Quando Final Fantasy XVI è stato svelato per la prima volta al mondo, accompagnato dal logo della Creative Business Unit 3 guidata da Naoki Yoshida, erano chiare le volontà di Square Enix: riportare la saga principale sulla retta via dopo i vari passi falsi che hanno preceduto questa sedicesima incarnazione finale.
La Fabula Nova Crystallis di Final Fantasy XIII era un treno già deragliato prima ancora di arrivare sul mercato ed è stato talmente devastante da aver influenzato tutto quello che sarebbe arrivato dopo, come la mai dimenticata 1.0 di Final Fantasy XIV che stava portando Square Enix al fallimento, o lo stesso Final Fantasy XV, l’equivalente di un mostro di frankestein digitale al quale sono stati innestati tanti pezzi provenienti da concept più volte rielaborati da creativi diversi.
L’effetto domino causato dalla lavorazione di Final Fantasy XIII sul futuro dell’intera saga aveva portato in molti a domandarsi, c’era davvero ancora spazio per la creatura ideata da Hironobu Sakaguchi?
Per quanto molto spesso lo si voglia escludere per ragioni strettamente legate alla sua natura ludica da gioco online, la verità è che la risposta al quesito esiste già da diverso tempo e corrisponde proprio a Final Fantasy XIV: A Realm Reborn, rilancio totale del fallimentare MMORPG, la cui direzione venne affidata all’intrepido team capeggiato da Naoki Yoshida, la stessa Creative Business Unit 3 che oggi troviamo al timone di Final Fantasy XVI.
Il motivo di tutta questa fiducia da parte di Square Enix nei confronti della squadra di Yoshida è presto detto: l’attuale Final Fantasy XIV non solo è diventato uno degli MMORPG più popolari e giocati sul mercato, ma ha anche dimostrato che quella “magia”, quell’identità narrativa, stilistica e musicale che caratterizza la saga fin dagli albori persiste genuinamente grazie alla visione di un collettivo di autori di grande talento. E lo dimostra l’enorme affetto della community, che con l’MMORPG di Yoshida ha ritrovato quel faro nella notte.
Final Fantasy XVI è una produzione destinata a scindere la fanbase, a creare un punto di rottura tra passato e presente, ma è anche la riaffermazione di una precisa caratteristica che questo franchise si porta dietro dall’alba dei tempi: la volontà di sperimentare, cambiare fino a stravolgere del tutto delle formule.
In passato erano gli spin-off il terreno fertile per queste sperimentazioni, come testimoniano lo straordinario Final Fantasy Tactics, uno shooter improbabile come Dirge of Cerberus oppure soluzioni con il piede in due scarpe come Final Fantasy VII: Crisis Core.
Dopo anni di supporto e tante espansioni con FF XIV, Naoki Yoshida e la sua Creative Business Unit 3 hanno maturato una loro visione di quello che sarebbe potuto essere il loro primo Final Fantasy single player e hanno deciso di dar vita a una produzione che non adotta mezze misure. Ecco la nostra recensione di Final Fantasy XVI!
Final Fantasy XVI parte dal presupposto di voler raccontare una storia matura, più audace e di stampo squisitamente epico attingendo da opere letterarie e televisive che si rifanno al canovaccio del fantasy occidentale, quello europeo per intenderci.
È ironicamente un ritorno alle origini della saga, dove però la parte geopolitica del mondo di Valisthea si ritaglia uno spazio preponderante all’interno della narrazione, con un senso di ricercato realismo nella gestione delle fazioni in lotta e delle tematiche. Lo schiavismo legato ai Portatori (umani nati con il dono della magia) e Marchiati ha il suo grande peso all’interno della storia, ed è proprio ciò che innesca e guida tutta una serie di eventi che, proprio sulla falsariga di Game of Thrones, si dipanano in tante sottotrame destinate a incrociarsi.
In questo clima teso e oscuro, che scimmiotta in maniera quasi spudorata il Game of Thrones televisivo, si incastra tutta una cornice fantasy che va a ripescare gli elementi più tradizionali della saga, riportando l’attenzione soprattutto sulle iconiche Evocazioni, qui rinominate Eikons.
