I hurt myself today
To see if i still feel
I focus on the pain
The only thing that’s real
The needle tears a hole
The old familiar sting
Try to kill it all way
But i remember everything
(Johnny Cash – Hurt)
Uno scossone al petto fece svegliare Hugo. Non c’era nessuno li con lui, era disteso su un prato umido, in quello che sembrava un parco abbandonato. Con gli occhi rivolti verso il cielo cercò di dare un significato alle forme nebulose nella nebbia e del fumo che avevano coperto il cielo e oscurato il Sole. L’aria era umida e fredda ma non accusava alcun sintomo, si sentiva stranamente a suo agio con quel clima e lentamente si alzò in piedi per poi barcollare un po’. Si sentiva come se fosse stato investito da un automobile e le sue memorie erano offuscate allo stesso modo di quella attanagliante nebbia.
Poi un campanellino…
Hugo abbassò lo sguardo e vide il primo essere vivente nella zona: un gatto nero.
Aveva gli occhi giallo oliva e strette fessure verticali nere. Portava un collare rosso e un campanellino dorato appeso, che suonava ogni volta che l’animale si muoveva.
Hugo restò un paio di secondi a fissare l’animale e una sensazione di tenerezza lo avvolse. Sorrise e si avvicinò all’animale chinandosi con un ginocchio. Il gatto faceva le fusa e si lasciò accarezzare, poi però si voltò e iniziò a correre via dal parco. Il campanello risuonò così forte che sembrò echeggiare nell’atmosfera e ciò lo convinse a seguirlo, perché all’improvviso si sentì chiamato in causa…
Hugo corse e uscì dal parco ritrovando per la strada vuota. I negozi erano tutti chiusi e le macchine sembravano essere abbandonate da secoli. Ed ecco che li, intento a fumare una sigaretta c’era un uomo sui trent’anni. Era vestito con una giacca nera elegante e una cravatta viola scuro. Portava con se una valigetta ed era intento a fissare un punto vuoto nel cielo.
«Mi scusi?» Hugo si avvicinò e l’uomo subito rivolse la sua attenzione sul ragazzo.
«Posso aiutarla?» Domandò con voce cortese.
«Ha per caso visto un gatto nero con un campanellino?»
L’uomo sorrise come se quella domanda gli fosse stata rivolta almeno un migliaio di volte.
«Quel gatto vive lì… in quella casa abbandonata poco oltre questa strada» E gli indicò la via con il dito.
«La ringrazio» Rispose cortese Hugo.
L’uomo sorrise nuovamente e gli fece un cenno, continuando a fumare la sua sigaretta in totale tranquillità. Hugo attraversò dunque un breve tragitto di strada e li vide la recinzione in ferro battuto che delimitava l’abitazione.
Era una villetta logora, sporca e torturata a lungo dal tempo.
Le finestre erano rotte e le piante rampicanti avevano quasi del tutto conquistato la struttura. Il cancello era aperto e come tutto il resto in pessimo stato. Lo aprì seguito dal cigolo tetro e ferrifero delle giunture arrugginite che gli diede il benvenuto. Poi sentì nuovamente il campanello… Hugo si affacciò sul lato destro del cortile e li vide i resti di un altalena per bambini distrutta. Il gatto nero era acciambellato lì, sul terreno, vicino a due oggetti in pericolare: un giocattolo vecchio e rotto di un soldato e una Barbie con la testa attaccata con lo scotch. Hugo si chinò e prese i giocattoli tra le mani, fissando
negli occhi il gatto. In quell’istante la mente di Hugo ebbe un blackout…
18 Anni prima…
Era una calda giornata d’estate. Gli alberi si muovevano sinuosi ed eleganti al fruscio del vento caldo e i raggi del Sole penetravano tra le frastagliate forme verdi sugli arbusti.
