera in studio dei Bachi da pietra, rappresenta nuovo punto di arrivo, dove il metal, nella fattispecie quello di scuola 80’s, funge da stile di vita, da base attraverso cui continuare dove già seminato e soprattutto da seme le cui radici danno luogo a robustissime ramificazioni, a volte tra loro strettamente connesse: nei momenti più violenti, come l’orrore della guerra riversato nei riff e nelle liriche di Black Metal il mio folk e le venature vocali death e grindcore nell’attimo in cui sopraggiunge l’incessante coacervo di riverberi, sotto forma di pogo, di Feccia rozza, nelle digressioni, da una Slayer & the Family Stone attraverso cui dare nuova linfa al funk nel refrain e lasciar passare sul finale una chiosa più spiritica che spirituale al fantasma del blast beat che aleggia, nelle pelli di Dorella, su Fascite necroide, per poi dissolversi in un vortice nichilista di matrice stoner, fino al tribalismo che prima irrora una maideniana Voodooviking e poi divampa nella motorheadiana Danza macabra, ma anche nei parziali ricollegamenti alle passate opere, evoluzioni di sonorità tali da giungere ad una completa compattezza, secondo un processo che va da Tarli mai a Sepolta viva, oppure l’atipico esperimento meta-electro-soul, con tanto di distorsioni vocali, di Apocalinsect, fino all’hard rock d’autore di una Virus del male e al claudicante e criptico excursus di Cofani funebri, una salma che riprende vita una volta alzato nuovamente il volume. Il succo di Necroide è questo: la testimonianza di come certe sonorità siano e sempre saranno parte integrante di una cultura, per certi versi, sottovalutata oggigiorno, ma, fortunatamente, da gruppi come i Bachi da pietra ben preservata e tale sia da rappresentare un’idonea via di fuga dai soliti copioni che, soprattutto, da denotare come il risultato sia l’ennesimo signor disco. Per fortuna.
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