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16 aprile 2016
Forse arriva a metà concerto la stretta allo stomaco più intensa. E d’improvviso ti accorgi di tutto quello che hai, ci hai sputato ma alla fine lo hai tenuto; e d’improvviso ti accorgi di quel poco che sei, conservi i ricordi per farci un incendio, ti sei abituata alla perplessità, e rimani in silenzio in attesa del resto alla cassa del bar (Una maternità). Accompagnata dal suono desertico della sua chitarra acustica, la voce agre, maledettamente vibrante, e per me bella, di (Francesco Motta, in arte semplicemente) Motta dilata ancor più la potenza immaginifica delle sue liriche e mette a dura prova la tenuta emotiva dei presenti. Si sfiora il colpo da KO: e se non lo è completamente, è solo perché tutto il concerto è un colpo da KO: scegliere un momento specifico sarebbe davvero impresa ardua.
Quirinetta, palco principale. Dopo due album pubblicati con i Criminal Jokers e collaborazioni varie e variegate in questi ultimi anni (Nada, Pan del Diavolo, etc), Motta presenta finalmente il suo esordio solista, La fine dei vent’anni. Un disco fortemente voluto e a lungo rincorso: “Grazie, grazie uno a uno per essere qui, erano quattro anni che aspettavo questo momento“. Poche altre saranno le parole che l’artista pisano (ma ormai di base a Roma) pronuncerà durante il corso della serata. Tra queste, tanti ringraziamenti (anche al produttore del disco, Riccardo Sinigallia, presente in sala), la dedica di Mio padre era comunista ai genitori venuti appositamente dalla Toscana (Mio padre era un comunista e adesso collezione cose strane… mia madre era bellissima, le piace fare grandi passeggiate… L’amore per loro è aspettare insieme la fine delle cose) e una dichiarazione di orgoglio per il proprio passato artistico nell’annunciare l’esecuzione di Bestie e Fango (“Non posso non farle, sono fiero di averle scritte“) con la partecipazione straordinaria della chitarra di Francesco Pellegrini (Criminal Jokers). Per il resto, l’emozione gli divorerà le parole dal di dentro; le parole, non quella scintilla particolare che scatta quando si sta su un palco, che brucia, che ti porta a suonare ogni volta come se fosse l’ultima.
Ma poi a che servono le parole tra una canzone e l’altra quando ci sono appunto le canzoni, e che canzoni!, a occupare la scena? E allora via, con l’attacco affidato al mantra ipnotico di Prenditi quello che vuoi. Poi, in ordine sparso ci sono tutte quelle del disco che, se qualcuno avesse avuto dei dubbi, funzionano anche dal vivo. E questo nonostante un livello dei volumi non sempre perfettamente bilanciati (problemi tecnici?), con la voce spesso un tantino più bassa rispetto agli strumenti, a perdersi talvolta nel tappeto sonoro ricamato da chitarra basso batteria e tastiera. Sorprende la chiusura affidata a Quando arriva la bomba, sempre con Pellegrini sul palco, sempre dal suo passato recente, e non per esempio a La fine dei vent’anni o Abbiamo vinto un’altra guerra, come su disco. Dettagli, comunque.
Motta è il culmine del così denominato Roma Folk Festival. Lo hanno preceduto Lilac Will, VonDatty, che ci siamo persi, e Lucio Leoni, cantore di una Roma decadente e autore di un’esibizione de core.
Foto di Claudia Pajewski
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