Hugo e Kristie giocavano sempre in quel punto perché c’era ombra ed era l’unico posto fresco in cui ripararsi dal Sole. Loro due giocavano sempre da soli poiché ebbero la sfortuna di vivere a qualche isolato più lontano dal parco in cui si radunavano tutti i loro amici e senza un genitore non avevano il permesso di uscire di casa, ma nonostante la solitudine i due si arrangiavano e si divertivano con quello che avevano. Hugo con le sue epiche guerre e battaglie per la salvezza del mondo e Kristie semplicemente per rendere più bella la sua bambola, ma quel giorno mentre Kristie pettinava la sua Barbie applicò più forza del dovuto e la testa gli si spezzò. Hugo fissò sua sorella diventare rossa e scoppiare a piangere. La sua bambola preferita… decapitata. Hugo posò il suo giocattolo e si avvicinò alla sorella.
«Aspettami qui… te l’aggiusto ok?» Disse Hugo con un grosso sorriso sulle labbra.
Kristie tirò su il naso e annuì asciugandosi le lacrime. Lui non perse tempo e entrò in casa per cercare un po’ di quella colla speciale che suo padre usava per i suoi lavori a casa. Ricordò che suo padre teneva le sue cose in camera sua e così salì le scale dove c’era anche la cameretta che condivideva con sua sorella, tuttavia una volta li udì dei rumori molesti. Sua madre stava ansimando…
Hugo non capiva cosa stesse succedendo e accorse immediatamente nella camera da letto dei suoi genitori, ma quando entrò nella stanza vide sua madre e un altro uomo in atti sessuali. Un uomo che non era suo padre…
Quel giorno morì qualcosa in fondo al suo cuore…
Qualcosa che lo avrebbe tormentato per tutta la sua vita a venire…
Presente…
Quando i sensi di Hugo tornarono a fuoco non era più nel recinto della sua vecchia casa. Era vissuto lì da bambino assieme a sua madre, suo padre e sua sorella Kristie. Dopo una serie di sfortunati eventi però in quella casa la tranquillità fu messa a repentaglio. C’erano litigi ogni giorno e il tradimento di sua madre non restò impunito…
Dopo un interminabile guerra legale Hugo e Kristie furono messi davanti ad una dura scelta: La madre o il padre. Kristie restò con la madre, ma Hugo seguì il padre.
Da quel giorno la sua vita era cambiata radicalmente.
Pensò a tutto questo mentre osservava l’orizzonte, l’ipnosi si era rotta e realizzò di essere su una spiaggia. L’odore della salsedine pizzicava nel naso e le onde burrascose si accavallavano e si schiantavano su una malinconica baia, non molto distante da un porto con dei pescherecci. Hugo affondò i piedi nella sabbia e iniziò a camminare per ritrovare il suo cammino verso la strada. Riuscì ad arrivare ad uno stabilimento vuoto e abbandonato e salì su una banchina con alcune barche ormeggiate. Li tutto solo c’era un uomo sui sessant’anni, con un capello di paglia e una vecchia camicia bianca. Se ne stava lì con la canna da pesca in mano mentre canticchiava una canzone allegra. Hugo si avvicinò e l’uomo si voltò con un largo sorriso sulle labbra.
«Ohoh un anima giovane! Sei venuto a farmi compagnia giovanotto?»
«E’ qui tutto solo?» Domandò Hugo.
«Dipende da cosa intendi per solo ragazzo… mi piace la tranquillità e adoro questo posto, oltre che ad essere un ottimo luogo di pesca…»
Hugo ebbe questa improvvisa voglia di sedersi ad osservare il mare in tempesta in compagnia di quel gioviale signore anziano, ma il ridondante suono del campanellino attirò nuovamente la sua attenzione. Rimbombò nell’aria come se nel cielo ci fossero dei giganteschi altoparlanti e Hugo non aveva idea da dove provenisse esattamente.
«Ha visto un gatto nero nelle vicinanze? Ha un campanellino dorato appeso al collo»
Il pescatore sorrise con sguardo buono.
