13 anni esatti sono passati da quella lettera inviata da Topolino al giovane Sora sull’Isola del Destino, reduce di uno scontro epico per salvare tutti i mondi dal giogo dell’oscurità messo in moto dietro le quinte dal solo e unico Xehanort.
Eppure, durante tutti questi lunghi anni (è quasi una vita per tantissimi), Sora e compagni non sono mai stati davvero con le mani in mano, sempre protagonisti di qualche avventura sparsa in giro su altre piattaforme, a volte portatili, altre volte cellulari o addirittura sui browser dei nostri PC.
L’immaginario fantasy creato da Tetsuya Nomura combinato alla magia e il carisma dei personaggi Disney con i primi due Kingdom Hearts ha letteralmente affascinato grandi e piccini. Un cross-over ambizioso, impossibile sulla carta, ma trainato dalla creatività di un designer in grado di mescolare tantissimi ingredienti diversi, generando una formula vincente soprattutto dal punto di vista prettamente ludico.
13 anni è un periodo lunghissimo di tempo, soprattutto per un mercato, quello dei videogiochi, costante protagonista di mode passeggere che molte aziende del settore cavalcano per assecondare soprattutto la legge universale nota come “denaro”.
Proporre un terzo capitolo numerato di Kingdom Hearts a distanza di quasi un decennio significa confrontarsi con una realtà completamente nuova, lontana dai canoni che hanno animato il mercato in quel preciso periodo storico in cui Square Enix sapeva come destreggiarsi in quel florido mercato capitanato da Playstation 2.
L’azienda giapponese stessa è molto cambiata, grandi autori si sono dimessi per lavorare altrove, mentre gli irriducibili volti storici, tra i quali lo stesso Nomura, si sono impelagati in progetti troppo ambiziosi come il controverso Final Fantasy Versus XIII (poi divenuto Final Fantasy XV) e lo stesso Kingdom Hearts III.
Un carico fisico e psicologico non da poco per un team di sviluppo che si è dovuto confrontare con la responsabilità di portare sugli scaffali il terzo capitolo di una lunga epopea fantasy nel limbo da troppi anni.
Intanto siamo finalmente qui, esattamente 13 anni dopo, a proseguire le avventure di Sora verso la battaglia finale tra Luce e Oscurità. Dopo uno sviluppo lungo e travagliato, Kingdom Hearts III ha fatto capolino finalmente sul mercato, saranno riusciti Square Enix e il team di Nomura a regalarci la giusta conclusione di questa lunga saga? Scopritelo nella nostra recensione!
Approcciarsi per la prima volta alla serie di Kingdom Hearts con questo terzo capitolo significa confrontarsi con una storia densa di riferimenti e collegamenti a tutti gli spin-off usciti in precedenza che, diversamente da quanto si potrebbe pensare, ognuno di essi ha un ruolo fondamentale nel gigantesco mosaico narrativo elaborato dal suo director.
La mitologia alla base di Kingdom Hearts è complessa, spesso anche contraddittoria, la cui ambizione viaggia di pari passo con una saga altrettanto leggendaria quanto a complessità e numero di personaggi coinvolti nell’affresco narrativo, ovvero Metal Gear Solid.
Se un genio in persona come Hideo Kojima si era ritrovato in grosse difficoltà a chiudere tutte le fila della sua gigantesca narrazione articolata tra passato e presente con Metal Gear Solid 4 (tanto da sacrificare metà del gioco), per Tetsuya Nomura la questione si complica nel momento in cui per molti dei suoi episodi collaterali ha gettato i giocatori in pasto a tante domande, e poche risposte davvero cruciali.
Kingdom Hearts III quindi ha l’obiettivo di rispondere a tante domande, e nel fare ciò lo sviluppatore ha deciso di rendere l’avventura di Sora, Paperino, Pippo e tutti gli altri prescelti del keyblade un racconto estremamente più lineare rispetto al passato, con tanti pregi e difetti che si riflettono sul comparto narrativo e ludico.
