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Com’è nata, com’è strutturata e quali sono gli aspetti che differenziano la Boring Machines dalle altre etichette indipendenti italiane?
Onga: Boring Machines è nata ufficialmente nel 2006, con una release condivisa con Madcap Collective, Shyrec, Under my Bed ed Eaten by Squirrels. Si trattava del primo album “ufficiale” di My Dear Killer che avevo conosciuto pochi anni prima ad un concerto che avevo organizzato. Fondamentalmente Boring Machines sono io ed io sono Boring Machines, tutto quello che faccio quando non sto facendo altro per portare a casa la pagnotta è Boring Machines. Anzi, a ben pensarci, anche mentre sto portando a casa la pagnotta a volte sono Boring Machines. Non credo ci siano grandi differenze con le altre etichette indipendenti italiane, almeno con quelle che mi sento di chiamare indipendenti perché poi ce ne sono altre che sono in realtà delle piccole industrie che sono solo più sfigate delle major perché non la svoltano, ma ragionano ed agiscono nello stesso modo. Quando parlo di etichette indipendenti mi vengono in mente Brigadisco, Avant!/Yerevan Tapes, Holidays, NO=FI Recordings, Senufo Editions, Black Sweat Records, Sound of Cobra, Silentes, Backwards e molte altre, che sono affini per spirito al modo in cui porto avanti Boring Machines.
Perché “Boring Machines”?
È una specie di errore/collisione tra due concetti che mi stanno a cuore. Boring Machines sono le enormi trivelle che scavano i tunnel sotterranei, un immaginario palesemente “underground” insomma. Boring Machines come errore nella traduzione di “macchine della noia” che sarebbe meglio scritto come Boredom Machines. Da questi due concetti, anzi tre forse, lo scavare nel sottosuolo, la noia e le macchine mi si è creato l’immaginario di riferimento.
Quando hai fondato l’etichetta, avevi uno o più modelli?
Un modello di riferimento in generale era ed è la Constellation. Quello che mi piace di loro è il fatto di non avere un suono preciso, di spaziare, ma di avere una identità molto forte. La mia speranza con il tempo è di poter raggiungere una solidità artistica ed una credibilità simile. Al di la dei super successi come i Godspeed o la Bozulich, la Constellation ha sempre sfornato dei dischi della madonna, non ultimo Hiss Tracts che mi è garbato assai. Inoltre di Constellation, ed anche altri ho sempre apprezzato l’estrema cura del packaging, delle grafiche come parte integrante del lavoro. In Italia mi hanno influenzato molto tutte quelle etichette con le quali ho incrociato percorsi e situazioni negli anni spesi ad organizzare concerti e ad andarne a vedere altri in giro per l’Italia. Bar La Muerte di Bruno Dorella, Fooltribe, Afe Records ed Ebria Records e Wallace hanno segnato il percorso, mi hanno fatto capire come avrei voluto fare le cose io cercando di “rubare” il meglio di quello che avevo visto fare a loro.
Qual è la filosofia generale dell’etichetta?
Prenderla con filosofia soprattutto. Se c’è una filosofia/linea che si è sviluppata nel tempo è quella di volermi concentrare sulla produzione solamente di band/progetti italiani. Ho fatto delle cose con degli stranieri in passato e ne sono molto felice, ma sono convinto che ci sia così tanta buona musica fatta in Italia che trovo giusto occuparmene esclusivamente. Nonostante ancora oggi il belpaese sia visto sotto un’ottica prettamente esotica, a volte un po’ di autostima non guasterebbe. Nel campo sperimentale abbiamo avuto e abbiamo tutt’ora fior di musicisti che non hanno nulla da invidiare, anzi, a più blasonati colleghi stranieri. Penso a Giuseppe Ielasi, Renato Rinaldi ed altri del loro giro, ma penso anche ai miei Luciano Maggiore e Francesco Brasini, a Von Tesla. Nel campo delle musiche ibride, che pescano a piene mani da library music, psichedelia e noise, ci sono un sacco di cose molto buone. Ce ne sono talmente tante che non riuscirò mai a mettere le mani su tutte, ma per fortuna oltre che a tanti bravi musicisti ci sono anche tante buone etichette che li supportano.
Fate tutto da soli? O vi avvalete dell’aiuto di qualcuno?
La gestione dell’etichetta è fatta tutta da me, in ogni dettaglio. Dalla scelta delle pubblicazioni, alla promozione, le vendite, tutto. Naturalmente mi avvalgo dell’aiuto di validi professionisti che mi aiutano nel realizzare le cose come le ho pensate. Penso soprattutto a Legno e CORPOC per la stampa delle copertine (con CORPOC ho anche co-prodotto un disco, l’EP More Alien than Aliens di Mamuthones) , all’indispensabile tocco di Be Invisible Now! (aka Von Tesla) per i layout grafici. Per il resto è tutta farina del mio sacco, pardon, tasca. Ultimamente, complice la crescita di interesse attorno all’etichetta, la gestione in solitaria e tutto quello che comporta è un messaggio che faccio un po’ fatica a far passare in giro. Cominciano ad arrivare davvero tante richieste/proposte e con loro cominciano pure i recall, gente che ti riscrive per avere feedback etc e che non calcola un paio di cosucce tipo che non ho un A&R che ascolta i dischi al posto mio e poi gli manda la classica mail preformattata con scritto “bravi ma no grazie”. Ho provato anche a scoraggiare la gente da mandarmi demo da sentire, ma non sta funzionando molto devo dire.