«Quella bestiola viene spesso qui… gli do del pesce di tanto in tanto, lei lo adora! Poi se ne va verso quella direzione e torna solo quando ha fame…»
«Grazie» Disse Hugo riconoscente poi risalì la banchina e si mise a cercare l’animaletto.
La strada era avvolta da un manto di nebbia impenetrabile, lui non riusciva a vedere assolutamente niente e si orientava a malapena, finché non seppe più dove andare. Gli sembrò di camminare in eterno nella stessa direzione e più proseguiva più la nebbia lo soffocava e lo demoralizzava.
Fu dunque colpito dal panico, si voltò e corse nella direzione opposta nella speranza di trovare qualcosa, un cenno di progresso, ma ogni strada che imboccava era uguale alle altre. I suoi occhi non vedevano più niente, solo fumo e nebbia. Gli sembrò quasi che fossero di vetro e che gli si fossero appannati e non importa quante volte se li strofinasse tutto continuava a sfocare sempre di più. Poi resosi conto di essersi perso accusò un capogiro e fu inghiottito dalla foschia.
13 Anni prima…
Hugo era seduto davanti al suo banco di scuola, era l’ora di arte e il compito del giorno era fare un disegno di un paesaggio marittimo. La maestra insegnava una grande varietà di cose, ed essendo primavera decise che portare in gita i suoi alunni nelle vicinanze della spiaggia vicina, fosse una buona idea per loro per trarre ispirazione per i disegni. Ma in cuor suo Hugo sapeva che il tempo delle gite e dei disegnini sarebbe presto finito, quello dopotutto era il suo ultimo anno nelle scuole elementari.
La maestra aveva il compito di valutare i suoi allievi e uno in particolare la preoccupava parecchio: Hugo. In cinque anni che lo conosceva non l’aveva mai visto esporsi troppo, ne sorridere, ne partecipare a giochi o compiti di gruppo. Era sempre rimasto solo per tutto il periodo elementare e questo spinse la maestra a intervenire. Quel giorno all’insaputa di Hugo la maestra mandò a chiamare suo padre.
«Maestra Mayers c’è una persona che vuole parlarle…» Disse la bidella che entrò nella classe.
«Arrivo subito» Diede una rapida occhiata ai suoi alunni e stando attenta a non guardare Hugo per insospettirlo uscì. Fuori la porta vi era un uomo elegante, di mezz’età, che aveva chiaramente lo sguardo di colui che era stato disturbato dal suo importante lavoro.
«Signor Blackwell, mi dispiace averla chiamata con così poco preavviso…» Disse mortificata la maestra.
«Non si preoccupi… è successo qualcosa che riguarda mio figlio?»
«A dire il vero si signor Blackwell… e ammetto di aver sbagliato a non dirvelo prima»
L’uomo si aggiustò gli occhiali da vista
«Di cosa si tratta?» Chiese conciso.
«Suo figlio non comunica signor Blackwell… è sempre chiuso in se stesso, non si è fatto amici stretti e non è interessato minimamente a relazionarsi. Sa le cose inizieranno a cambiare per lui d’ora in avanti. Le scuole medie sono un periodo di transizione per un ragazzino come Hugo… so che lei come genitore ha la responsabilità di educare suo figlio secondo le sue regole, ma Hugo ha bisogno di stare più a contatto con le persone… di aprirsi un po’ di più» Disse empatica la Mayers.
L’uomo si aggiustò nuovamente gli occhiali.
«Hugo è un ragazzino riservato. Neanche a casa parla mai con me e rimane sempre solo a casa a leggere libri, a studiare, o davanti ai videogame. Esce di rado e probabilmente tutto questo è dovuto al fatto che non ha mai superato il divorzio con la mia ex moglie. Gli serve del tempo signora Mayers… sono sicuro che col tempo riuscirà a superare questo trauma»
La maestra aprì poi la cartellina e gli mostrò un disegno.
