[adsense]
Jack White, al secolo Anthony Gillis, è uno di quegli artisti che non ha bisogno di lunghe presentazioni. Fondatore e colonna portante dei White Stripes prima, anima dei Raconteurs e dei Dead Weather poi, Mr. Gillis ha preso il testimone dalle mani di sua maestà Jon Spencer e ha contribuito alla rinascita del garage blues negli anni duemila. Per dirla con una parola: un gigante.
In seguito allo scioglimento dei White Stripes nel febbraio 2011, erano in molti ad attendere la prossima mossa di Jack. A gennaio 2012 arriva finalmente la notizia dell’uscita della prima fatica solista del “third man”, uno dei tanti pseudonimi di White.
Se vi aspettavate una continuazione dei White Stripes, allora “Blunderbuss” non fa per voi. Sì, perchè con la scomparsa di Meg e della sua batteria essenziale, necessaria per ancorare Jack a sound e riff minimali, White ha deciso di costruire un sound nuovo, più ricco e sfaccettato: dai violini agli organi, dai cori ai contrabbassi. Il Jack White di “Blunderbuss” è allo stesso tempo nuovo e vecchio, dato che le chitarre sporche e whammeggianti sono ancora al loro posto.
Se Missing Pieces apre il disco con un marcato suono Hammond e melodie che ricordano la leggendaria Dead Leaves and the Dirty Ground, la successiva Sixteen Saltines è un ritorno al classico White-sound: riff essenziale e croccante, batteria che pesta e voce in falsetto. Freedom at 21 introduce il drumming schizofrenico di Carla Azar, batterista donna che ha suonato praticamente tutto il disco, eccezion fatta per la stupenda performance di Patrick Keeler nella traccia On and On and On. In rapida sequenza Blunderbuss e Hypocritical Kiss riempiono le orecchie dell’ascoltatore con atmosfere dolci e nostalgiche, fatte di pianoforti scordati e arpeggi di chitarra.
Durante i tre minuti netti di I’m Shakin Jack si trasforma in un Elvis del Duemila, accompagnato da un seducente ritmo stop and go e un coro gospel che porta al limite la geniale follia di questa traccia. Weep Themselves to Sleep e Trash Tongue Talker sono due stupende canzoni di blues vecchio stile, portante avanti da continui movimenti sul pianoforte, tra note martellanti e scale veloci. A dare i saluti all’ascoltatore troviamo Take Me with You When You Go: una canzone che se per il primo minuto e mezzo si finge una ballad, finisce per esplodere con un riff acido al sapore di big muff e un ritmo di batteria che pesca a piene mani dal drum’n’bass. “Blunderbuss” è un disco che parla di amore e morte, di sogni e di disillusioni, di cuori spezzati e notti insonni. Chi dai propri artisti preferiti si aspetta sempre la stessa formula, stavolta rimarrà deluso. Si può discutere o meno sul nuovo sound che si allontana dal minimalismo musicale al quale Jack e i White Stripes ci avevano abituato. Ma non c’è dubbio che questo sia un lavoro maturo, complesso nella realizzazione ma semplice nell’ascolto. Imprescindibile.
Dario Marchetti per Mag-Music
[adsense]
0 comments