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Com’è nata, com’è strutturata e quali sono gli aspetti che differenziano la Old Bicycle Records dalle altre etichette indipendenti?
Vasco Viviani: Old Bicycle Records è nata ormai quattro anni fa per un bisogno, quello di poter agire in completa autonomia e con nessun programma all’inseguimento di chimere e progetti concreti. Nei fatti, promuovere gli Sparkle in Grey e di loro dischi, farsi carico della propria forma fisica tramite l’allenamento in bicicletta e chiamare artisti che occupavano il mio stereo ad occupare il mio nascente catalogo. È nata quindi in casa, strutturata da una persona, me, che se ne occupa e da altre che ci vengono a sbattere, entrando collaborando ed uscendo (o restando), gli artisti. Resta in casa e li quindi vive, con Jessica e Melvin, la mia fidanzata ed il nostro cane, che pur non avendo parti attive e definite riescono comunque a dare il loro, essendoci. Non conosco dall’interno molte altre etichette indipendenti o, per lo meno, conosco diverse persone che ne hanno ma non vorrei sbirciar loro sotto le vesti. Preferisco aspettare i loro parti e godere delle loro produzioni, che quello mi preme.
Perché “Old Bicycle”?
Come detto poco sopra in quel periodo i mie principali pensieri erano biciclette e musica. Ho unito il tutto, trovando una bella immagine d’altri tempi e partendo.
Quando hai fondato l’etichetta, avevi uno o più modelli?
Centinaia. Tutti quelli che marchiavano la mia discografia e che mi erano passati sotto le mani. Alcuni positivi ed altri negativi. Potrei fare delle liste, ma non so se potrebbero essere utili. Ho iniziato nel 2005 con Pulver und Asche Records creando un determinato discorso con altre persone. Poi ne ho iniziato un altro sei anni dopo con Old Bicycle. In mezzo ci sono stati concerti, festival, un negozio di musica, mesi da impiegato in una catena musicale, qualche gruppo. Questi gli ingredienti, poi i modelli… Sono circa vent’anni che ascolto e compro dischi con criterio, fra liste chilometriche, miti fuggevoli e passioni. Avessi avuto un modello definito gli avrei mandato un curriculum.
Qual è la filosofia generale dell’etichetta?
Seguire il mio gusto personale, essere convinti di un lavoro come e più del musicista stesso, redigere comunicati stampa stringendo i denti, essere gentili all’ufficio postale, avere buon gusto. Per ora questa filosofia funziona benissimo.
Fate tutto da soli? O vi avvalete dell’aiuto di qualcuno?
Ci avvaliamo degli aiuti necessari per fare tutto. Riceviamo la musica, concordiamo il supporto, elaboriamo le grafiche e mandiamo in stampa. Gli artisti sono coinvolti nei processi creativi e sgravati da quelli più fastidiosi, o almeno cerchiamo di fare così. Per la stampa dei supporti ovviamente ci appoggiamo a ditte esterne (a seconda del supporto, sia esso CD, MC o LP) e per la parte grafica di volta in volta si cerca chi possa occuparsi del lato pratico della faccenda. Se dovessi dire qualche nome direi Legno per le serigrafie, Seriarte per la grafica, Tapeline per i nastri, Stumptown Printers per le custodie. Senza di loro non faremmo, ecco.
Come selezionate gli artisti da accogliere nel roster? Siete più voi a cercare, o siete soprattutto cercati? Qual è il tuo metodo per cercare nuove band da pubblicare?
Ho unito le due domande, che sono parte di un unico discorso. Gli artisti vengono selezionati secondo il mio gusto personale. Scrivo loro, spiego chi sono, che faccio e cosa vorrei da loro. Normalmente qui nascono i rapporti e se nascono si inizia a ballare. Devo dire che ultimamente veniamo spesso cercati e, cosa che mi rende molto felice, veniamo cercati da musicisti ed etichette che stimo ed ammiro. Purtroppo molto spesso non riesco a fare tutto ciò che vorrei e devo rifiutare a malincuore.
Che tipo di accordi vengono stipulati con gli artisti? E come vengono suddivisi investimenti, lavoro ed eventuali profitti?
Dipende dal tipo di lavoro. Per quanto riguarda la collana Tape Crash, che comprende due progetti ad uscita, si stampano 100 copie, 60 a me e 40 (20 e 20) agli artisti. Per le altre produzioni, quelle degli album, dipende da che tipo di situazione si crea, gli accordi vengono definiti di volta in volta. Questo per gli investimenti. Il lavoro di solito cerco di farlo io, che il musicista il suo a quel punto l’ha già fatto. Poi spesso il processo è partecipativo e chi ne ha e ne sa mette voce. Per quanto riguarda i profitti parliamo di tirature talmente minute e margini di guadagno talmente risicati che forse è meglio parlare d’altro. Purtroppo, che se così non fosse sarebbe bello dedicarsi solo a questo o potergli dare maggiore spazio.
In media, quanto vende un titolo? E quel è stato il vostro best-seller?