«Signor Blackwell vorrei metterla all’attenzione di una cosa… io non sono una psicologa ma è chiaro che suo figlio ha bisogno d’aiuto»
L’uomo fissò il disegno chiamato “La Famiglia” lì dove c’era scritto <mamma> c’erano una serie di orribili scarabocchi.
Presente…
Hugo era sdraiato faccia a terra sul gelido asfalto. L’ombra di qualcuno vegliava sul suo corpo e quando aprì gli occhi vide un ragazzo più o meno della sua età che lo guardava.
«Stai bene?» Chiese preoccupato.
Hugo si alzò lentamente e indolenzito si rimise in piedi.
«Che cos’è successo?» Gli domandò.
«Ti ho visto accasciato al suolo e ho pensato che stessi male… va tutto bene?»
Hugo annuì.
«Sto bene, solo un po’ confuso…»
Si udì poi un lontano boato che deflagrò nel cielo. I due ragazzi alzarono lo sguardo verso il cielo e notarono che assieme alla nebbia e al fumo c’erano una massa di nuvole nere in avvicinamento.
«Sta arrivando il temporale… sarà meglio trovare riparo» Disse sorridendo il ragazzo.
Hugo si guardò attorno e notò che si trovava in un luogo completamente differente. Il mare era scomparso e ora c’erano soltanto alberi di pino e una serie di vie con negozi chiusi e sbarrati.
«Sto cercando qualcosa… forse puoi aiutarmi» Disse poi Hugo.
«Certo, cosa posso fare per te?» Sorrise l’altro.
«Sto cercando un gatto nero… ha un campanello attaccato al collo. Lo stavo inseguendo ma poi mi sono immerso nella nebbia e l’ho perso»
Il ragazzo mise le mani in tasca e sorrise bonariamente.
«Non so dov’è il gatto, ma la via che stai percorrendo è giusta Hugo…»
«Come sai il mio nome?» Domandò insospettito.
Il ragazzo non spense il suo sorriso.
«Lei mi ha parlato di te… ti sta aspettando, laggiù in quella chiesa, ma non avere fretta. Guardati bene attorno, magari troverai il gatto» Poi si allontanò e svanì in una viuzza colma di nebbia.
Hugo era confuso, ma decise di proseguire lungo la strada che portava alla chiesa.
Un altro tuono riecheggiò e questa volta il fragore fu molto più vicino. L’odore della pioggia e dell’umidità si fecero più forti e un susseguirsi di raffiche di vento scossero gli arbusti degli alberi. Mentre si faceva strada in quella strada desolata verso la chiesa udì il campanello, Hugo si voltò e vide il gatto raggomitolato sul tavolo di un negozio di costosissime e raffinate borsette per donne, oltre che a vestiti dall’aria chic. Il campanello suonò di nuovo e ancora una volta accusò un capogiro…
[adsense]
7 Anni prima…
Hugo era seduto su una lussuosa poltrona in pelle di daino, nel salotto di una grande e fastosa villa. Aveva il volto graffiato con diverse ferite quasi ancora sanguinanti e con sguardo chino sul pavimento stava sopportando l’ennesimo rimprovero di suo padre.
«Quante volte devo dirtelo Hugo?!» Disse il padre esasperato «Quando ti deciderai a crescere e smettere di fare l’eroe? Eri un ragazzino così tranquillo e ora ti sei trasformato in una specie di super eroe che salva i ragazzi dai bulli della scuola. Hugo non devi immischiarti in problemi che non ti riguardano… mi hai capito bene?»
Hugo annuì in silenzio, ma in realtà dentro di se gridava dalla rabbia. Cosa ne sapeva lui di come ci si sentiva ad essere presi in giro, ad essere indifesi davanti a quegli scarti della società? Senza contare che ora viveva in casa con uno di quei tanti individui che Hugo disprezzava: la sua sorellastra Jennifer. Suo padre si era risposato con una prestigiosa avvocatessa, la stessa con la quale aveva fatto guerra legale a sua madre durante il divorzio. Quasi tutte le sere Hugo era costretto a sentire le loro effusioni e quelle della sorellastra, e spesso andavano avanti per ore, anche nel cuore della notte. Era disgustato dalla loro mancanza di rispetto, privi di alcuna morale, che avevano a cuore soltanto il denaro. Hugo aveva perso anche l’appoggio di suo padre ormai… era così preso dal suo nuovo matrimonio e soprattutto dal suo nuovo proficiente lavoro, che aveva smesso completamente di comunicare con lui.