Innanzitutto, a partire da questo episodio i personaggi di Final Fantasy spariscono in modo definitivo, accettati da una sceneggiatura che evidentemente li riteneva ingombranti per la storia. La progressione della storia adotta uno stile più schematico: i mondi visitati dal trio di protagonisti capitati da Sora (quasi tutti rigorosamente provenienti dalle opere Pixar) tendono a coinvolgere il gruppo all’interno di racconti tendenzialmente autoconclusivi spesso ispirati alle trame dei film, dettati da tempi molto dilatati in cui l’avanzamento della trama principale viene letteralmente fagocitato dalla potenza emotiva e “magica” che contraddistingue le monumentali opere Disney.
Mai come questa volta l’impronta di Disney è davvero soverchiante rispetto al passato. Questo ha generato un rapporto di causa ed effetto che dona alla produzione dei picchi emotivi di altissima qualità, caratterizzati da una grande messa in scena. Vi commuoverete al romanticismo delle lanterne in Rapunzel, amerete alla follia (o forse odierete, chissà) la diramazione musicale del mondo di Frozen, oppure resterete letteralmente ammaliati dalla vastità dei Caraibi in compagnia di Jack Sparrow.
Kingdom Hearts III è un contenitore di grandi colpi al cuore, che rielaborano quella poetica disneyana senza intaccarne minimamente il valore. Al contempo però si erge, in chi ha scritto la sceneggiatura, la necessità di accorciare comunque i tempi per raggiungere il vero nocciolo della storia, la fantomatica Guerra dei Keyblade. Questo si riflette sulla qualità stessa dei mondi, e la cura risposta in essi: alcuni godono di una cura per i dettagli mostruosa (veri e propri sandbox), mentre altri adottano dei level design più circoscritti e lineari in cui ad un certo punto si ha la sensazione che qualcuno abbia voluto affrettare le cose.
Non siamo ai disarmanti livelli di un Final Fantasy XV, in cui l’open world si chiudeva bruscamente a riccio verso la metà, ma si denota comunque un dislivello qualitativo, soprattutto nei confronti dei contenuti post-game, quasi ridotti all’osso (c’è un solo Boss segreto). Lo stesso Finale Segreto, una volta scaricato, si può sbloccare fotografando tutti i Portafortuna nascosti nei mondi; un requisito che lascia abbastanza interdetti considerando le folli richieste proposte dai capitoli precedenti per ottenere certi premi così ambiti e significativi in termini di sfida per un giocatore (è proprio vero, i tempi sono cambiati).
Chiudere tutte le porte spalancate nei capitoli precedenti rappresentava una sfida impegnativa, ma Kingdom Hearts III ci riesce, lasciando tuttavia l’amaro in bocca per come decide di raggiungere la sua conclusione. La storia vera e la sua risoluzione sono racchiuse nelle 6/7 ore finali dell’avventura, snocciolate attraverso una montagna di lunghe cutscene intervallate dal più alto numero di boss fight finali che si siano mai visti all’interno di un action JRPG moderno. Da questo punto di vista l’opera è davvero monumentale. a peccarne come già detto, sono i numerosi compromessi narrativi raggiunti per ottenere un finale che accontentasse tutti. Ciò che si palesa davanti al giocatore sono una sequela di voli pindarici elaborati attraverso dei sotterfugi narrativi molto stucchevoli.
Ma alla fine anche se la narrazione di Kingdom Hearts III non funziona a più riprese, lasciando interdetti per i compromessi messi in scena da un palese caos gestionale da parte del suo stesso creatore, il vero cuore vincente della produzione è rappresentato da un gameplay solidissimo che riprende il meglio dei vari spin-off e il filone principale.
