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Deian Martinelli, torinese, ha pubblicato con Lorsoglabro, band che lo accompagna da tempo, due album: “Omonimo” del 2009 e “Prezzo speciale” uscito quest’anno.
Descrivi il tuo lavoro attuale.
Lavoro, ormai dai parecchi anni, in una focacceria. Condisco, inforno, cuocio, taglio e vendo tranci di pizze, focacce, farinate. È un part-time e tutto sommato il lavoro in sé non è male, coi colleghi c’è un bel clima e a volte è perfino divertente. Certo ha i suoi lati oscuri.
Hai mai pensato di lasciare il tuo lavoro per la musica?
Ci penso, anche se nel tempo cambiano le circostanze in cui considero l’eventualità. Magari se una volta ero più propenso a intendere il lavoro come uno stato temporaneo, nella speranza di iniziare a ingranare economicamente con la musica, ora tendo a cercare un compromesso tra le entrate garantite dal lavoro, la coltivazione di una passione che incanali la mia creatività, e il mio innato bisogno di tempo per non fare un cazzo: attività quest’ultima che ritengo fondamentale per la crescita spirituale di un essere umano, una vera pietra filosofale. Un domani potrei addirittura prendere in considerazione l’idea – che so – di suonare per strada, o in piccoli club se mi vogliono, e vedere se riesco a fare a meno di un compenso garantito e sistematico.
Come concili il lavoro e la passione per la musica?
Male, purtroppo. Nel senso che la dedizione all’uno inficia inesorabilmente la dedizione all’altra. Eppure quando l’altra non si mantiene da sé, necessita del primo. La questione si complica quando ci si accorge che quella che noi stiamo continuando a chiamare “la musica” è a tutti gli effetti un lavoro, una piccola impresa privata in un settore in declino, pertanto richiede tutti i sacrifici e la dedizione – tempo e denaro in altre parole – necessari affinchè non vada in malora. Quindi è abbastanza una faticaccia destreggiarsi in questi circoli viziosi. A complicare ulteriormente le cose c’è che bisogna fare i conti con gli altri, colleghi, datori di lavoro, gestori di locali e via dicendo: non si può pretendere che le loro esigenze si adattino alle proprie. Una mente elastica e creativa dovrebbe adattarsi e trovare soluzioni concilianti, anche se a volte viene voglia di mandare tutto all’aria.
Quali scelte cambieresti nel tuo percorso professionale?
Nessuna. O meglio: non lo so, ma neppure voglio soffermarmici. Sul passato sono totalmente fatalista. Già non mi piace pensare a ciò che potrebbe essere, figurarsi mettermi a pensare a ciò che potrebbe essere stato. In realtà non mi piace perchè l’ho fatto anche troppo in passato. Preferisco essere e basta piuttosto che pensare a cosa sarebbe potuto essere, o cosa potrebbe essere. Credo che l’origine di ogni problema in fondo stia nel pensare in maniera inopportuna. Non che abbia smesso di farlo… Ci si prova.
Massima soddisfazione/delusione raggiunta in ambito musicale.
La gioia più grande è stata mentre componevo e registravo le prime canzoni, ormai più di dieci anni fa: ricordo l’euforia nel creare qualcosa di bello, e di proprio, dopo tanto strimpellare adolescenziale misto a devozione per chi riusciva a plasmare qualcosa, che fosse una singola opera, o un mondo personale. Non c’è più stato niente di altrettanto intenso dopo, quanto quel crearsi un mondo. Nel presente provo soddisfazione durante e dopo un bel concerto, ben suonato davanti a un pubblico ricettivo (pure quattro o cinque persone mi vanno bene). Parimenti la delusione ce l’ho quando – per qualsiasi motivo – sento che avrei o avremmo potuto fare di più, o di meglio: in quel caso il pubblico ricettivo non fa che accrescere l’impressione dell’occasione mancata.
a cura di Marco Gargiulo
Io e il mio amore: storie quotidiane di musicisti coraggiosi. Racconti in prima persona di successi e fallimenti di chi si mette in gioco per lavorare di, con e per la musica.
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