Jennifer passava il suo tempo con la musica dei suoi idol band a tutto volume e nonostante in continui richiami superficiali e poco efficienti della madre lei continuava a impiastrarsi con cosmetici e rendersi sempre più “bella” davanti allo specchio. Nel giro di due settimane aveva cambiato sei borse e quattro fidanzati e le amiche che frequentava forse erano ancora peggio di lei. Hugo si sentiva un elemento estraneo, soffocato dal rancore e dall’odio di quella “famiglia” spesso se ne restava lì davanti alla finestra e pensava a come sarebbe stata la sua vita se sua madre non avesse tradito suo padre. Quell’errore aveva sconvolto le vite di tutti e più di tutti quella di Hugo. Non riusciva a perdonarla né a perdonare suo padre per essere stato così debole di fronte alle avance di una donna ignobile. Ma Hugo aveva trovato qualcosa in fondo a quel marciume che lo aiutò ad andare avanti con la sua vita. Quei tagli sul viso, quelle cicatrici e quell’occhio gonfiato dai pugni dei bulli lo rendeva orgoglioso di aver aiutato i più deboli. Si era dannatamente orgoglioso di aver aiutato chi ne aveva bisogno. Sentiva nel suo cuore che quella era la strada giusta da seguire e l’avrebbe percorsa ignorando le futili prediche di suo padre…
Presente…
Hugo aprì gli occhi ed era all’esterno del negozio di borse. La nebbia si era leggermente dileguata quel poco che bastava per permettergli di vedere la figura della chiesa a distanza.
Mentre camminava in avanti verso la Chiesa sentì sulla sua pelle l’umidità del temporale che avanzava. I tuoni erano vicinissimi e esplodevano nel cielo rabbiosi portando con se nubi colmi d’ira, ma a placare l’atmosfera era il suono nostalgico e soave delle campane che provenivano dalla torre del campanile della chiesa. Restare per la strada non era più sicuro, così Hugo iniziò ad accelerare il passo verso la sua destinazione e fu lì che vide una voluminosa donna di colore scavare nel bidone della nettezza urbana, borbottando e imprecando.
Lui arrestò la sua corsa e si accostò sul marciapiede avvicinandosi alla donna.
«Mi scusi…»
La donna tirò fuori la testa dal cassonetto e si pulì le mani sulla giacca sporca.
«Ah sei tu… che ci fai ancora qui? Non vedi che sta per arrivare la pioggia?»
«Mi conosce signora?»
«Per niente… ma lei non fa altro che parlare di te. Ti sei perso ragazzo? La chiesa è proprio lì sai?»
«Le serve una mano?» Domandò Hugo.
«Sarò pure vecchia ma so tirare fuori una busta da questo bidone… ora smamma ragazzo se non vuoi farti la doccia, cosa che onestamente a me farebbe piuttosto bene»
Hugo si allontanò dunque dal bidone, ma continuò a voltarsi verso di lei chiedendosi chi fosse la donna che chiedeva di lui. Ma chiunque ella fosse si trovava nella chiesa.
Dopo diversi metri a piedi ecco che Hugo giunse alla piazzetta della parrocchia e davanti all’ingresso della chiesa c’era un prete in vesti nere e colletto bianco.
Sorrise alla vista di Hugo e allargò di poco le braccia.
«Ah Hugo… finalmente sei arrivato» Disse il sacerdote.
«Mi stava aspettando?»
«Tutti ti stavano aspettando Hugo… ma prima di entrare figliolo vorrei farti una domanda: ti ricordi cos’è successo? Ti ricordi perché sei qui?»