Non ci gireremo troppo intorno, quella di Final Fantasy XVI è una storia cruda, violenta e brutale, nella quale il team di sviluppo osa come mai fatto prima d’ora, facendo enorme leva sul carisma corale del suo cast di eroi e villain, con particolare enfasi sul protagonista Clive, destinato a conquistare il cuore di tantissimi giocatori grazie a un lungo percorso di crescita che si svilupperà all’interno di un tessuto narrativo stratificato in più anni diversi nell’arco delle cinquanta ore necessarie a completare la campagna.
Un giovane che, proprio come il buon Jon Snow, porta sulle sue spalle un retaggio che esula dalla semplice sfera politica e affonda le sue radici in qualcosa di divino che, ancora una volta, riportano i riflettori su quella che è sempre stata una ricorrenza nella saga: raccontare le storie di uomini e donne che cercano di spezzare la catene di un destino già scritto, con i Cristalli a tirare le fila del loro mondo, in positivo o negativo.
Ma proprio come avveniva in Final Fantasy XIV, anche in questo sedicesimo capitolo, l’elemento ruolistico e immersivo si palesa in tutta la sua forza proprio nel raccontare le gesta di Clive, di cui il giocatore ne è tanto spettatore quanto fautore, e di come il mondo stesso di Valisthea venga plasmato dalle sue decisioni. Sia chiaro, non c’è un sistema di scelte, la narrazione non ammette intromissioni, ma da al giocatore una costante sensazione di essere padrone di una storia già scritta, con il mondo che reagisce di conseguenza.
E tutto questo è reso possibile da un lavoro encomiabile speso nel worldbulding, dove ogni elemento trova un suo posto coerente nella narrazione, che sia un personaggio, un luogo o addirittura una creatura qualsiasi del mondo di gioco. Esiste un passato e un presente di Valisthea talmente ricco di storie e aneddoti che i giocatori potrebbero perdere giornate intere a leggere le storie nella biblioteca del Rifugio. E persino gli sviluppatori, consapevoli della quantità di lore messa sul piatto, hanno ideato un sistema chiamato Active Time Lore, con cui è possibile consultare in tempo reale la lore, sia durante l’azione che nelle lunghe cutscene del gioco. Abbastanza da delineare quanto sia stata importante la storia di Final Fantasy XVI per la Creative Business Unit 3.
Come reiterato più volte però, Final Fantasy XVI è anche un punto di rottura nella saga e questo è dovuto alla volontà di prendere le distanza dai combat system del passato. Nonostante la saga sia sempre stata oggetto di costanti mutazioni e contaminazioni di genere, quella marcata componente statistica si è sempre ritagliata il suo posto.
L’Active Time Battle, meglio nota come ATB, è stata creata da Hiroyuki Itō per Final Fantasy IV ed è diventata negli anni successivi un punto di riferimento per altri sviluppatori, proprio perché permetteva di offrire, con i limiti hardware del tempo, un combat system velatamente in tempo reale, dove il videogiocatore svolgeva un ruolo più attivo e meno passivo.
Non sorprende dunque che con questa sedicesima incarnazione, Square Enix abbia deciso di svincolarsi in maniera quasi definitiva da tutto quell’aspetto statistico per fare leva su un sistema di combattimento completamente privato dai tempi morti, fatto di esecuzioni a suon di combo veloci, frenetiche e spettacolari.
E così dunque che il buon Ryota Suzuki, combat designer di Devil May Cry 5, arruolato nel team creativo della Creative Business Unit 3, ha ben pensato di fare (quasi) terra bruciata del passato, trasformando definitivamente la serie di Final Fantasy in quel tanto ricercato e voluto action RPG a cui Square Enix mirava da anni con ibridazioni veramente mal riuscite.
