[adsense]
C’era grande attesa per l’esibizione di Valentina Gravili. Almeno personalmente. La tappa conclusiva del mini tour campano (S. Sebastiano al Vesuvio e Campagna nei giorni immediatamente precedenti) dell’artista brindisina – ma romana d’adozione – è passata praticamente inosservata. Pochi i presenti, pochi gli interessati. Ancor meno chi, capitato per caso, sia rimasto incuriosito. L’acustica – davvero penosa, devo riconoscerlo – non ha invogliato l’approccio. I suoni delle chitarre, del basso e della batteria arrivavano nitidi, ma la voce… la voce di Valentina, così espressiva su disco, è stata penalizzata oltre il lecito (tradotto, se mi passate il francesismo: non si capiva un cazzo!). E con la voce, anche i testi: non semplici comprimari, bensì autentici co-protagonisti del progetto artistico della cantautrice.
C’era grande attesa, dicevo: quasi mai capita che gli artisti da me apprezzati facciano capolino in questa parte di mondo chiamata provincia (e chi non abita a Roma, ad un tiro di schioppo dal Circolo degli Artisti, per fare un esempio a me familiare, può capirmi). Attesa mista a curiosità. Chi ha assaporato “La balena nel Tamigi” – il suo secondo album distribuito, GRATUITAMENTE, in formato digitale, dal sito web www.valentinagravili.com e venduto in formato fisico esclusivamente ai concerti – sa che si tratta di un lavoro molto variegato, dalle molteplici sfumature sonore. Una vera e propria primavera pop (nel senso più nobile del termine) in musica. Merito del trio di produttori artistici: Max Baldassarre ed i “recidivi” Silvio Trisciuzi ed Amerigo Verardi – un nome che non ha certo bisogno della mia presentazione – già produttori dell’opera prima “Alle ragazze nulla accade per caso”. Una policromia come quella de “La balena…” però (può) mette(re) in dolce difficoltà l’artista che deve trasporla dal vivo: mi chiedo sempre come avrebbe suonato in sede concertistica un altro caleidoscopio di colori come il “Sergent Pepper…” dei Beatles (ma questa è un’altra storia). Il rischio è un appiattimento monocorde dei suoni, dei ritmi, delle melodie.
Siccome non tutti possono permettersi di non promuovere dal vivo il proprio album (come appunto fecero i quattro “scarafaggi” di Liverpool), allora bisogna prendersi qualche rischio. Valentina e la sua band – Giorgio Serafini alla chitarra elettrica, Gianluca Del Tosto al basso e Max Baldassarre alla batteria – lo fanno, optando per una versione live più rockeggiante – scarna e ”tosta” – senza che i brani smarriscano la poeticità e la densità che li contraddistinguono su disco. Missione compiuta. “La balena…” è stata riproposta nella sua totalità. L’inizio della Nostra è timido (John e Yoko) ma La balena nel Tamigi e C’è stato un tempo in cui spesso ballava ci dicono che l’ambientamento è durato il lasso di tempo di una canzone. Il prosieguo è un vorticoso crescendo. Tre gli apici della serata: la tenera B.B. (“sono io Brigitte Bardot, sono io Brigitte Bardot… SONO IO BRIGITTE BARDOT”) che avrebbe meritato la standing ovation – intensa l’interpretazione canora – l’intima Nena, che ci permette di apprezzare (alla settima canzone, ma sarà un episodio isolato) la voce – calda e decisa – di Valentina e l’ombrosa La casa nel bosco, il gran finale: la chitarra grida soffusa e il basso pulsa ipnotico, in un sublime intreccio spiralistico.
Un’ottima performance quindi. Ovviamente al netto dell’acustica.
Foto di Marco “C’est Disco” Gargiulo
Christian Gargiulo per Mag-Music
[adsense]
0 comments