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Quelle di Mark Sandman si sono rivelate delle parole solo apparentemente basilari, eppure in realtà ben più veritiere di quanto si pensi: “less is more“. Togliere per aggiungere. E se per i Morphine è stato il concetto base della forma canzone, della sua struttura, povera e contemporaneamente ricca di contenuti, per Marco Parente ormai significa arrivare direttamente al cuore, al fulcro, all’anima di tutto, senza neanche rimanere necessariamente saldo al classico concetto di album, per quel che concerne la lavorazione di nuovo materiale. Il cuore, l’amore. “Suite Love“. Non un semplice “La riproduzione dei fiori” parte due, ma il primo capitolo di una trilogia che si lascia davanti quello che è stato l’artista napoletano fino a un po’ di tempo fa. Meno di un quarto d’ora per esprimere, tutto d’un fiato, un sentimento puro suddiviso in quattro facce, come un dado che una volta giunto a terra svela un numero dopo l’altro.
Se Sentimento oggetto è la sua connotazione, una frase come “Quando l’odio chiama lascialo chiamare” è la prima manifestazione, un ruggito che rimanda a quella che è stata la parte più dura di Parente (“Trasparente” in primis), uno dei tasselli attraverso cui misurare la gradazione di quanto esposto. Come anche l’abbandono all’immaginazione che si perde in un folk sospeso e sognante, lo “scivolo” su cui ci si lascia andare mentre scorre una country-ballad e l’autoriale dicotomia amore-non amore dal retrogusto Kings of Convenience. Miniaturizzazione, analisi, immedesimazione. E rabbioso, distillato (un caso?), in festa, sprezzante di ogni negazione che sia è semplicemente cuore, non ci sono accordature sbagliate che tengano. E appare evidente non solo come il nostro non smentisca se stesso e la sua arte, ma anche lo scorrimento delle vene delle più adeguate forme di rappresentazione dell’amore, indipendentemente dal cambio di percorso, oltre che con un contributo immenso come quello di Taketo Gohara.
Poco conta se, nonostante tutto, magari continuerà a essere considerato meno di quanto meriterebbe: “Suite Love” è un’ottima ripartenza, più che sufficiente per ripagare l’attesa che separa dai prossimi due capitoli.
Gustavo Tagliaferri
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