Per quanto riguarda i nastri siamo partiti producendoli in 30 copie. Ora siamo arrivati fino a 200 copie in un caso, attestandoci sul centinaio o poco più. Tutto viene venduto, nel tempo, in maniera diluita. Non c’è quel particolare picco da uscita, o è talmente effimero da non pesare a bilancio. Per quanto riguarda i dischi parliamo di cifre un pochino più alte, ma singolarmente come etichetta me ne porto a casa al massimo 100 alla volta e su quelle mi concentro. Per quanto riguarda i bestseller non saprei, che le cifre alla fine si equivalgono, posso dire però che l’album di Stefano De Ponti (uscito su musicassetta e cd, con Under my Bed Recordings) è stato ristampato, quindi da quel punto di vista direi che il colpo di reni vincente è il suo.
Qual è il vostro album preferito tra quelli pubblicati? E quello più sottovalutato?
Tutti, nessun escluso. Non è piaggeria, ad ogni uscita sono legato per ragioni diverse. Sono tutti sottovalutati, in una società che fosse educata alla buona musica e dove questa fosse veicolata adeguatamente gruppi come Sparkle in Grey, Futeisha, My Dear Killer, Silent Carnival, Uncodified dovrebbero vendere migliaia (e più) di copie. Come loro molta della musica, italiana ed estera, che ascolto e che sgomita tra le cinquanta e le cinquemila copie vendute. Poi ci sono molti problemi che concorrono a questa situazione, potremmo aprire un dibattito…
In percentuale, quante copie si vendono nei negozi, quante attraverso il vostro sito e quanto ai banchetti dei concerti?
Anche qui si aprono argomenti interessanti. Per arrivare nei negozi in via ufficiale ci sarebbe bisogno di un distributore che se ne occupi, o che per lo meno ti risponda alle mail in cui ci si propone di collaborare. Altrimenti la via è contattare direttamente i negozi, tirando il sassolino nel lago. In quattro anni OBR è venduta forse in cinque negozi/spazi (ai quali sono e sarò eternamente grato e dei quali faccio i nomi che se lo meritano, Sonnenstube a Lugano, Humus Dance a Mendrisio, Solo Vinili e Libri a Milano, Consouling Store a Gent, Pinguins a Bellinzona e Staalplaat, che però è un caso a parte, a Berlino) gli altri per ora ringraziano ma sono pieni. Attaverso il sito faccio la maggior parte delle vendite. Io ppi non ho un mail order quindi dal sito o da Facebook mi scrivono e ci si accorda. Bandcamp l’ho aperto controvoglia e in effetti in quasi due anni non ci ho mai venduto nulla. Banchetti ne faccio pochissimi purtoppo, ma di solito funzionano. Ci vuole tenacia!
Come vedi in prospettiva “l’oggetto” disco? Pensi anche tu che il futuro sia nei file da scaricare, con la “fisicità” di vinile e/o cd ad appannaggio di una ristretta cerchia di cultori e nostalgici?
L’oggetto fisico resterà sempre, contornato dai vari sistemi “liquidi” ed informatici tra i quali già ci muoviamo. Comodissimi certo, ma che non andranno mai a scalfire l’oggetto di chi la musica la considera arte ed un album opera d’arte. Poi, ovvio, si parla di cultori e di cifre che, come detto prima, sono quelle che sono. L’oggetto fisico è bello, resiste nel tempo e, quando viene acquistato, lascia qualcosa in mano e non nella cartellina del computer con le playlist autogenerate. È la musica, tutta, o almeno quella che io ritengo tale e valida, ad essere appannaggio di una ristretta cerchia di cultori e nostalgici, non il supporto fisico.
C’è qualche altra etichetta italiana con la quale vi trovi in sintonia?
Molte, per diverse ragioni, sia italiane che estere. Sono quelle con le quali sviluppi un sentimento di fiducia, dove il marchio, a questo punto molto importante, veicola la qualità del supporto. Non nella sua completezza ma in buona parte, veicolata dal gusto della persona che ci investe. Eludo la questione geografica, visto che la nazionalità elvetica e il mio campo d’azione neutrale me lo permette. Cito quindi, in maniera totalmente spontanea: Fabrizio Testa Produzioni/Tarzan Records, Rocket Recordings, Pulver und Asche Records, Brigadisco Records e Dead Vox.
Che cosa dobbiamo aspettarci da voi nei prossimi mesi?
I prossimi mesi saranno intensi, come al solito. Prima di natale avremo in uscita l’album, omonimo, dei Silent Carnival su vinile, in coproduzione con Viceversa. Stiamo lavorando anche al loro tour che partirà a gennaio, sperando i driuscire a farli girare per bene. Poi una collaborazione su nastro fra Paolo Spaccamonti e Daniele Brusaschetto, “Burnout (august session)”, con Bosco Records e Brigadisco, strumentale, differente da quanto hanno fatto singolarmente finora. Infine il prossimo numero della serie Tape Crash fra Beta e Mulo Muto, un progetto italiano ed uno svizzero, dediti al disfacimento di materia pesante ed avvolgente. Poi sarà Natale. Nel 2015, infine, avremmo il nuovo album dei Melampus, il nuovo album di Fabrizio Testa, uno split fra Sparkle in Grey e Controlled Bleeding, un altro fra Post Mortem e Stefan Christoff e l’album nuovo, quello etnico, degli Sparkle in Grey.
a cura di Marco Gargiulo
Behind the Records: la parola alle etichette discografiche.
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