Hugo restò in silenzio e per la prima volta realizzò che da quando si era svegliato disteso in quel parco non si era mai chiesto dove si trovasse e perché non era a casa, ne perché tutto sembrava così bizzarro…
[adsense]
1 Anno prima…
Hugo aveva dedicato quasi tutto il suo tempo a studiare medicina. Era riuscito grazie a innumerevoli sforzi a ottenere la sua indipendenza. Ora era libero da suo padre, dalla sua matrigna e dalla sua sorellastra. Nel corso dei suoi studi al liceo aveva compreso l’importanza di aiutare le persone, di quanto fosse importante per lui affermare e lasciare del buono attorno a se. Aveva dedicato a questo scopo così tante forze tanto da arrivare a trascurare se stesso. Ma nonostante tutto ciò che faceva, nonostante i sorrisi e la gratitudine delle persone, Hugo sentiva un vuoto costante nel suo cuore.
In fin dei conti lui non si sentiva affatto diverso da quando era un ragazzino. Non aveva una vita regolare come tutti gli altri. Nessuna fidanzata, nessun interesse comune con i suoi pochi amici, si sentiva irrealizzato, incapace di andare oltre una certa soglia e non capiva il perché. Perché aiutava le persone? Perché farlo lo faceva sentire vivo? Cercò a lungo una risposta e un giorno senza preavviso arrivò…
Un notaio e un suo collega si presentarono a casa sua in una giornata di pioggia.
«Signor Blackwell giusto?»
«Sono io…»
«Mi chiamo Antony Tresh e lui è Simon Reed. Siamo qui per comunicarle che lei è stato citato nelle ultime volontà del testamento di Mary Clara Preston…»
Per un attimo Hugo sentì lo stomaco appesantirsi e il cuore indurirsi di colpo.
«Ha detto Mary Clara Preston?? Che cos’è successo?»
«E’ morta signor Blackwell… le mie condoglianze»
Hugo era sconcertato, stravolto, non capiva perché si sentiva così triste per la morte di sua madre, in fin dei conti non era mai riuscito a perdonarla per ciò che aveva fatto, per avergli reso la sua vita a quel modo, ma da una parte gli era anche grata. Era stato anche grazie a quel dolore e quelle delusioni che era riuscito a trovare la sua vita e il suo obiettivo. Sorrise e scosse il capo cercando di mascherare quel mix di sensazioni di dolore e angoscia.
«Come è morta?» Domandò con voce rotta.
«Cancro… ha lottato fino all’ultimo e si è sottoposta a tante terapie, ma non c’è stato nulla da fare»
Hugo annuì più volte, ingoiando saliva e sentendosi la gola annodata. Sua madre era morta e lui non era stato vicino a lei nei momenti più duri. In fin dei conti lui lo aveva sempre saputo…
Sapeva perché si sentiva sempre così vuoto. La verità era che non aveva avuto il coraggio di perdonare sua madre.
No… non era neanche quello il motivo, la vera ragione era che non riusciva a perdonare se stesso per averla abbandonata.
Era così ossessionato dal fatto che lei avesse sbagliato, che avesse tradito suo padre, di avergli reso la vita difficile, ma in fin dei conti era davvero necessario privargli la parola e la visita per tutto quel tempo? Ma nonostante tutti i torti subiti sua madre non aveva mai smesso di pensare a lui… e in letto di morte era stata capace persino di lasciargli la metà delle sue eredità.
«Sono un verme…» Disse Hugo senza riuscire a trattenere più il pianto.
Non meritava affatto quel dono, né di salvare la vita alle persone. Non era quello che meritava. Fu in quel preciso istante che Hugo desiderò una sola ed unica cosa…
Donare la sua vita… a qualcuno di più meritevole.
Presente…
Hugo fissò gli occhi del sacerdote e annuì.