Concepito sulle basi di un action stylish come Devil May Cry, il primo impatto con il combat system di Final Fantasy XVI è quello di una curiosa creatura ibrida e unica. Questo perchè il buon Suzuki pur riprendendo tutti i criteri che caratterizzano l’azione veloce e senza vincoli di un action puro, ne ha innestato dei tratti palesemente ruolistici provenienti da FF XIV, come il cooldown delle abilità e il posizionamento di Clive sul campo di battaglia, con i nemici che anticiperanno i loro attacchi dando il tempo necessario al giocatore di adottare un posizionamento adeguato per schivare o parare i colpi. Quindi si, la soluzione è una curiosa via di mezzo che coniuga l’azione velocissima di un Devil May Cry, ma opportunamente rallentata per rendere gli scontri più strategici e simili a quelli dei Raid di un MMORPG.
Già nelle prime ore il combat system cela diverse finezze e se l’utenza più casual potrebbe limitarsi alla semplice alternanza di due tasti, quelli più avvezzi agli stylish troveranno subito pane per i loro denti, tra cancel delle combo e parry. Pur non invitando a sfruttarne tutte le finezze celate, il combat system di Final Fantasy XVI cerca di stimolare i giocatori a sfruttarne le potenzialità per non incorrere nell’errato fenomeno di cui si è discusso anche durante le preview che alcuni esponenti della stampa avevano riportato, ovvero i cosiddetti nemici spugna.
No, Final Fantasy XVI non ha dei nemici spugna, ma possono diventare tali se il giocatore si limita a combo basilari, lasciando indietro l’esecuzione delle abilità giuste per spezzare molto più velocemente la barra della stamina dei nemici. Simile a quella vista in Sekiro o Nioh, rompere la barra implica lo stordimento del nemico, vulnerabile per un breve periodo di tempo ai feroci attacchi di Clive.
Nelle prime ore dell’avventura le opzioni a disposizione di Clive saranno comunque limitate, ma Final Fantasy XVI sfrutta la durata della sua lunga campagna per raccontare una crescita non solo emotiva e narrativa del suo protagonista, ma anche quella prettamente combattiva.
Hiroshi Takai, che di Final Fantasy XVI ne è il director, è un veterano di Square Enix che vanta tra i suoi lavori opere come Final Fantasy V e questo è reso evidente da quella che è la meccanica più importante di tutte nel combat system di questo sedicesimo capitolo: gli Eikons.
Le celebri Summon della saga, come già detto in apertura, svolgono un ruolo centrale all’interno della storia, ma anche ludicamente parlando apportano un valore importante alla varietà del combat system e fino alla cinquantesima ora si avrà sempre qualcosa di nuovo da scoprire grazie alla loro implementazione nel gioco.
Riprendendo in maniera quanto mai evidente i Job di Final Fantasy V, le otto evocazioni che Clive otterrà durante l’avventura permettono di costruire vere e proprie build basate sull’adozione di tre diversi Eikon negli scontri.
Shiva per esempio permette a Clive di spostarsi velocemente creando una scia capace di congelare temporaneamente i nemici, ma anche di sfruttare attacchi ad area molto devastanti che colpiscono duramente sulla stamina dei nemici; altro esempio è Titan, capace di sferrare potenti attacchi fisici in grado di innescare anche delle parry che ne amplificano la quantità di danni; Garuda invece è essenziale nelle combo e ricalca il braccio cavo di Nero visto in DMC V, con la possibilità di attirare a sé i nemici dalla lunga distanza per attivare potenti abilità che permettono di “palleggiare” con i essi in aria.
Le variabili che offrono gli Eikon sono numerose e permettono di costruire build veramente spettacolari, tanto nella messa in scena delle combo, quanto nella loro esecuzione. Pur essendo privo di una componente ruolistica marcata legata agli equipaggiamenti, con un crafting veramente semplice e ridotto all’osso, gli accessori indossabili da Clive gli permettono di manipolare i tempi di ricarica delle abilità degli Eikon e la strategia alla fine sarà proprio quella di trovare la build perfetta con i tre slot equipaggiati con gli Eikon giusti, messi in scaletta nel giusto ordine e con le giuste abilità equipaggiate e sbloccate nello skill tree di Clive. Non sorprende dunque neanche la scelta di eliminare le debolezze elementali, che avrebbero rischiato di rallentare gli scontri, compromettendo il principale incentivo del combat sytem: sperimentare e divertirsi senza limitazioni portando all’eccesso il sistema.
Ma quando si parla di Creative Business Unit 3, e inevitabile tirare in ballo anche ciò in cui il team eccelle: le spettacolari boss fight.