Come selezionate gli artisti da accogliere nel roster?
Ecco, per l’appunto. Non c’è un vero processo di selezione, di solito andando in giro per concerti e parlando con i miei sodali di cui sopra, capita di sentire, o sentir parlare di progetti in divenire, ci si parla, ci si scambia dei files da sentire, nascono amori per certi suoni, si fanno i dischi. Il fatto di non voler ricevere proposte dall’esterno è dettata dal fatto che più o meno so già cosa avrò voglia di fare, ho già una mezza idea di cosa c’è in giro e di cosa mi può piacere. Poi ci sono evidentemente le eccezioni, l’onniscenza non è di questa terra. Le cose che ho fatto uscire su Boring Machines sono molto diverse tra loro a tratti come suono, io ci vedo un trait d’union che ha come temi il disagio e il desiderio di fuga. Che sia la fuga verso lo spazio profondo di Be Maledetto Now! o la fuga verso i deserti de La piramide di sangue non ha importanza, l’importante è fuggire il più lontano possibile.
Siete più voi a cercare, o siete soprattutto cercati? Qual è il tuo metodo per cercare nuove band da pubblicare?
Come dicevo, non c’è un vero metodo e non ci sono grandi ragionamenti dietro. Di solito capita che ascolto una cosa, mi piace, controllo il conto in banca e decido se pubblicarla o meno. Spesso decido di pubblicarla anche quando il conto in banca mi urla “non lo fare”, cioè sempre. Il fatto è che potrei morire domani e non ho intenzione di lasciare fondi di qualsiasi tipo in un istituto bancario, preferisco lasciare dei dischi in eredità al mondo. La percentuale di musicisti che si propone a Boring Machines ultimamente è cresciuta tantissimo, ne sono molto felice anche se poi nel 90% dei casi sono costretto, dolorosamente, a dire di no e non è mai facile visto che poi ci conosciamo di persona quasi tutti. Ogni tanto quando la questione diventa davvero pesante c’è il rischio che questioni non musicali e più relative ad altre sfere entrino in campo e scartare dei lavori anche molto buoni diventa un’impresa difficilissima.
Che tipo di accordi vengono stipulati con gli artisti? E come vengono suddivisi investimenti, lavoro ed eventuali profitti?
Accordi stipulati, profitti, di cosa stiamo parlando? Giusto per essere chiarissimi: Boring Machines è una attività in perdita costante, è sostenuta solamente dal fatto che faccio su un bel po’ di grana rompendomi non poco i coglioni al servizio dell’industria del nord-est. I profitti non ci sono, accordi sui profitti mi vien mal di testa solo a pronunciare la frase. Gli investimenti li faccio tutti (o quasi) io perché non me l’ha ordinato il dottore di aprire un’etichetta. Di solito il gruppo arriva col disco finito, io mi occupo di stampa e promozione al meglio delle mie capacità del momento, e al gruppo viene data una quota gratuita di dischi che dovrebbe compensare almeno le briciole delle spese che sostiene per rimanere in piedi. È una specie di mutuo sostegno tra poveracci fondamentalmente, che passano il loro tempo a darsi più amore possibile visto che i soldi non ci sono, per nessuno.
In media, quanto vende un titolo? E quel è stato il vostro best-seller?
Le tirature di Boring Machines vanno dalle 300 alle 500 copie, non sempre si vendono tutte, anzi. Alcuni dischi vanno meglio di altri, per esempio “Tebe” de La piramide di sangue e “Death Surf” di Heroin in Tahiti sono stati anche ristampati, ma parliamo di un massimo di 800 copie alla fine. I dischi più vecchi, essendo ancora all’inizio della storia, son quelli che hanno fatto più fatica, mentre di recente riesco almeno a coprire i costi di produzione del disco. Rimangono fuori in perdita tutte le altre spese, promozione, centinaia di chilometri di autostrade, benzina, pedaggi, milioni di sigarette fumate, tutte cose che succedono perché esiste Boring Machines, mica per altro. Perché continuo a farlo? Non ce l’ho una risposta, fin che la trovo intanto tiro dritto.
Qual è il tuo album preferito tra quelli pubblicati? E quello più sottovalutato?
Il mio preferito è sempre il prossimo che sto per fare. Visto che non ci sono altre valutazioni oltre al “mi piace tantissimo ‘sta musica” mi piacciono tutti tantissimo i dischi che ho fatto uscire. Secondo me è stato sottovalutato, o non sono riuscito io a promuovere a dovere, il disco di FaravelliRatti che feci uscire nel 2010. L’ho riascoltato da poco ed è un disco che dal punto di vista della cura del suono e delle strutture è pazzesco. Ci sono centro altri dischi fatti della stessa materia che mi son comperato negli anni che secondo me non possono competere con questo monumento di bellezza. Ai tempi mi aspettavo di bruciarlo in poche settimane vista anche la tiratura limitata, invece ha arrancato un po’ fino ad oggi e ne ho ancora qualche copia. Mistero.
