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Simona Ferrucci, romana, è chitarrista e cantante delle Winter Severity Index (un album e un EP all’attivo, gruppo di cui è fondatrice.
Descrivi il tuo lavoro attuale.
Il mio lavoro attuale è fare ripetizioni private a ragazzi delle scuole superiori e medie. Mi sono dovuta inventare un lavoro, praticamente, perché il mercato del lavoro non offre opportunità migliori, almeno a Roma, a noi donne laureate con 110 e lode in Storia dell’Arte, con tanto di master, conoscenza di due lingue ed esperienze lavoro all’estero… A meno che non si abbia qualche santo in paradiso, cosa che ovviamente non ho e che, per principio, mi fa veramente schifo. La mia dignità non è in vendita. Vivo di poco. Veramente di poco.
Hai mai pensato di lasciare il tuo lavoro per la musica?
A dire la verità, sì. Inutile dire che non sono per niente affezionata al lavoro che faccio. In un paese civile, quale non è il nostro, forse riuscirei non dico a vivere di musica ma sicuramente avrei un contratto con un management che mi permetterebbe di fare tour mondiali e di vendere ovunque la mia musica. Non lo dico con presunzione, ma se lo fanno tanti progetti decisamente poco entusiasmanti (sorpassati, ripetitivi, o che offrono dei live imbarazzanti) non vedo perché non potrei farlo anch’io. Arriva poi un certo momento nella testa di fa musica, in cui si desidera fare “meglio”: meglio significa dedicare più tempo, meglio significa avere uno spazio adatto per suonare e registrare senza andare falliti, meglio significa acquistare nuovi strumenti, insomma… Suonare costa. Costa molti soldi. Per ora mi ritengo fortunata nel sapere che ci sto andando pari. La creatività spesso poi si esercita in maniera ancora più ingegnosa quando deve far fronte alla mancanza di mezzi… Ce la faremo. Dobbiamo farcela. Anche perché a una certa età suonare non è più una scelta: bisogna suonare per non ammalarsi, per non deprimersi, per non essere una persona frustrata e incattivita. Se questa è la tua vocazione, non puoi stupidamente metterti contro te stesso.
Come concili il lavoro e la passione per la musica?
Come posso. Il mio lavoro non mi porta via troppo tempo, anche se nel frattempo continuo anche a studiare, magari per trasferirmi all’estero o rivendermi diversamente nel mercato del lavoro. Le ore per suonare si trovano sempre. La passione è passione. Non conosce orari, stanchezza, limitazioni di sorta.
Quali scelte cambieresti nel tuo percorso professionale?
Me ne andrei presto dall’Italia per non tornare più. E non è detto che non lo faccia a breve. Questo paese non contempla come possibile una forma basilare di dignità che l’essere umano non solo merita, ma necessita per definirsi tale. Sono nauseata, veramente. Le donne ricoprono sempre e solo ruoli secondari e le poche volte nelle quali riescono con le loro forze ad emergere, vengono sommerse di critiche ed insulti. Lo stesso vale, comunque, per tutti coloro che non si arrendono. L’italiano invidia. E l’invidia è un’ammissione di fallimento totale.
Massima soddisfazione/delusione raggiunta in ambito musicale.
Io sono una persona molto critica con me stessa, non mi accontento mai dei risultati ottenuti, anche se ovviamente sono più che buoni. Penso alla mia evoluzione personale in prospettiva, non mi sentirò mai “soddisfatta”. Casomai penserò di aver fatto un buon lavoro. Del resto non mi sento mai nemmeno totalmente delusa. Mantengo sempre un buon equilibrio fra il disfattismo della delusione (troppo facile) e l’entusiasmo della vanità (troppo stupido).
a cura di Marco Gargiulo
Io e il mio amore: storie quotidiane di musicisti coraggiosi. Racconti in prima persona di successi e fallimenti di chi si mette in gioco per lavorare di, con e per la musica.
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