Palesemente figlie dei Raid di FF XIV, gli imponenti boss che affronterà Clive nel corso della sua avventura spingono l’acceleratore sulla messa in scena, con gli imponenti Eikons che se le danno di santa ragione sullo schermo.
Seppur a volte esageratamente lunghe e lineari, le boss fight sono in assoluto l’elemento in cui spicca maggiormente la produzione, con lo sviluppatore che ha ben pensato di rendere questi momenti unici anche dal punto di vista del gameplay. Dunque si passa dal picchiaduro tridimensionale, allo Shooting su binari, fino a veri e propri momenti danmaku con una quantità di proiettili a schermo che metteranno seriamente in crisi il giocatore alla difficoltà Final Fantasy, sfortunatamente relegata al solo NG+.
L’escamotage per diversificare gli scontri dei boss è legato a doppio filo con la crescita di Clive, che nel corso della storia dovrà imparare a padroneggiare Ifrit, l’imponente Eikon del fuoco.
Se fino a questo momento abbiamo speso solo ottime parole nei confronti di Final Fantasy XVI, questo non significa che la produzione sia avulsa da problemi. Anzi, i problemi maggiori del gioco risiedono proprio nella sua struttura, caratterizzata da un design piuttosto lacunoso e figlio di una mentalità dello sviluppo nipponico che si porta dietro certe “filosofie” da anni.
Final Fantasy XVI non solo non sfugge a questi problemi, ma ha l’aggravante che la Business Creative Unit 3 ha deciso di adagiarsi fin troppo sulla derivazione MMO del 14° capitolo.
Le grandi mappe esplorabili del gioco regalano un colpo d’occhio notevole, con paesaggi che evidenziano anche il passato del mondo in cui è ambientata la storia, ma a fare da contraltare è un level design si aperto, ma essenzialmente vuoto e privo di quegli elementi che ne dovrebbero incentivare l’esplorazione.
La mancanza di oggetti e armi di valore con effetti incrementali sulla progressione del personaggio, si riflettono in piccoli scrigni con pozioni e guil, fatta eccezione per qualche accessorio nascosto. Mancano zone segrete esplorabili e le uniche eccezioni sono rappresentate da “Cronoliti”, sfide nascoste in cui il giocatore è invitato a mettere alla prova le abilità acquisite degli Eikon. Ben poca roba a dirla tutta ed è palese che la struttura open map sia stata prevalentemente messa al servizio delle Cacce, una delle poche attività secondarie in cui bisogna eliminare dei bersagli pericolosi.
L’altro punto debole marcato della produzione lo troviamo nelle tanto discusse quest secondarie, anch’esse palesemente figlie delle fetch quest di Final Fantasy XIV.
Seppur banali negli incarichi, queste si completano molto velocemente e servono sul piatto importanti nozioni che approfondiscono il clima sociopolitico del mondo, ma offrono anche spunti e rivelazioni importanti sui comprimari, mentre in altri casi potrebbero dare una prospettiva diversa su alcuni snodi della trama (si, ci stiamo riferendo anche al finale).
Quella delle missioni secondarie nei videogiochi giapponesi è una problematica persistente da anni e che da vicino, tocca anche il mercato occidentale, ma dove Final Fantasy XVI commette il passo più lungo della gamba è nella scelta di arrivare a metà della storia e spezzare il ritmo con fetch quest mascherate da missioni principali.
La Creative Business Unit 3 ha commesso in questo caso l’errore madornale di adagiarsi su dinamiche e strutture concepite per l’ambito online all’interno di una produzione single player dalla forte componente story driven.
Se si fosse quindi intuito, Final Fantasy XVI è una produzione di luci e ombre, ma capace comunque di brillare nei tanti fattori che al meglio rappresentano proprio l’iconicità del franchise di appartenza, che non è tanto l’aspetto ludico, quanto la facoltà di imbastire storie memorabili sorrette da una notevole direzione artistica e da colonne sonore eccellenti. E proprio parlando di musiche è inevitabile spendere due parole sulla colonna sonora composta da Masayoshi Soken, che dopo aver deliziato i fan di FF XIV, torna alle musiche di questa sedicesima incarnazione apportando quello che è uno stile musicale a volte sperimentale e addirittura rischioso (lo scontro con Titan) e che potrebbe cozzare con ciò che cercano alcuni appassionati.