Il gioco riprende con maestria la dinamicità del combat system introdotto in Birth By Sleep, con la barra delle azioni che muta a seconda del Keyblade equipaggiato, il quale proporrà sempre strategie di combattimento ben diversificate che influenzeranno anche le tecniche della barra Focus (anch’essa derivata dal titolo per PSP). Per la prima volta quindi ogni Keyblade presente all’interno del gioco guadagna una propria personalità, sbloccando le cosiddette “Fusioni” capaci di rendere sempre divertente ogni scontro. La legnosità dei movimenti del secondo capitolo viene aggirata intelligentemente dalla possibilità data a Sora di interagire con gli interi scenari, aggiungendo una verticalità del tutto inedita all’esplorazione dei vari mondi.
Tornano le magie, le evocazioni dei personaggi Disney, mentre fanno il loro ingresso le attrazioni Disney, vere e proprie riproposizioni in salsa videoludica di quelle reali presenti a Disneyland. Questo ha permesso quindi al team di realizzare uno degli action RPG più riusciti e divertenti degli ultimi anni, la cui pecca la si ritrova in un livello di difficoltà tarato molto verso il basso, anche rispetto ai trascorsi della serie. Altro fattore che ci ha fatto storcere il naso, di cui abbiamo già accennato qualcosa nel paragrafo in alto, riguarda una gestione dei mondi Disney non propriamente bilanciata a dovere, appesantita dalla mancanza di contenuti validi legati al post-game.
L’unico boss segreto oltre a risultare anonimo, si rivela fattibile già raggiungendo un livello tra il 50 e 60. Siamo quindi lontani dall’imprevedibilità di un Terra in Final Mix 2 oppure da un Sephiroth che obbligava i giocatori a calcolare minuziosamente le abilità e l’equipaggiamento in possesso.
Il tentativo di compensare l’assenza di contenuti validi viene solo parzialmente mitigato dalla presenza di tanti minigiochi sparsi in giro, oppure i deliziosi giochini elettronici da collezionare per il proprio Gummofono (qui nelle veci anche di nuovo Grillario). Anche gli intermezzi a bordo della Gummiship fanno il loro ritorno, ma restano comunque una componente marginale che va ad associarsi ai tanti altri minigiochi sparsi in giro.
Resta comunque l’amaro in bocca, la sensazione che tutto sia stato affrettato per rientrare all’interno delle scadenze imposte dai piani alti, impedendo al team di limare ogni dettaglio. Allo stato attuale, se confrontato con i capitoli precedenti, Kingdom Hearts III rientra tra gli episodi più brevi e facili della serie.
L’Unreal Engine 4 di Kingdom Hearts III è davvero strepitoso, il lavoro raggiunto dal team di sviluppo lascia davvero esterrefatti, soprattutto per il modo in cui sono stati riconcepiti i modelli dei personaggi, più aderenti ai filmati in CG della serie, ma anche più uniformati ai mondi che i vari personaggi si ritroveranno a visitare.
I mondi legati alle proprietà Pixar sono stati realizzati riutilizzando parte degli asset concepiti per i film, convertiti quasi 1:1 con il motore del gioco. Questo rende ulteriormente impressionante la realizzazione grafica, soprattutto durante certi intervalli musicali di Frozen, che hanno ben poco da invidiare alle controparti animate.
Ovviamente questa precisa scelta stilistica adottata dal team potrebbe non essere apprezzata da tutti a causa di un certo effetto plasticoso sui personaggi, a volte molto evidente, altre meno.
A chiudere in bellezza è il meraviglioso comparto musicale di Yoko Shimomura, vera e propria summa dell’intera saga, dove tutte le composizioni proposte nel corso della serie si incontrano e omologano tra loro come tutto il resto del cast, finalmente riunito per la battaglia finale.
Kingdom Hearts III è la conclusione di un lungo arco narrativo, costruito tra giganteschi passi falsi e grandi colpi di genio. E’ una creatura che il suo stesso autore non è riuscito a gestire come forse avrebbe voluto davvero, sommerso dalle scadenze e da presenze esterne che hanno preteso molta più voce in capitolo rispetto al passato. Ma a discapito di questi problemi, Kingdom Hearts III resta un grande action RPG, divertente e appassionante, con alcune boss fight di grande impatto scenico.
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