In percentuale, quante copie si vendono nei negozi, quante attraverso il vostro sito e quanto ai banchetti dei concerti?
I concerti fanno la parte più grossa sicuramente, non è un mistero che i dischi delle band che suonano di più dal vivo si vendano in numeri maggiori. Il sito vende molto soprattutto ai fan consolidati appena escono i dischi, oppure dopo un po’ che il musicista ha fatto date in giro capita che qualcuno dalle stesse città si comperi il disco. Sicuramente un dato va rilevato, vendite in concomitanza all’uscita di recensioni non se ne vedono, non sono più quelle che spostano l’asse dell’interesse dell’acquirente. I negozi, se includiamo anche quelli virtuali, fanno poco o pochissimo. La causa secondo me sta nel fatto che perdono troppo tempo a mettere in homepage (o vetrina) i dischi che si venderebbero comunque e spingono poco quelli delle etichette piccole. Una vetrinetta/recensione da Aquarius a San Francisco piuttosto che una recensione sul sito di Boomkat spostano molte più vendite di quanto si pensi, ma se danno la precedenza al nuovo Swans (per fare un esempio) e cose del genere, ovviamente tutto il resto passa in secondo piano.
Come vedi in prospettiva “l’oggetto” disco? Pensi anche tu che il futuro sia nei file da scaricare, con la “fisicità” di vinile e/o cd ad appannaggio di una ristretta cerchia di cultori e nostalgici?
La parola nostalgico non si applica bene alla questione secondo me. I formati fisici non sono mai andati via quindi l’effetto nostalgia non esiste. Che la cerchia sia ristretta ad un numero limitato di cultori lo dicono i numeri di cui si parlava prima, ma credo che la questione formato cd/lp/file sia lunghissima e noiosissima da sviscerare. Io preferisco in maniera netta i formati fisici, con una preferenza verso il vinile ma non definitiva, alcuni lavori mi va benissimo che stiano su cd.
C’è qualche altra etichetta italiana con la quale vi trovi in sintonia?
Beh si, molte. Alcune di quelle che citavo all’inizio sono state anche partners in release co.prodotte, con Avant! ho fatto il disco degli How Much Wood…? di Torino, con Black Sweat abbiamo co-prodotto Eternal Zio e Maurizio Abate, con Sound of Cobra entrambi i dischi della Piramide, e molti altri dischi sono stati fatti a più mani con altre etichette. Siamo in pochi, ci conosciamo tutti tra noi più o meno e ci vogliamo tutti in sacco di bene. Oltre a quelle citate, mi vengono in mente la NO=FI di Toni e la Lemming di Gaspare dei Cannibal Movie, entrambe stanno facendo delle uscite molto molto belle e curatissime. Poi c’è Musica Moderna, gestita da Matteo di Kam Hassah/Lettera22 e Claudio Rocchetti, ed entrambi gestiscono i loro output personali a nome Second Sleep e Tulip. Se solo ci fosse una spinta più forte da parte della stampa di settore italiana e non dovessimo preoccuparci troppo della promozione sul suolo interno, sono sicuro che tutti noi avremmo più tempo ed energie da dedicare alla promozione all’estero dove l’italiano non si parla (!) e sono abbastanza convinto che molti potrebbero spaccare, perchè di gente brava nello stivale ce n’è un tot.
Che cosa dobbiamo aspettarci da voi nei prossimi mesi?
È in arrivo dopo le ferie il nuovo “Dream Weapon Ritual” del maestro Simon Balestrazzi (Tomografia Assiale Computerizzata) in tandem con Monica Serra, è un disco molto bello dove i suoni pesanti ed ossessivi dell’industrial si mischiano con drone e forme di folk immaginario. Un disco di gran spessore che sono onoratissimo di fare su Boring Machines. Ci sarà poi l’ingresso di un nuovo progetto nel mio roster, si tratta di Zone Démersale che è il duo di Pietro Riparbelli con Michele Ferretti (aka Nubilum) e sarà un lavoro di stampo ambient, fatto con sorgenti sonore provenienti da synth analogici anni 70 italiani, ricevitori radio ad onde corte e loop creati da locked groove. Prima di questi però uscirà il primo lavoro non musicale di Boring Machines, si tratta di una collezione di foto di Adriano Zanni (aka Punck). Adriano ha fatto un disco su Boring Machines nel 2008 basato sulla coincidenza di tempo e luogo tra la sua biografia personale e il film di Michelangelo Antonioni “Il deserto rosso”. A 50 anni dall’uscita del film, questa collezione di foto riprende esattamente da quei suoni, da quelle terre. È un lavoro di cui vado molto fiero, sarà raccolto in un box serigrafato a mano da Legno in tiratura limitata.
a cura di Marco Gargiulo
Behind the Records: la parola alle etichette discografiche.
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