Ma chi ha imparato a conoscere Soken negli ultimi anni sa molto bene quanto l’autore abbia una certa riverenza nei confronti di Nobuo Uematsu, qui citato a oltranza con splendidi remix musicali del suo storico tema Prelude. Ma ci sono anche brani incredibilmente memorabili che al meglio rappresentano la “giostra di emozioni” della storia, che nulla hanno da invidiare a un blockbuster cinematografico.
Alti e bassi invece sul fronte tecnico, con delle cutscene legate alla progressione della storia veramente splendide, che mettono anche in risaldo la grande espressività dei personaggi. Tuttavia su questo fronte il gioco è molto ambivalente, con le interazioni in-game tra i personaggi parecchio ingessante proprio come – ancora una volta – fossero uscite da un MMO. Poco elegante anche la scelta del campo e il controcampo durante i dialoghi, con tanto di dissolvenze in nero.
Sul fronte prestazionale è evidente che il gioco faccia fatica a reggere i 60 fotogrammi al secondo nelle zone all’aperto, presentandosi invece più solido durante gli scontri, che giustamente richiedevano una certa fluidità nei fotogrammi per stare al passo con l’azione veloce e frenetica del combat system.
Nella prima partita saranno presenti solo due difficoltà: “modalità azione” e “modalità Storia”. Completando una delle due sarà possibile accedere al New Game Plus e di reiniziare la campagna mantenendo il livello di esperienza, l’equipaggiamento e le abilità di Clive. Tuttavia i giocatori avranno modo di accedere anche a un nuovo livello di difficoltà denominato “Final Fantasy Mode”, nel quale il livello di sfida subirà una grossa impennata, ma non solo.
La Final Fantasy Mode presenterà dei nemici più forti, ma questi avranno anche un nuovo posizionamento all’interno della campagna e saranno anche di tipologie completamente diverse rispetto alla prima partita, obbligando quindi il giocatore a cambiare le sue strategie per adattarsi al nuovo contesto in cui si muoverà. Inoltre, a prescindere dal livello di difficoltà scelto, il New Game Plus porta con sé nuovi livelli di potenziamento inediti per ogni tipologia di equipaggiamento, aprendo a nuove possibilità di personalizzazione e sperimentazioni con il già sfaccettato combat system che caratterizza il gioco.
In New Game Plus sarà anche possibile sintetizzare accessori, che aggiungono un nuovo livello di personalizzazione. Potenziando le armi a livello massimo, che è il grado 6, queste cambieranno nome e le loro statistiche cresceranno in maniera sensibile rispetto alle loro forme precedenti. Sarà inoltre possibile forgiare l’Ultima Weapon, l’iconica arma presente in tutti i capitoli della saga.
La modalità Arcade
Per coloro che cercano il meglio dal combat system e vogliono mettersi alla prova, sarà poi disponibile la Modalità Arcade, che permette di rigiocare le fasi completate in precedenza. In maniera simile ai giochi action come Devil May Cry e Bayonetta, in questa modalità verrà assegnato un punteggio in base alle perfomance ottenute durante gli scontri, con tanto di classifica online per confrontare i punteggi.
Analizzare Final Fantasy XVI non è una cosa affatto facile e al netto del voto che vedrete a fondo pagina, non possiamo fare a meno di sottolineare come le vicende di Clive e del mondo di Valisthea ci abbiano galvanizzato. E’ senza ombra di dubbio tra i capitoli più emotivi, oscuri e coraggiosi della saga, ma capace comunque di ridare lustro a quella magia che l’ha sempre caratterizzata, soprattutto nel suo epico e pirotecnico finale. Un viaggio non sempre facile, osteggiato da scelte di design vetuste e poco coraggiose, soprattutto se si tiene in considerazione lo staff alle spalle del progetto, ma che innegabilmente lascia finalmente un segno dopo anni di grandi incertezze.
VOTO: 8.5
PRO
CONTRO
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