«Ricordo ogni cosa… ricordo perché sono qui»
Il prete sorrise e mostrò lui uno sguardo sereno da dietro gli occhiali da vista, dandogli una pacca sulla spalla.
«Allora andiamo… ti sta aspettando»
Hugo e il sacerdote entrarono nel vestibolo della chiesa e fu accolto da un largo spazio, una serie di colonne di marmo lucido, panchine di legno e un altare ordinato con un grande crocifisso. Al suo interno c’erano diverse persone che Hugo aveva già incontrato.
L’uomo con la valigia lo salutò e gli sorrise, così come il pescatore che si tolse il cappello di paglia in segno di rispetto e anche il ragazzo giovane che annuì una sola volta al suo passaggio e nonostante fosse in ritardo arrivò anche la clochard di colore, che gli abbozzò un sorrisetto. E infine, in fondo, in attesa come una sposa c’era una ragazza bellissima, della stessa età di Hugo, con un lungo vestito bianco candido e acciambellato attorno alla sua gamba c’era il gatto nero che aveva guidato Hugo lungo tutto quel cammino.
La ragazza si voltò e gli si illuminò il volto con un sorriso dolce.
Due giorni prima…
Si… donare la vita a qualcuno di più meritevole, qualcuno che era realmente propenso a perdonare e non soltanto a salvare. Per quanto tempo sua madre aveva sofferto? Per quanto invece lui si era soffermato a pensare a futili problemi e lamentele prive di senso?
Era autunno e aveva appena smesso di piovere. Hugo camminava sovrappensiero con una busta della spesa tra le mani e pensava, non smetteva neanche un secondo di pensare ai suoi sensi di colpa e al suo più grande desiderio, quando improvvisamente udì il rombo di un automobile accelerare e una ragazza sulle strisce pedonali, con un gattino tra le mani, paralizzata dalla paura.
Hugo agì senza pensare…lasciò andare la busta e l’ombrello e scattò verso la strada. Spinse in tempo la ragazza via dalla traiettoria dell’automobile, ma Hugo non riuscì a spostarsi a tempo e l’autovettura lo investì in pieno. Sentì per un istante il suo corpo come una carcassa senza nervi e senza sensibilità volare in avanti. Ogni pensiero si era annullato, ogni suono si era distorto in un mormorio confuso e senza senso così come la cognizione del tempo. Sentì il sapore del sangue in bocca, sentì le sirene, le autoambulanze, ma in fin dei conti lui era felice così. In quel dolore, in quel patetico stato, quel che davvero contava era che la sua vita era servita a qualcosa… a qualcuno e quando chiuse gli occhi lo fece con il sorriso tra le labbra.
Hugo aveva gli occhi puntati su quella ragazza, in quella chiesa, circondato dagli sguardi dei pochi presenti. La riconobbe, era la stessa ragazza che aveva salvato… e non solo.
«Kristie?» Disse Hugo mentre le lacrime scendevano dal suo viso.
La ragazza si avvicinò e abbracciò il fratello.
«Va tutto bene… Hugo, va tutto bene»
«Kristie… cosa ci fai qui?» Domandò lui con voce rotta.
«Io non ti ho mai abbandonato Hugo… sono sempre stata qui con te»
Hugo scosse il capo.
«Io non capisco Kristie… ti ho abbandonata, ho abbandonato te e mamma eppure sei ancora qui? Non vale la pena per uno come me…»
Kristie sorrise di nuovo.
«Nessuno ti biasima per ciò che hai fatto Hugo… tu sei qui per una ragione, tutto ciò che hai fatto, pensato, realizzato, desiderato, conduce tutto a questo esatto momento…
Niente è avvenuto per caso … questo luogo, queste anime che ti hanno accolto, questo luogo in cui sei vissuto fin ad ora, tutto appartiene a coloro che hanno messo davanti la propria vita per gli altri. Spiriti eroici venuti in cerca di riposo eterno che hanno deciso di restare qui… ma tu Hugo hai il potere di scegliere a differenza loro: hai intenzione di restare? Oppure di tornare via…? Qualunque cosa tu decida io lo rispetterò, ma sappi che non sei solo in tutto questo… non c’è soltanto sofferenza nella vita, c’è spazio anche per te»
Hugo guardò la sorella che gli sorrise dolcemente.
«Lo so Hugo, hai bisogno di pensarci. Ma prima che tu scelga voglio che tu lo veda con i tuoi occhi…» Kristie consegnò lui una chiave. «Nella nostra vecchia casa…» Gli disse infine sussurrandogli all’orecchio.
Hugo si voltò verso le persone indugiando ad osservare i presenti che gli rivolgevano sguardi sorridenti, poi corse via a grandi passi verso l’uscita. La pioggia era iniziata a scendere violenta e imperturbabile, e venne investito in pieno dalla gelida cascata d’acqua, accompagnata dal rombo dei tuoni che squarciavano il cielo. Hugo corse, corse via giù per la strada e non si chiese quale fosse la direzione da percorrere, il suo cuore avrebbe fatto da guida…
Quando Hugo giunse nella sua vecchia casa entrò dal cancello e salì le scale, ricordandosi di quel fatidico giorno, quando era andato a prendere la colla per il giocattolo di sua sorella. Rivide la camera da letto di sua madre che era distrutta e sporca, dai mobili logori e ammuffiti. Li c’era una porta chiusa: la porta della sua cameretta e quella di Kristie. Tirò fuori la chiave e la inserì nella serratura. Entrò lentamente e notò che non c’era una singola macchia, niente che fosse rovinato dal tempo o marcito dalla muffa. I letti erano perfettamente curati e un odore piacevole e nostalgico pervase le sue narici.
C’era qualcuno disteso sul suo letto, era il gattino nero che lo fissava con occhi intensi e curiosi. Hugo si avvicinò e ricambiò lo sguardo e in quel momento ricordò…
Era andato al cimitero… poco dopo esser venuto a conoscenza della morte di sua madre. In foto era bella come ricordava e alla lapide avevano pensato i suoi parenti e tutti coloro che gli erano stati vicini. Hugo poggiò dei tulipani per terra e colmo di vergogna per se stesso salutò sua madre.
«Mamma… non trovo neanche le parole adatte per dirti quanto mi dispiace. Ho capito troppo tardi cosa davvero volevo di più. Volevo il tuo perdono, volevo che mi perdonassi che per averti abbandonata. Mi dispiace mamma…»
Fu in quel momento che Hugo si sentì osservato e voltandosi vide una bestiola: un gatto nero con un campanellino d’oro. C’era qualcosa di famigliare in quel suo sguardo, qualcosa che gli ricordava una persona che Hugo in cuor suo non aveva mai smesso di amare e per quanto si sforzasse non riusciva a dimenticarlo…
Hugo fissò il gatto e sorridendo commosso si mise seduto sul suo letto.
«Mamma…» Disse al gatto e la bestiola si acciambellò sulle sue gambe facendo le fusa.
La tempesta di pioggia aveva aumentato la sua intensità. Un fulmine cadde lì vicino e ogni cosa sembrava voler essere schiacciata dalla forza disumana della precipitazione.
Era il momento di prendere una decisione e Hugo aveva già deciso…
Quello era il luogo dove riposavano gli eroi che avevano donato la loro vita per il prossimo. Un limbo la quale ogni vuoto nei cuori si colmava e dissipava in un ciclo di vita e morte.
Aveva compreso che la vita che gli era stata donata era di nuovo sua…
Quello che seguì dopo fu il bianco più acceso che Hugo avesse mai avuto il piacere di testimoniare.
Uno scossone al petto fece svegliare Hugo. Ma questa volta c’era qualcuno li con lui…
Il soffitto era bianco e il primo suono che sentì era l’elettrocardiogramma del suo cuore e la mano calda e liscia di colei che non lo aveva mai abbandonato neanche per un istante…
0 comments